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Guida a Noi, Loro e Gli Altri di Marracash, il volo dell’Albatros e la caduta della società

Un viaggio in filodiffusione in “Noi, Loro e Gli Altri”, il nuovo album di Marracash che riscrive la realtà analizzandola nella sua disgregazione.
A cura di Vincenzo Nasto
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Marracash (ph Jonathan Mannion)
Marracash (ph Jonathan Mannion)

È l'ultima istantanea del giorno passato, come se a rovistare dentro Noi ci fossero le mani di qualcun altro: sul dorso della mano la scritta "Trust no one", ma neanche a fidarsi di sé stessi. Marracash completa il suo "1984", dopo aver raccontato i tormenti della propria anima in "Persona", con un volo panoramico su tutto ciò che lo circonda, astratto dal suo ruolo individualista in "Noi, Loro e Gli Altri", il nuovo album uscito nelle scorse ore. Scompare, rispetto all'album precedente, la versione assolutista del rapper di Barona, e ricompaiono le stimmate della società contemporanea sul suo corpo: e lì che c'è il salto nella nuova dimensione di Marracash. Nuova perché la qualità autoriale del rapper non ha più bisogno di essere certificata dal pubblico del suo passato, non ha più bisogno di legami, di espedienti che ricordino a tutti cosa avesse proposto lungo la sua carriera: l'autocertificazione di "Persona" è bastata a raccontare la sua scrittura, e in "Noi, Loro e Gli Altri" scompaiono avatar e immaginari legati al trend urban nazional popolare. Non c'è storia migliore da raccontare che il proprio ruolo nella società, non c'è denuncia più grande di denunciare sé stessi: più che un legame spirituale con "Persona", "Noi, Loro e Gli Altri" potrebbe essere la versione matura di "Status". La differenza è ancora tutta lì: tolto lo scudo della consapevolezza di sé stessi con "Persona", il grado di profondità e di esplorazione è completamente cambiato: non c'è più la necessità di compiacere, lo scudo da offrire alla propria sindrome dell'impostore.

14 tracce, tre collaborazioni, un universo musicale che raccoglie melodie note, palpabili e intessute nella memoria musicale di ogni ascoltatore. A Marz il compito, difficilissimo, di riuscire a produrre tappeti volanti per questi viaggi, osando di più rispetto a "Persona", soprattutto nei tributi a un mondo che racchiude la musica dance, classica, chitarre elettriche e che si priva di quell'episodio urban nella sua totalità. Anche "Noi, Loro e Gli Altri" rifiuta l'algoritmo, i suoi primi 15 secondi di ascolto, a cui contrappone i "15 secondi di fama" di Andy Warhol. Una matrioska sociale in cui a ogni modello ne segue uno più piccolo, in una continua spirale di lettura sempre più approfondita su ciò che ci circonda. Non sorprende che la prima traccia "Loro" sia l'ultima scritta in ordine di tempo, e che "Cliffhanger", outro nominale del disco e banger del progetto, si concluda con: "Mi sono ripreso. Okay, sono pronto". Un progetto che si racconta e si proietta nel futuro, come se nei prossimi mesi dovessimo ricevere anche un nuovo disco di Marracash e "Noi, Loro e gli Altri", fosse solo un'introduzione formale a un'epopea musicale. Una sensazione di finitezza che non si raggiunge, e che lascia l'ascoltatore in attesa di una seconda parte meno lucida e più tecnica. Di Marracash non ne abbiamo mai abbastanza, e questa è la vittoria figurativa del rapper: estratto dal suo ruolo, dalle sue vesti ma non dalla sua Persona, abbiamo più bisogno di Marracash in questo momento di abbandono sociale, che lui del proprio pubblico.

Come detto, si incomincia dalla fine, da "Loro". L'intro del disco lancia una panoramica su ciò che affronteremo nel progetto, un approfondimento sulle dinamiche sociali che sconfinano in tre contesti: "Noi, Loro e Gli Altri". Nel primo brano ci sono riferimenti culturali di massa come la reference della serie tv "Squid Game", ma anche ai 15 minuti di fama di Warhol: come cantava in "Vendetta" il vero lusso per chi ha soldi e non pensare ai soldi e in "Loro" risponde a sé stesso "Non penso più al cash e questo è il vero lusso". Il rapporto tra Rap e Pop raccontato con il dualismo con Ultimo e la guerra ai platini tra "Persona" e "Peter Pan", ma anche la denuncia sociale: "Li odio perché riescono ad andare su Marte, ma non a far la cura, la sclerosi al mio amico. Segno della croce in ospedale in Italia, mi hanno ucciso più parenti giù che la mafia". E poi ancora Giuliani, Cucchi e Aldrovandi, una fotografia della violenza italica, e la citazione capitalista di Mark Fisher a chiudere il brano: "Appartengo e non mi vendo per due collane, riesco a immaginare più la fine del mondo, che la fine della differenza sociale".

