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Tempo di classifiche: la musica italiana del 2014, dalla A alla Z

Per quanto riguarda il pop-rock italiano di qualità, quello più o meno fuori dal giro delle TV, dei network e dei media di massa, gli ultimi dodici mesi sono stati parecchio ricchi. Proviamo, con modalità un po‘ atipiche, a ripercorrerli.
A cura di Federico Guglielmi
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Anche se le riviste di carta (e a volte anche quelle in Rete) hanno ormai la pessima abitudine, figlia della sciocca ansia di “arrivare primi”, di anticipare riepiloghi e classifiche a inizio dicembre, i giorni giusti per tracciare una specie di bilancio dell'anno discografico che si è lasciato alle spalle sono questi. Come farlo, però? Invece che con la solita lista di cinque, dieci o quindici album, ho optato per un alfabeto, zeppo di nomi e titoli. L‘identificazione dei CD/LP ai quali potrebbe valer la pena di dedicare più attenzione sarà meno immediata, ma la maggiore ampiezza del quadro – perché di “completezza”, va da sé, non si può mai parlare – merita un minimo di sforzo in più.

A come “Al monte”, ovvero il terzo album di Mannarino. Quello che, assieme a un emozionante tour, ha dissolto ogni residuo dubbio sulla qualità e sulla profondità del “folk d‘autore” del musicista romano, “artista indipendente del 2014” per il MEI. Poteva stare anche alla C di Consacrazione, benché lui al sacro preferisca il profano.

B come Brunori Sas. Contrariamente a quanto ci si attendeva prima di averlo ascoltato, “Vol.3 – Il cammino di Santiago in taxi” non ha reso Dario Brunori una star nazionalpopolare. È però la prova più matura e "seria” del cantautore calabrese, e va benissimo così. Per il grande successo c‘è sempre tempo.

C come Caparezza, vincitore a sorpresa (ma nemmeno tanto, in fondo) della “Targa Tenco” con “Museica”. Non è un rapper nel senso classico del termine, ma è un entertainer eccezionale e ad allestire e declamare ardite architetture di parole e concetti se la gioca solo con il collega Frankie HI-NRG MC, meno fortunato – nonostante la partecipazione al Festival di Sanremo – con il comunque validissimo “Essere umani”.

D come (Cristina) Donà, che come al solito non ha lesinato in spessore, personalità e classe. “Così vicini” è un ulteriore attestato delle doti, continuità compresa, della cantautrice di Rho, che (purtroppo) non sono adeguatamente riconosciute.

E come Edda. Con il terzo lavoro da solista, più rock dei suoi due (altrettanto magnifici) predecessori, l'ex frontman dei Ritmo Tribale si è confermato voce fra le più ispirate, intense e personali della nostra canzone d'autore. Non per tutti, ma chi lo amerà lo farà con tutto il cuore.

F come (Eugenio) Finardi. Con il sostegno di Max Casacci dei Subsonica (a proposito: deludente il loro “Una nave in una foresta”), ha estratto dal cilindro l'ottimo “Fibrillante”, in sintonia ideale e sonora con i suoi storici dischi rock degli anni ‘70. Grossomodo la stessa idea di Franco Battiato, che con il produttore Pino “Pinaxa” Pischetola ha rivisitato il suo passato avanguardista in “Joe Patti‘s Experimental Group”. Peccato che, a parità di valori in campo, il progetto del primo abbia conquistato assai meno riflettori di quello del secondo.

G come Garrincha, l'etichetta emiliana che ha lanciato, tra gli altri, Lo Stato Sociale. Con il secondo album “L‘Italia peggiore”, la band è stata senza dubbio uno dei fenomeni del 2014. Citando spiritosamente il vecchio Ferrini: “Non capisco ma mi adeguo”.

H come “Hai paura del buio?”, il disco-monumento del 1997 che gli Afterhours hanno riproposto in “versione 2014” assieme a un'infinità di ospiti anche stranieri, presentandolo in un tour del quale un DVD della Feltrinelli Real Cinema ha poi fornito puntuale testimonianza. Consensi non plebiscitari, ma operazione nient'affatto banale.

I come “Il padrone della festa”, l'album “a tre voci” con cui Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè hanno dimostrato per l'ennesima volta il loro talento Pop. Con la P maiuscola, per distinguerlo dal suo ben più brutto omonimo.

J come John De Leo. Cantante dotato di tecnica strordinaria, maestro di contaminazioni fra generi e brillante inventore di un Pop tanto imprevedibile quanto surreale, l'ex Quintorigo ha ribadito il suo carisma con “Il grande Abarasse”. Potrà risultare spiazzante, ma come lui non c'è nessuno.

K come Kekko. Che in questa panoramica non c'entra nulla, ma va comunque ringraziato per averci risparmiato un nuovo album di studio dei Modà. Certo, la band ha pubblicato un live, ma si sa che la perfezione non è di questo mondo.

L come Le Luci della Centrale Elettrica. Erano in tanti a ritenerlo un fuoco di paglia e invece, con “Costellazioni”, Vasco Brondi ha ribadito di poter restare. Come cantautore rimane strano e stralunato, ed è una buona cosa: di musica ordinaria ce n'è già fin troppa.

