Roby Facchinetti ricorda D’Orazio: “Abbandonato in ospedale, Stefano meritava una fine migliore”
È passato un mese dalla morte di Stefano D'Orazio, batterista dei Pooh e autore di tanti testi cantati da Roby Facchinetti, scomparso a causa di complicazioni da Covid-19. Proprio quel virus che aveva contribuito, nel suo piccolo, a combattere grazie alla raccolta fondi di "Rinascerò, rinascerai", brano scritto assieme a Facchinetti, appunto, che aveva ottenuto oltre 15 milioni di visualizzazioni e i cui proventi erano andati all'ospedale di Bergamo. Eppure, mesi dopo, D'Orazio non ce l'ha fatta a riprendersi dalla positività, e il dolore più grande, racconta Facchinetti a Fanpage.it è che l'amico è scomparso solo e che neanche i suoi cari hanno potuto dargli un degno ultimo saluto.
È questo uno dei pensieri che da settimane attanaglia la mente di Facchinetti, il quale ha avuto la possibilità, in questi ultimi anni e fin quasi agli ultimi giorni di poter collaborare anche artisticamente con D'Orazio. "Rinascerò, rinascerai" è forse il più noto tra i progetti a cui avevano lavorato, ma da due anni e mezzo avevano scritto l'opera "Parsifal" e D'Orazio aveva scritto alcuni inediti dell'ultimo album di Facchinetti "Inseguendo la mia musica", compreso "Invisibili", ultimo singolo uscito. Non è facile fare la promo di questa canzone, ma facchinetti ci tiene a spiegare e ribadire quanto sia stato fondamentale D'Orazio, quanto le sue parole e la sua musica resteranno e quanta sensibilità aveva l'amico nel trattare temi sensibili come quello la c+vecchiaia, la solitudine e anche la morte.
Ciao Roby, chiederti come stai immagino sia stupido a così poco dalla scomparsa di Stefano D'Orazio
La morte di Stefano è stato un colpo durissimo per tutti, poi figurati io l'ho vissuto fino a pochissime ore prima che venisse ricoverato. In questi anni abbiamo fatto progetti musicali, abbiamo scritto l'opera Parsifal, abbiamo fatto "Rinascerò rinascerai", altri tre inediti, per cui la sua presenza era talmente forte che è chiaro che non ci si abitua al fatto che non ci sia più, non è facile.
Hai sempre sottolineato il vostro rapporto, leggendo anche il testo di Invisibili, poi, ci sono temi che poi sono diventati, ahinoi, molto attuali.
Ci sono proprio delle premonizioni quasi, inconsapevoli ovviamente: pensa alla frase "Giurami che te ne andrai dopo di me".
Penso anche a “Vecchie fotografie appese a muri da reimbiancare, di quegli amici che non ci son più”. Non so se quando l'ha scritta fosse riferita a Negrini.
No, no, era più in generale, quel brano è un quadro perfetto della vita di due che hanno avuto la fortuna di invecchiare insieme, perché già questa è una grande fortuna. Una coppia, i compagni della vita lo sono ancora di più quando sono sposati, in più sono lontani dai figli, casomai, ma invecchiare insieme è una grande fortuna. Solo che, sai, oggi questo è diventato un problema sociale vero, perché ci sono parecchi anziani che sono abbandonati dai propri figli, una cosa imperdonabile.
Spesso siamo abituati a testi che non possono raccontare troppo il dolore, quello di Invisibili invece è molto tosto, si parla non solo di vecchiaia e tempo che passa, ma fa capolino anche la morte, appunto.
Non è un'idea come altre, parla di un vero problema sociale e poi adesso tu pensi a questo maledetto virus che colpisce in modo particolare persone anziane, alcune addirittura sole, abbandonate nelle case di cura. Invece i nonni sono veramente un patrimonio importante, spesso sono i migliori genitori del mondo, molto diversi rispetto a quelli delle generazioni passate, sono una risorsa e anche questo è una cosa che penso sia veramente importante, e invece tendiamo a renderli, appunto, invisibili. Ma c'è poca attenzione anche da parte delle Istituzioni per questa generazione. Stefano ha avuto questa idea, una cosa che fa parte del suo modo di essere, della sua generosità, perché è un atto di generosità avere la sensibilità di parlare di questo problema sociale.
Tu ricordi come nacque l'idea della canzone?
Guarda, abbiamo quasi sempre lavorato così, solitamente nasce prima la musica, poi il testo: io ho scritto questa melodia e questa armonia che ho girato a Stefano e poi nel giro di poco più di un giorno – perché Stefano era un artista di grande fantasia -, visto che le cose gli venivano d'istinto, mi ha girato il testo. Successe anche con "Rinascerò, rinascerai". Mi chiamò e mi lesse al telefono il testo e ci siamo emozionati entrambi, lui nel leggerlo e io nell'ascoltare questo testo vero, sentito, trattato con grande poesia e sensibilità. Quando poi l'ho cantata puoi immaginare l'emozione, mi si chiudeva la gola, pensando a questo mondo, al loro mondo, ci sono frasi emozionanti.