Segue "Pagliaccio", con il brano che contiene il campionamento dell'opera lirica “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo: 2 minuti e 57 in cui viene cancellato il concetto di appropriazione culturale e di immaginario che negli ultimi anni la scena urban ha propinato al pubblico. Ancora una volta risuonano in mente i primi secondi di "Status", la titletrack del precedente progetto: "Non sono qui per proporre, ma per distruggere. Il king è tornato". "Pagliaccio" è la verifica della strada, in cui si alternano le figure di Scarface e quella di Scarcella, un filtro della verità sulla scena hip hop contemporanea, che viene deformata anche nella sua figura criminale. Ridicolizzata, banalizzata nei suoi intenti d'immagine: non c'è Silvio Pellico tra voi, non ci sono "Le mie prigioni", c'è solo una mezz'ora in questura. Sembra di essere ritornati al 2011, quando con "King del rap", Marracash aveva pubblicato "Rapper/Criminale". Un brano che racconta la distanza tra le due figure e il necessario bisogno di alcuni artisti e di alcuni criminali di scambiarsi i ruoli con un obiettivo prefissato: raggiungere la credibilità che non avrebbero mai raggiunto attraverso il proprio lavoro. A stuzzicare il palato si presenta la prima citazione a Fedez, rappresentata nella reference a "Lol", lo show comico che presenta sulla piattaforma Amazon. Ma la storia è ancora lunga.

Arriva finalmente la collaborazione con Guè Pequeno "Love", un salto nei primi anni 2000, con Marz che campiona "Infinity" di Guru Project. Non solo i suoni, ma anche il racconto della strada sembra una fotografia del passato. Un brano che sembra essere uscito dalla penna di Nipsey Hussle, in cui i due rapper rivolgono il proprio saluto a un passato che li ha visti germogliare e diventare alberi secolari nella foresta milanese, più che urban: "Solo amore per queste strade, per tutta la gente che c'è dall'inizio. Per tutti quelli che ho perso lungo il cammino, è stato un lungo viaggio (Love, love). I ragazzi di Via De Pretis, del Vecchio, tutti i fratelli al Cavallo, in Teramo Lope, Tre Castelli, Cascina, one love". Milano è la sua gente, Milano è la sua terra, e come cantavano Guè e Dargen nel 2003 in "Tana 2000" dei Mi Fist: "La mia tana è Milano 2000. La mia tana è Milano, la mia terra". Marracash ritorna a "Persona" in "Io", un trattato che pone la sua immagine al centro di un riconoscimento sociale più che personale, un'analisi contemporanea del suo ruolo e di come la continua interrogazione di sé stessi rivaluti la realtà, come viceversa. I dubbi rispetto al passato sono maggiori, nel momento in cui Marracash non "confonde più il fine con il mezzo": la verità è anche questa volta una scelta da affrontare, evitando la banalizzazione sua e della realtà che lo circonda. La ricchezza allontana dalla realtà ma non la semplifica e ritornare in basso è un atto di coraggio come canta: "La verità non semplifica, la verità non si esplicita perché ci vuole coraggio per dire: Sono un codardo. Metti una maschera sopra la maschera che già ti metti ogni giorno, con questa macchina e l'attico è un attimo che non sai più chi c'è sotto". Non manca la citazione al movimento BLM e alla serie tv "Snowpiercer", in un racconto distopico in cui l'integralismo dell'informazione cancella la stessa informazione, in cui il dubbio sulla realtà si sostituisce alla viralità delle battaglie sociali.