M come major, o multinazionali, che si sono aggiudicate le prestazioni di vari protagonisti del circuito indipendente. Le nuove uscite di Bandabardò (“L‘improbabile”), Nobraino (“L‘ultimo dei Nobraino”) – entrambe per la Warner – e Dente (“Almanacco del giorno prima”, per la Sony) non denotano in ogni caso cali qualitativi o accenni di infedeltà alle linee espressive di sempre.

N come Nicolò Carnesi, uno dei pochi giovani cantautori del giro indie a sembrare un songwriter/musicista autentico e non un mezzo scappato di casa. “Ho una galassia nell'armadio”, il suo secondo lavoro, sposa molto piacevolmente leggerezza e verve visionaria.

O come omaggi. Nello specifico, quelli che Federico Fiumani dei Diaframma e i Têtes de Bois hanno fatto rispettivamente alla canzone d'autore italiana in “Un ricordo che vale dieci lire” e a Leo Ferrè in “Extra”. Approcci differenti, ma lo stesso, grande amore per i maestri.

P come “Pansonica”, ovvero la retromania secondo i Marlene Kuntz: sette canzoni appartenenti al primissimo repertorio di Cristiano Godano e compagni, ma all'epoca escluse da album memorabili quali “Catartica” e "Il vile”, eseguite con la perizia di oggi. E la grinta di ieri.

Q come (Confusional) Quartet. Sì, ok, ho un po' barato, ma questa era la casella perfetta per “Confusional Quartet Play Demetrio Stratos”, particolarissimo e notevole “incontro” fra la band bolognese – caposcuola della new wave italiana – e il cantante degli Area, scomparso trentacinque anni fa.

R come Radici, riferito a quelle del rock americano che qui nella Penisola sono in parecchi a sentire proprio. Due di questi sono i Cheap Wine di “Beggar Town” e i 2Hurt di “On Bended Knee”, fra loro in qualche modo complementari.

S come (Riccardo) Sinigallia, squalificato a Sanremo per un involontario strappo al regolamento ma in autentico stato di grazia compositivo e interpretativo. “Per tutti”, per il MEI album indipendente dell'anno, è il suo capolavoro, nonché un capolavoro assoluto di canzone d'autore fra il classico e il moderno.

T come 3. Va bene sia per i Bud Spencer Blues Explosion, il formidabile duo rock romano che con il deflagrante “BSB3” ha fatto saltare in aria i palchi, sia per Il Triangolo, che con “Un'America” hanno chiarito come il pop‘n‘roll vibrante e filo-epico del debutto “Tutte le canzoni” non fosse stato frutto di circostanze casuali.

U come underground, cioè l'ambito “di nicchia” in cui molti artisti validissimi sono costretti a operare. Dalla purtroppo affollata schiera estrarrei i Be Forest, gruppo “dream pop” di respiro internazionale (l'ascolto di “Earthbeat” è in tal senso inequivocabile), e due esponenti della canzone d‘autore più evocativa, i Non voglio che Clara de “L'amore fin che dura” e il Davide Tosches di “Luci della città distante”.

V come Vessel, il bellissimo side-project “cantautorale” di Corrado Nuccini ed Emanuale Reverberi dei Giardini di Mirò, approdato finalmente al primo, vero album con “Le difese”. E anche come “Vivavoce”, dove Francesco De Gregori ha raccolto ben ventotto riuscite reinterpretazioni dal suo repertorio.

W come Wu Ming Contingent e WOW, titolari – rispettivamente con “Bioscope” e “Amore” – di due fra i brillanti esordi del 2014. Esordi che non potrebbero essere più diversi, dato che il primo si muove nel campo di un rock d'assalto più o meno declamato e il secondo rielabora in modo quantomai suggestivo stilemi cari al miglior pop italico dei Sixties.

X come X-Factor, che come qualsiasi talent show è un abominio dove i principi sui quali si fonda la (bella) musica vengono immolati sull'altare della spettacolarizzazione televisiva e del tornaconto di assortiti magnaccia. Anche se nel recinto degli agnelli sacrificali, non fosse altro per una questione statistica, capita ogni tanto anche qualche talento.

Y come Yakamoto Kotzuga, che all'anagrafe è registrato come Giacomo Mazzucato ed è attivo come produttore, manipolatore e musicista elettronico. Deve ancora realizzare un album, ma le tracce finora disseminate su alcuni EP – il più recente, di quest'anno, è “All Those Things I Used To Have” – lo hanno imposto all'attenzione dei cultori del genere. E ha appena vent'anni, evviva.

Z come Zen Circus, forse prevedibili ma sempre apprezzabili – specie dal vivo – con “Canzoni contro la natura”, loro terzo disco tutto in italiano.

L‘alfabeto non ha altre lettere e vari titoli meritevoli, a dispetto degli sforzi “creativi”, non vi hanno trovato posto. Mi scuso quindi, in ordine sparso, con Paolo Benvegnù, Alice, Luca Sapio, Fast Animals And Slow Kids, A Toys Orchestra, Pan del Diavolo, Sick Tamburo, Guano Padano, Pierpaolo Capovilla, Management del Dolore Post-Operatorio, BettiBarsantini, The Niro, Carlot-ta, Flor, Egokid, Moro & The Silent Revolution, Mario Venuti. E buon 2015 a tutti.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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