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Perché Luciano Ligabue non si può rinnegare

Campovolo 2022, ode a un artista che è stato il ginnasio musicale ed emotivo di diverse generazioni, che alcuni respingono come si fa con i ricordi e che tanti altri, invece, non potrebbero mai ripudiare.
A cura di Andrea Parrella
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"Un tempo Ligabue mi piaceva, da giovane, poi per ragioni diverse ho smesso di ascoltarlo". Mettete in tavola l'argomento e state certi che, statisticamente, saranno in molti a dare questa risposta sul proprio rapporto con la musica dell'artista di Correggio. Risposta probabilmente nascosta e annidata anche tra le oltre 100mila persone presenti alla RCF Arena di Reggio Emilia per il Campovolo 2022, l'evento di celebrazione dei 30 anni di carriera di Ligabue. Un momento significativo per la sua carriera e per chiunque lo segua, in quel luogo che è suo, senza discussioni.

Ligabue e l'adolescenza, si diceva, accennando a quella vulgata comune sul rocker di Correggio che è stato un tempo ma poi a un certo punto avrebbe smesso di essere, dimenticandosi del fatto che lo stesso Ligabue si sia più volte interrogato, nelle proprie canzoni, della volatilità dell'essere artisti e fare musica. "Non dovete badare al cantante, tutta gente che viene e che va", recitava un pezzo inspiegabilmente "minore" del suo repertorio, in rapporto di continuità stretta con la più celebre "Tra palco e realtà" che analizzava, quasi in funzione di premessa degli anni a venire, l'equilibrio precario di chi vive tra queste due dimensioni: "È come prima/no si è montato/ognuno sceglie la tua verità". Insomma, è un canzoniere quello di Luciano Ligabue che si è sempre misurato con la consapevolezza dell'eventuale  abbandono, dell'impossibilità di essere imprescindibili nella vita delle persone che ti ascoltano.

Interesserà poco a chi legge, ma di questo dissidio interiore io sono testimone. I professori te li ritrovi o te li scegli, per ciò che mi riguarda Luciano Ligabue è stato il mio ginnasio musicale, gli riconosco un ruolo formativo dal punto di vista emozionale e dell'orecchio, ascoltando le sue canzoni in gioventù ho imparato a "sentire" certe cose che ho portato con me, scovate in quel sussidiario dello stare al mondo che lui ha scritto attraverso le sue canzoni.

La palestra della vita non è però eterna, le guide vanno si seguono fino a che non si è in grado di camminare da soli e personalmente – non fatico a credere sia accaduto anche ad altre persone – ho avvertito un bisogno di distacco da quella venerazione per Ligabue costruita negli anni in cui non sapevo ancora chi fossi. Il santino è sparito, la sacralità del personaggio ha lasciato spazio ai ricordi, che riaffiorano in momenti come questo Campovolo, o in una gita improvvisa e inattesa nelle playlist nascoste di Spotify.

Senza la presunzione di voler estendere il mio sistema di pensiero a una moltitudine di persone, credo che il senso di Luciano Ligabue per chi lo ama sia esattamente questo, il fatto di esserci stato in una maniera che gli ha consentito di scolpire le esistenze delle persone nell'età dell'indefinitezza. Per questa ragione c'è chi lo respinge, come a volte si fa con i ricordi, e chi non è nemmeno sfiorato dall'idea rinnegarlo.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare la realtà che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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