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Sfera Ebbasta, Ghali, Tedua: come la trap e la generazione 2016 ha rivoluzionato la musica

Una riflessione su ciò che ha significato la generazione trap del 2016 e di come il suo sviluppo ci sta portando alla lettura di sequel come X2VR e Pizza Kebab vol. 1.
A cura di Vincenzo Nasto
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I protagonisti della trap in Italia nel 2016
I protagonisti della trap in Italia nel 2016

Nel 1998, Bassi Maestro pubblica il suo secondo album in studio Foto di Gruppo, la cui traccia omonima nel disco diventa uno dei momenti cardine nel racconto del rap italiano alla porta d'ingresso degli anni 2000. Uno scatto, seppur tradotto in musica, di una "Future Nostalgia" come cantava qualche anno fa Dua Lipa, ma che trova suoi punti di aderenza in ciò che accadrà poco meno più di 20 anni dopo. Perché se oggi parliamo di X2VR o di Pizza Kebab vol. 1 come prodotti che non riescono ad accedere a una fotografia del passato del rap italiano, il motivo è anche perché ciò che viene mostrato nell'immagine in copertina di quest'articolo è frutto di un incontro, di un'effusione tra più contesti storico-sociali difficilmente ripetibile. Il 2016, tradotto empiricamente dagli addetti ai lavori come L'anno della trap, lavoro omonimo anche di Esse Magazine, è il momento in cui il crash tra ciò che è rap e ciò che non lo è, perde la sua reale importanza o dimensione.

Il rap in Italia, ghettizzato e parte di un processo di riconoscimento linguistico negli anni che si affiderà a suoni e sintassi d'oltreoceano, viene investiti in pieno da ciò che in quel momento non è assolutamente calcolabile: la voracità e il consumo del pubblico in streaming, a cui si lega una trasformazione sempre più diretta delle immagini esposte, piuttosto che l'analisi logica delle strofe. Il 2016 non è altro che un soffio su ciò che avverrà nei successivi sette anni e a dimostrarlo non può che essere la classifica finale dei "dischi" più venduti in Italia e qui elenchiamo i primi cinque: Mina e Celentano con Le migliori, Tiziano Ferro con Il mestiere della vita, Ligabue con Made in Italy, Vasco Rossi con Vascononstop, Alessandra Amoroso con Vivere a colori.

Non c'è trap in classifica, anche se alcuni autori pubblicano il loro secondo disco, come quello omonimo di Sfera Ebbasta. Non c'è rap nella top 5: adesso fa sorridere solo pensare a un evento del genere nella classifica dei dischi più venduti di fine anno. Questo non vuol dire che non ci siano progetti ben fatti: solo per citarne alcuni, ci sono Santeria di Guè e Marracash, Malammore di Luché, Hellvisback di Salmo, Nonostante tutto di Gemitaiz, Terza Stagione di Emis Killa, Fuori da qui di Jake La Furia e Ragazzi madre di Achille Lauro, senza dimenticare L'uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti di Murubutu.

Però c'è qualcosa che cambia principalmente nelle dinamiche di consumo, da lì in poi, e anche l'inclusione dello streaming nel conteggio delle classifiche ufficiali farà il suo. Quella "bolla" virtuale nata su YouTube, ridefinita dall'integralismo del rap come la banter era della nuova generazione, non fa un passo indietro. Non sfiorisce nella sua ostinata contrarietà, non si adegua a ciò che viene prettamente ascoltato in Italia, anzi per la prima volta sembra apparire molto più interessato a ciò che arriva dalla Francia, piuttosto che dagli Stati Uniti. Non sono solo i suoni che cambiano in XDVR di Sfera Ebbasta o nei freestyle Sto di Ghali o in qualsiasi apparizione della Dark Polo Gang: ciò che attrae il pubblico sono anche i video di Alessandro Murdaca e Martina Pastori, le scelte degli abiti di Domenico Formichetti, i beat di Sick Luke e Charlie Charles, ma anche Gonzalo Higuain insultato da Enzo Dong.

La trap si libera dall'integralismo linguistico degli appassionati prima che degli artisti della "vecchia scuola", si propone ammiccando al lato glamour della moda, scontrandolo con le realtà catatoniche e violente delle periferie: la stessa ombra diventa luce in un gioco di specchi in cui non c'è limite perché non esiste alcun mercato pronto ad accoglierli. Non esistono neanche ascoltatori in grado di percepire le potenzialità di Tedua quando in Buste della spesa o in Wasabi freestyle, incastra il tempo nelle parole che scandisce, e non viceversa. Il 28 aprile 2016 usciva Zeta, il film di Cosimo Alemà che vede la comparsa sugli schermi di Izi, quasi a modellare sotto i suoi piedi una narrazione popolare che potesse almeno descrivere che cos'è il rap in Italia in quel momento. Ci vorrà molto altro invece, prima di poter affacciarsi alla complessità di Izi, che libera le sue ali con Fenice.

