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Sotto il segno del “core”: il grande ritorno degli Almamegretta con “Ennenne”.

L’uscita di un album degli Almamegretta è già una notizia rilevante, ma lo è ancor di più che il nuovissimo “Ennenne” presenti affinità con “Sanacore”, il capolavoro datato 1995 della band napoletana.
A cura di Federico Guglielmi
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“Volevamo confondere le acque con un meticciato totale; mentre il mondo era in subbuglio per le nuove immigrazioni, con la società occidentale giustamente minata dagli altri 5/6 dell’umanità che preme alle sue porte, noi sentivamo di trovarci nel mezzo del processo storico in atto: a metà strada, né carne né pesce. Non puntavamo a esporre principi precisi né facevamo proclami; non avendo radici siamo più liberi da vincoli di sangue e di terra, ma ci esprimevamo in dialetto per affermare un’appartenenza. Nel gran casino di oggi, si può scegliere cosa essere: noi desideravamo stare in un territorio di confine e schierarci con quanti vengono cacciati alle frontiere… Lo spirito degli Almamegretta è senza passaporto: anzi, con il passaporto dell’umanità”. Parole di Gennaro Della Volpe in arte Raiz, da me raccolte in prima persona. Non in questi giorni né a proposito del nuovo album, come sarebbe logico pensare, ma nel 2003; e il frontman degli Almamegretta, al tempo fuori dalla band nella quale sarebbe tornato stabilmente solo un decennio dopo, si riferiva addirittura a “Sanacore”, reputato da tutti o quasi il capolavoro del gruppo partenopeo. Del resto, chiunque conosca l’argomento si sarà di sicuro accorto dei numerosi punti di contatto esistenti tra l’ultimo “Ennenne”, uscito venerdì scorso per Goodfellas, e lo storico disco del 1995 grazie al quale i Nostri smisero i panni della promessa per indossare quelli di protagonisti della scena alternativa nazionale. Vendette ben centomila copie, “Sanacore”: un successone, per un’etichetta indipendente quale la CNI di Paolo Dossena.

Sia chiaro, “Ennenne” non è né avrebbe mai potuto essere un secondo “Sanacore”: troppa acqua è passata sotto i ponti, troppe cose che all’epoca suonavano rivoluzionarie sono oggi prassi comune. Sull’album, il cui titolo emblematico è una dichiarazione di intenti in piena sintonia con il sentire di allora, aleggia però lo stesso spirito, e anche la “voglia” e la verve compositiva evidenziano affinità con quelle del glorioso periodo in cui gli Almamegretta avevano raggiunto la maturità espressiva ma vantavano un’urgenza non ancora tenuta a freno – o incanalata in modo diverso – dai budget più consistenti e dal “mestiere”. “Fingemmo di essere in Giamaica”, mi fu raccontato sempre da Raiz, “immedesimandoci coscientemente in quella dimensione roots. Affittammo una villa a Procida, l’isola meno turistica tra quelle di fronte a Napoli, e ci trasferimmo lì con tutte le apparecchiature. Registrammo alla buona con un computer Atari che girava a 33 Mhz e aveva solo un mega di memoria, una canzone per volta perché non potevamo conservare nulla: il nostro stile, il dub anni ‘80 rivisitato con la nostra sensibilità, è stato creato in quei giorni“. La realizzazione di “Ennenne” è stata assai meno avventurosa, ma pure in questa occasione i nastri incisi in Campania sono finiti a Londra, nelle mani del maestro di dub Adrian Sherwood, che si è occupato della produzione finale e del mixaggio. Il risultato è in dieci brani dove l’ottimo songwriting è valorizzato da un sound caldo e vibrante, che evoca il passato ma non ha il sapore della nostalgia. Semmai, quello della classicità.

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Un disco “classico” era proprio quello che occorreva agli Almamegretta, che senza Raiz e dopo la prematura scomparsa di Stefano “D.RaD” Facchielli – era il novembre del 2004 – avevano comprensibilmente vissuto momenti interlocutori e in seguito, ricongiuntisi al cantante, non avevano esaltato; “Controra”, uscito contemporaneamente alla partecipazione al Festival di Sanremo del 2013, non era stato un fulmine di guerra artistico o commerciale, e i suoi ammiccamenti al pop avevano suscitato legittime perplessità. A far capire come la situazione sia adesso totalmente diversa basta il tris che apre “Ennenne”: “On The Run”, la cover di “Ciucculatina d’’a ferrovia” di Nino D’Angelo e “Scatulune” ipnotizzano e danno vita a forti suggestioni, introducendo come meglio non sarebbe stato possibile al resto di un ampio programma privo di cadute di tono e ricco di trame vivaci a dispetto della (relativa) cupezza che le ammanta, di tensioni emotive, di piccole/grandi sorprese. Tra queste ultime non si può non cirare “Musica popolare”, che getta un solido ponte fra tradizioni diverse ma compatibili ospitando Carlo D’Angiò, maestro di folk napoletano in band cruciali quali NCCP e Musicanova. E, al solito, il valore aggiunto è dato dal canto magnetico di Raiz. “Miravo a una sorta di versione napoletana, con voce bassa e sussurrata, di Gil Scott Heron o Linton Kwesi Johnson. Ascoltavo musica araba e indiana, cercando di prendere spunti per entrare con volontaria ambiguità nel terreno comune con la napoletana“. Il discorso è declinato all’imperfetto perché è tratto dall’intervista del 2003 in relazione al 1995, ma se l’avessi convertito al presente certo nessuno avrebbe scoperto il trucco.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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