Altro che Glastonbury, i Maneskin riempiono l’Olimpico: “Era il nostro sogno, non ci crediamo”
Il loro sogno di fare Glastonbury i Maneskin l'hanno realizzato e chissà se in futuro non possano trasferirsi sul palco principale. Il Circo Massimo pure è stato fatto, così come un po' di arene e festival internazionali. Insomma, in pochi anni il loro primo concerto allo stadio Olimpico rischia quasi di essere visto come una pratica da sbrigare. Ovviamente non è così, lo stadio della Capitale resta un traguardo importante – lo dice più volte Damiano -, così come lo è il sold out (sono 60 mila ad affollare lo stadio capitolino e ne saranno altrettanti per la seconda data), bissato da quelli del San Siro di Milano, ma questa iperbole serve a ricordare che in pochi anni questi quattro ragazzi romani non solo hanno raggiunto una dimensione mondiale – questa cosa, ormai, è talmente evidente che siamo nella tautologia -, ma sono riusciti, almeno per adesso, a realizzare il traguardo più difficile, ovvero restare influenti a livello internazionale (come dimostra la scaletta).
Una dimensione che raccoglie in sé sia l'amore di riviste come NME, il rispetto di Billboard, che la stroncatura di Pitchfork, che è importante perché dà comunque la dimensione del fenomeno. Che la rivista indie più rinomata al mondo si prenda la briga di stroncare quattro italiani che fanno rock è cartina di tornasole del fenomeno Maneskin. E Roma, che può sembrare periferia dell'impero se confrontata al Lollapalooza o la stessa Glastonbury, però, resta un momento importante, anzi, fondamentale. Vale per lo stadio in sé, almeno qua in Italia, ma soprattutto vale perché serve anche confermare di essere un fenomeno che oltre ai milioni (miliardi!) di stream ha anche un pubblico che segue li segue live anche qua in Italia.
Questo concerto romano ha dimostrato quello che avevamo avuto modo di vedere anche nei palazzetti, ovvero che i Maneskin, live, hanno una marcia in più. Nei giorni scorsi mi è capitato di rivedere la prima esibizione a X Factor e già lì si poteva vedere la tenuta del palco. Ma il loro merito, che piaccia o meno quello che fanno, è stato scrollarsi di dosso quella patina da cover band che li aveva caratterizzati subito dopo l'uscita dalla trasmissione. Furono proprio i live successivi a convincerli che dovevano mettere da parte le sequenze e cercare di essere più autentici, e questa cosa ha pagato. Vale anche nell'album, dove i pezzi più "grezzi" (insomma, non c'è nulla di grezzo, diciamo come attitudine) sono anche i migliori, tipo quella Kool Kids che strizza l'occhio agli Idles.
Il live parte a razzo, non c'è un attimo per respirare, Damiano, Victoria, Thomas ed Ethan cominciano con Don't wanna sleep, Gossip e Zitti e buoni, con un power trio a volumi altissimi, coadiuvati da un palco imponente con due enormi maxischermi ai lati, una pedana che come ormai sempre capita entra nel pubblico, e un gioco di luci che accompagna il loro rock. Finita questa prima parte, Damiano prende fiato e parla al publico: "Ciao Roma, che figata! Lo stadio Olimpico, porca t*oia. Per noi arrivare a fare un palco del genere è sempre stato sogno, quando abbiamo cominciato a provare lo sognavamo".
"Essere qui è un traguardo – continua il cantante -, ma ogni traguardo ha un punto di partenza e il nostro fa così" dice prima di far partire "Chosen", la canzone che ha dato il nome all'Ep in cui c'era Beggin'. Insomma, si torna alle origini, con l'acclamazione del pubblico. È evidente perché piacciano così tanto live, l'attitudine c'è. "Own my mind" serve – sì, è quasi paradossale – a riprendere fiato e anche "Supermodel" è cantata da tutto lo stadio, che capisce dalle prime note della chitarra di Thomas cosa l'aspetta.
Prima di Baby Said è il momento di un fuori programma con Damiano che decide di ritagliarsi un momento per la band: "Per noi suonare qui programma, un'ossessione, un punto da raggiungere, un chiodo fisso, tante volte mi capita di ringraziare voi (il pubblico), il nostro team, ma tra noi quattro non ci siamo mai ringraziati: grazie Vic, Thomas e Ethan. La canzone che sto per dedicarvi è stata la canzone che mi ha fatto capire che questa cosa si poteva fare" e attacca una versione a cappella di Iron Sky di Paolo Nutini ("We are proud individuals living on the city, but the flames couldn't go much higher"), prima di ripartire al massimo con "Bla bla bla" con Thomas che si regala il crowdsurfing.
Piccola polemica con qualche critica, invece, prima di Beggin', con Damiano che la introduce così: "È una canzone che ci ha portato molta fortuna, per questa canzone ci dicono ‘Vero che hanno fatto successo all'estero, vero che ha fatto tantissimo successo, però è una cover'. A me viene da dire ‘È una cover però almeno noi l'abbiamo fatta'". E il mondo se n'è accorto, in effetti. Subito dopo arriva la sequenza con In nome del padre, For your love e un altro classico della band, ovvero Coraline. La band è sulla pedana per Gasoline, con i maxischermi spenti e solo il gioco di luci rosse ad avvolgerli, poi tocca a Timezone, prima della seconda canzone più ascoltata al mondo, ovvero "I wanna be your slave".
È il momento del palco acustico, dove si spostano solo Damiano e Thomas, il momento intimo con il pubblico, tra cui si fanno spazio, il microfono è aperto e si sente il cantante che saluta tutti. È il momento delle due versioni intimistiche di Torna a casa e di Vent'anni, ormai un must per la band. Si torna sul palco con Ethan che prepara il tappeto rosso per un filotto che prevede prima due canzoni in italiano, come La fine (alla fine della quale Damiano cambia le scarpe: "L'ultima persona a cui ho visto fare questa cosa era Lana del Rey") e Mark Chapman, poi Mammamia e Kool Kids. Il concerto volge al termine, resta il bis, con la ballad The loneliest e un bis vero, ovvero la seconda volta di I wanna be your slave.
Ok, i Maneskin non inventano nulla, ma fanno bene quello che devono fare. È vero che prima di loro tante altre band hanno mostrato muscoli, ritmo, chitarre e questa attitudine, il loro merito, però, è quello di riuscire a portarlo a un pubblico che forse non conosce ciò che è successo in passato, e di farlo in maniera credibile, e con un glamour magnetico che alla fine gli permette di poter girare il mondo, dal Brasile agli Usa, passando per il Giappone e la loro Roma creando sempre entusiasmo. Tutta esperienza, incontri, e emozioni che, speriamo, metteranno nel seguito di Rush!. Quando sarà.