Non c'è penna che sfiorisce in questa "Citta vecchia", come la definiva Faber, e proprio in quell'anno c'è Dasein Sollein, disco d'esordio di Rkomi. Come racconterà Ivano Fossati ne La nuova scuola genovese, documentario di Claudio Cabona, i rapper sono "come dei cantautori, ma anche qualcosa in più. Hanno coraggio, hanno qualcosa di diverso. Riescono a collegare dei pensieri altissimi, con alcuni che sembrano banali, ma non lo sono. Hanno una libertà che loro si sono inventati, che noi non abbiamo avuto il coraggio di perseguire. Devono essere guardati con attenzione". In Rkomi c'è tutto, dalle immagini alla scrittura, ma manca l'ultimo oggetto, come alla trap in generale.

Cosa? La creazione di un pubblico, ormai così legato a quel momento storico del rap italiano da aver poi apposto giudizi integralisti per ciò che avverrà solo qualche anno dopo (vedi Rkomi) avviene principalmente per un senso di appartenenza e rappresentazione. Perché la trap del 2016 non avendo confini, riesce ad infilarsi dappertutto. Nelle periferie di Baggio, diventando la colonna sonora degli italiani di seconda generazione con Ghali o a Cinisello con Sfera Ebbasta, tra i carrucci genovesi con Tedua, Rkomi e Izi, nello stereo del regista cinematografico Francesco Bruni, padre di Side della Dark Polo Gang. Entra nelle vele di Scampia con Enzo Dong, ma soprattutto sulle piattaforme social.

La trap trova la sua definizione ideale nell'alternare l'alto e il basso, nella semplificazione linguistica che diventa commistione quando incontra lo slang americano. C'è un termine indimenticabile per chi ha vissuto quell'anno, soprattutto per chi ha trascorso il periodo Crack Musica della Dark Polo Gang: eskere. Non c'è bisogno di conoscere il suo significato, come per Bufu. Tutto ciò che è masticabile diventa esclusivo e legato a un'identità precisa, a una battaglia di Pirro della vecchia scuola nel sostenere quale fosse il giusto linguaggio e le giuste tecniche, mentre il proprio pubblico cominciava a colorarsi il ciuffo rosso "come Dexter".

Perché, per quanto l'unione di tutte queste pedane che formano un ponte tra ciò che eravamo e ciò che siamo, tra la fotografia di una scena unita in copertina e la sua leggerezza, fotografata poi nel 2017 in Bimbi di Charlie Charles, l'elemento che ha definito ciò che la trap sarebbe diventata è Sfera Ebbasta. Dall'ospitata di Chiambretti agli album XDVR e Sfera Ebbasta, il suo lavoro maniacale e la sua noncuranza del giudizio altrui sull'utilizzo dell'autotune, ha spostato e non di poco la parabola della trap era 2016. A tal punto che il pubblico gli ricorda che non serve chiamare un disco X2VR per raccontare la chiusura di un cerchio immaginario, perché Sfera è stato più grande della trap, anche per motivi distanti dal mondo musicale.

E oggi che una parte del pubblico, cresciuto con lui, sembra spaventato da ciò che diventerà, come lo è stato in passato per Rkomi, ma anche per Ghali, ci si accorge che quell'epoca passata ha deviato la visione di ciò che era la trap solo sette anni fa. Quel movimento disruptive che aveva bisogno di giustificarsi nel mainstream per poi spargersi come oro tra i cocci di una generazione rap senza alcuna identità, conquistando il favore del pubblico, ha fatto più di ciò che gli si chiedeva. Ha reso tutto troppo popolare e poco esclusivo, ha portato il festival nazional popolare per eccellenza ad adattarsi al suo tempo e al suo linguaggio, ha trasmesso e trasmetterà testi rap in diretta sulle reti nazionali.

Un risultato troppo grande per chi cova in cantina il proprio tesoro, per chi è costretto a condividere ormai le hit rap con i propri genitori e non più con i propri coetanei. E forse è anche la ragione per cui è chiaro e visibile che manca un pezzo del puzzle da questo libro che dovrebbe definire una cartina geografica con cui orientarsi negli ultimi 40 anni del rap italiano, dalle sue radici. Quello spirito di condivisione non più solo orizzontale, ma anche verticale di una cultura, che accetti anche che alcuni figli non siano proprio come ce li si aspettava: vedasi puntata di Ciao Darwin tra trapper e neomelidici, con la prima categoria capitanata da Grido dei Gemelli Diversi (???).

Quello stesso spirito di condivisione e di appartenenza che ha reso grande la generazione 2016, che ha reso idoneo qualsiasi posto per suonare, dai club in discoteca ai centri sociali, dai grandi centri commerciali agli stadi (qualche anno dopo). Forse il pensiero che potrebbe riassumere tutto questo appartiene a Paola Zukar (e come non potrebbe!), manager discografico ma prima fine osservatrice della cultura hip hop e della sua intersezionalità. Nella sua opera magna Rap. Una storia italiana scrive: "Hip hop è cultura, il rap è la musica, ma non occorre preoccuparsi di fare il difensore della cultura hip hop, perché non ce n'è bisogno. La cultura hip hop è grande, radicata, forte. Si protegge da sé, trasformandosi e mantenendosi viva. Niente può intaccarla, tantomeno un disco, un singolo artista, un pensiero, una frase. Una cultura non teme un singolo e nemmeno un gruppo: quando la cultura si trasmette, si sparge come polline al vento e rende ricco il terreno più fertile… La cultura hip hop si scompone e si ricompone a seconda dei momenti storici, delle mode, dei soldi che girano, degli anni che passano. Il tempo usura, scompone, distrugge, crea e ricrea ancora".

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