Si potrebbe definire telefonato il riferimento culturale a Jay Z e Beyonce in "Crazy love" con la ex partner Elodie, maggiormente per la somiglianza al titolo "Crazy in love" che rese ufficiale nei primi anni 2000 una delle coppie più glamour del panorama urban americano. Ma le similitudini con i Carters finiscono qui, e non solo per la risoluzione emotiva tra i due: in "Crazy Love" Marracash cerca di raccontare con maturità la difficoltà nell'impegnarsi in un rapporto, la responsabilità di dover provvedere emotivamente non solo a sé stessi. Il video ufficiale del brano riprende l'esperimento sociale di Marina Abramovich e del suo partner, il fotografo Ulay, dal titolo "Rest Energy", la totale fiducia che sembra annienti il tempo. Marina Abramović regge un grosso arco e Ulay ne tende la corda: "Era la rappresentazione più estrema della fiducia. Eravamo entrambi in uno stato di tensione costante, ciascuno tirando dalla sua parte, con il rischio che, se Ulay avesse mollato la presa, avrei potuto trovarmi con il cuore trafitto”. In "Crazy Love" è Marracash a reggere l'arco, con Elodie che ha la possibilità di trafiggere il suo cuore. Visivamente il brano si conclude con i due che si uccidono in un video ufficiale, confessando la fine di un rapporto nato sul set, chiudendo il cerchio con "Crazy in love" dopo averlo aperto sul set di "Margarita". A riempire lo schermo anche solo ascoltando il brano, il racconto del primo incontro tra i due, le sensazioni di Marracash: "Con gli occhi verdi, pelle ocra e i tuoi capelli rosa (Oddio). Quegli occhi così grandi, c'è spazio per entrambi, per la fragilità e per la ferocia".

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Arriviamo a "Cosplayer", una dichiarazione di guerra senza precedenti. Mai come in questo brano vengono raccolti i temi d'attualità e il loro valore social-politico: con qualche giorno di ritardo rispetto alla giornalista Cecilia Sala, Marracash racconta il dilemma della "Politica Netflix" con la fervida penna che lo contraddistingue. Un attacco al rapporto tra influencer e politica, dalle battaglie monetizzabili alla discussione sulla disgregazione sociale come risultato dell'autodeterminazione. Un sentimento di frustrazione e rabbia sfogato in 140 caratteri (vi ricorda qualcosa "Sindrome depressiva da social network"), che Marracash attacca fin dal primo secondo del brano. Tra i personaggi più rappresentati nel brano, non poteva che mancare Fedez: "Dal biondo patriota, sui social si prodiga per noi, ma in realtà è il più merda come il Patriota in The Boys (Eh, questa era pesa). Vabbè, al massimo si scatena, tanto ambassador non porta pena". Marracash affronta anche la narrazione sul gender fluid e sull'autodeterminazione di ogni singolo soggetto, ricordando però come questo tipo di racconto, nasconda l'esistenza della povertà come tema sociale: "Oggi che possiamo rivendicare di essere bianchi, neri, gialli, verdi, o di essere cis, gay, bi, trans o non avere un genere, non possiamo ancora essere poveri. Perché tutto è inclusivo a parte i posti esclusivi, no? Oggi che tutti lottiamo così tanto per difendere le nostre identità, abbiamo perso di vista quella collettiva". C'è il vuoto dell'arte e della società: poi c'è Marracash.

Segue "Dubbi", e qui sembra di ritornare in un luogo simile, il viaggio da Nicosia a Milano dei primi '90 per Marracash, come in "Bastavano le briciole". Però a essere cambiato è lo stesso Fabio Rizzo, che racconta la sua crescita e la sua evoluzione, dalle figure di riferimento quando si era piccoli al racconto della famiglia. Una traccia che sembra un film, con le sliding door e i voice over a ricordare la coscienza di Marracash. E poi di botto, la realtà: non esiste più una famiglia a cui dare la colpa, non esiste la fuga dalla realtà, la normalità che si combatte nel quotidiano e il successo, che più della rivincita sociale, racconta di quanto in vetta non cambino i timori. Compare la responsabilità genitoriale, la figura della madre preoccupata per il suo futuro, i figli del fratello a ricordargli a cosa ha rinunciato per la musica: "Pensi questo? Di stare vivendo adesso che hai successo? Ho giocato le mie carte, la lotta per la vita è crudele, ma affascinante. Ne ho fatto un'arte, ne ho fatto parte". E poi ancora l'insonnia, l'affetto che diventa possessione e i Dubbi che continuano a cavalcare la sua mente, dividendolo dalla convinzione di chi dubbi non ne ha mai: "Volevo davvero questo? Tutta la vita che ci penso. Forse non credo più al prodotto che vendo. Che paradosso, no? Che io per essere me stesso sia costretto ad andare dove non mi riconoscono".