Immagino che oggi, col senno, di poi l'emozione sia ancora maggiore.
Guarda, ti dico che ascoltando questi brani, soprattutto le ultime cose che ha fatto Stefano, e ti parlo di cose di due mesi fa, ogni cosa ha un peso completamente diverso perché ti arriva il significato profondo unito al fatto che non ci sia più: certe frasi io le vivo come se fossero premonitrici, appunto, e questo è doloroso.
Come gestirete gli inediti, il Parsifal…?
L'ho promesso a me stesso e a lui, soprattutto per quanto riguarda il Parsifal che è un'opera di oltre due anni e mezzo di lavoro, di questo personaggio mitologico che appartiene alla nostra storia: Stefano ha fatto qualcosa di straordinario e quando si lavorava sul Parsifal sai quante volte ci siamo detti, specie quando le cose venivano come volevamo, che quello è veramente il nostro testamento, perché più di così cosa possiamo fare? Questa cosa mi rende doppiamente responsabile e lo ripeto, ho già iniziato a rimettere in pista le cose che riguardavano Parsifal per portarlo su un palcoscenico: avevamo interrotto tutto a causa del Covid e da dieci giorni sto riallacciando tutti i contatti che avevamo perché il mio obiettivo, la mia missione più importante è di portalo sul palcoscenico, per lui, per me e perché veramente merita. Dentro c'è tutto quello che di bello ci dovrebbe essere in un'opera del genere.
Voi l'avete cantato il dolore del Covid, avete raccolto fondi per combatterlo, hai sentito la paura in Stefano o avete pensato che in fondo non poteva accadere anche a voi?
No, assolutamente, anche perché io da Bergamo gli parlavo continuamente e ancora di più in quel periodo in cui qui è accaduto di tutto, per cui per primo ho capito la gravità di questo virus, di quanto fosse pericolosissimo e che capacità di contagio aveva: la mia famiglia ha perso tante persone, tra parenti, amici, conoscenti, persone che lavoravano per me, insomma ho visto in faccia questa pericolosità, questo orrore e a Stefano parlavo continuamente di quello che accadeva qui. Purtroppo non sempre anche se hai questa consapevolezza, anche se hai tutte le attenzioni in certi casi non bastano e questo ti fa capire quanto sia veramente pericoloso.
Ci sono delle parole di Stefano che porti con te?
Sai, l'ultima parola, l'ultima frase, l'avevo sentito per informarlo su cose nostre e lui mi ha detto che aveva avuto riscontro del tampone e purtroppo aveva il coronavirus: "Però non preoccuparti perché tutto il resto va bene" mi disse e questa è una delle frase che mi martella in testa. E mi martella in testa che lui mi ha scritto "Siamo nati per combattere la sorte, ma ogni volta abbiamo sempre vinto noi" (da "Rinascerò, rinascerai", ndr) e questa frase è una coltellate nel cuore. Un'altra frase che mi martella è "Quando tutto sarà finito torneremo a riveder le stelle", anche questa la vivo come una frase premonitrice e adesso lo immagino proprio lì, in mezzo alle stelle.
È passato un mese dalla sua scomparsa, qual è il pensiero che più ti ha ossessionato o accompagnato?
Un'altra cosa che mi fa male è che, chiaramente, speriamo che i nostri cari se ne vadano il più in là possibile, ma non possiamo farci molto ma purtroppo. Stefano se n'è andato a 62 anni, troppo presto, aveva ancora tanto da dire e da fare, però gli ultimi giorni della sua vita era lì, abbandonato in ospedale, immagino anche in preda a una sorta di disperazione, perché lui aveva capito benissimo che era senza nessuno. Finire la propria vita così, in quel modo, lo trovo tremendamente disumano, nessuno si merita una fine così, quel calvario, concludere la propria vita in quel modo. Stefano si meritava una fine migliore.
Un dolore in più per tutti voi.
Queste cose fanno male, ti dispiace, non le accetti, ti dici che così no, non è possibile, non rientra nei nostri limiti umani il fatto che una madre, una moglie, un figlio non possano dare un ultimo saluto. Per cui chi vive questa tragedia, come Tiziana, a cui tra l'altro poco dopo è morto anche il papà, è inaccettabile. Penso che se a Tiziana – ma vale un po' per tutti -, avessero dato la possibilità, anche da dietro a un vetro, di vederlo per un ultimo saluto, non avrebbe leso nessuno. Si sarebbe potuto organizzare un posto, una stanzetta super sicura, con la tuta, ovvio che non avrebbe cambiato lo stato delle cose, ma oltre al dolore ti ritrovi ad affrontare anche questo dispiacere.