La povertà e i luoghi angusti per crescere diventano il racconto del rione per Marracash, che questa volta accompagnato dal melodico ritornello di Calcutta, presenta la "Laurea ad honorem" per le donne del quartiere. Un brano che stravolge la natura machista del quartiere stesso, cambiando improvvisamente soggetto e raccontando la tenacia mentale e la forza: "Nel tuo rione, tutti campioni di sopportazione. E mandi giù le illusioni finché non senti neanche più il sapore". E poi arriva "Noi", un racconto dell'adolescenza in Barona, con la giovane Joan Thiele nei cori del brano, a rendere il ritorno alla sua adolescenza violenta, da sempre caratterizzata come "I ragazzi dello zoo di Berlino". Le amicizie in piazza con Alessio, la lotta al bullismo e le cicatrici sulla pelle: un nostalgico Marracash ricorda la sua versione più integra e naturale. Il riferimento alla cocaina e al suo abuso, la tematica del gioco e dell'amicizia su cui si basa il consumo: il brano sembra il prosieguo di "Amore in polvere" e la base sembra raccogliere qualche sample del brano. Poi compare Luca Bergomi, sotto il suo avatar Dumbo Gets Mad, che prima costruisce il tappeto per lo skit di "Noi, Loro e Gli Altri" di Fabri Fibra, che racconta la sua visione del disco: "Ma nella vita mi è successo di essere sia noi, che loro, che gli altri. Noi siamo qui a fare quello che ci piace, loro sono là fuori che criticano e tutti gli altri sono intorno che tirano avanti". La produzione dello skit sembra finire e ricominciare dallo stesso punto in "Gli Altri (Giorni Stupidi)": il brano è un tributo a "Giorni stupidi" di Rokas con la voce di Edonico da cui prende il ritornello. È il racconto dell'uomo medio a pervadere, della coscienza collettiva che non analizza la verità, ma racconta solo il suo giudizio: "E a volte penso che non so cos'altro può succedere in quest'anni ormai. Ma mi rimane la sensazione che più che un periodo è sbagliata la direzione".

Arriva la parte finale del progetto, a lasciare ancora più dubbi sul climax ascendente dell'album: sembra di essere arrivati alla liberazione del mostro a tre teste e invece siamo arrivati alle ultime tre tracce del disco, due togliendo lo skit di Dumbo Gets Mad. In "Nemesi" con la presenza di Blanco al ritornello, Marracash racconta il rapporto dualistico con sé stesso, un bipolarismo deviato dalle responsabilità che lo circondano. A cantare è Marracash ma sono i due soggetti del racconto a prendere il sopravvento, cantando: "Chiudo con il tipo con la paranoia, il cattivo dentro ha la mia stessa storia, che ha bisogno sempre di nemici in zona oppure fa la guerra con se stessi quando non li trova". Per la prima volta Marracash non giustifica i suoi errori con la sua instabilità, prendendo coscienza della verità e di quanto la responsabilità lo allontani da sé stesso: "Come se il passato non fosse presente, come se quel lato non mi appartenesse. Dire: "Sono instabile" è più facile è un altro modo per non sentirmi più responsabile". E dopo la seppur minima parentesi di "Dumbo Gets Mad Skit", è Giuseppe Verdi a prendersi possesso delle mani di Marz, disegnando in "Cliffhanger" il banger che in "Persona" era arrivato nell'introduzione con "Body Parts". Un racconto a castello, un climax ascendente che lascia l'autore e l'ascoltatore senza fiato. Uno sfoggio di tecnica e di punchline in cui marca un divisorio con la concorrenza, sfilando dal taccuino dei curiosi la domanda più banale che poteva esser fatta. Marracash è ancora il miglior rapper del gioco? Assolutamente sì. Con "Noi, Loro e Gli Altri", Marracash ha ridefinito di nuovo la narrazione della musica italiana, non solo del panorama urban. A questo punto bisognerà chiedersi: Marracash è il miglior artista italiano? A questa domanda, dopo gli ultimi due progetti, sarebbe veramente difficile rispondere di no.

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