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Rocco Hunt, dalla strada alla luna: “Vivevo con la muffa in camera, oggi conquisto la Spagna”

Pioggia di platini in Italia, primo platino in Spagna e un percorso che ha portato Rocco Hunt dal rap underground a essere uno dei maggiori hitmaker del Paese, come conferma il suo ultimo “A un passo dalla luna”, successo che lo ha portato in alto nelle classifiche spagnole. Abbiamo chiesto a Rocco Hunt com’è stato partire da Salerno e arrivare a Madrid.
A cura di Francesco Raiola
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Da Pastena alla Spagna il viaggio è lungo una vittoria al Festival di Sanremo, la canzone italiana più ascoltata su Youtube di sempre, tormentoni scritti da solo o per altri, e una lunga e tortuosa via tra il rap più street e il pop radiofonico. Rocco Hunt è uno dei pochi artisti italiani che riesce a tenere insieme tutte queste anime, conservando la sua anima street, ma senza farsi alcun tipo di problema a dover scrivere un pezzo per l'estate. Da Pastena alla Spagna il viaggio è costellato di platini, ma anche di momenti più complessi, dall'adolescenza in cui la rabbia e la provincia hanno costruito barre che ne hanno fatto uno degli enfant prodige del rap italiano, prima dell'invasione trap e quando i social ancora avevano un ruolo meno forte di quello che hanno oggi. Oggi Rocco Hunt fa promo a Madrid per il successo di "A un passo dalla luna", la canzone che in Italia ha conquistato tre platini e che uno se l'è preso anche in terra iberica: "Sono in Spagna per cose belle" ci dice rispondendo al telefono dalla sua camera di Madrid.

Eh, appunto, raccontamele queste cose belle.

Beh in questo momento sono a Madrid e sto vivendo questa bellissima esperienza, perché, in collaborazione con Ana Mena, abbiamo fatto la versione spagnola del mio ultimo singolo che è andata molto bene e devo dire che ci ha portato degli ottimi risultati.

Un po' te li aspettavi, però, no?

No, no, in Spagna no, sai, è un mercato diverso. In Italia mi aspettavo che il pezzo sarebbe andato bene, anche se non pensavo potesse ottenere questo successo, ormai siamo vicini al quarto platino, un bel record; in più è arrivato dopo "Ti volevo dedicare" che aveva raggiunto comunque tre dischi di platino.

Invece ha streammato tantissimo.

Sì, è stato un plebiscito di streaming, tra l'altro non ero mai stato primo in classifica FIMI quindi ti lascio immaginare la soddisfazione.

Che cosa cambia, adesso, questa prospettiva internazionale?

Ti dirò una cosa che ti farà ridere: venendo da Salerno prima rappavo in napoletano quindi ho cominciato così, ho dovuto imparare a parlare in italiano, perché non è che abbia avuto chissà quale formazione scolastica, e ho dovuto impararlo nel corso degli anni. Già è stata una sfida per questo, perché rappare in napoletano mi viene facile, farlo in italiano meno e ora c'è questa ulteriore sfida con lo spagnolo. Insomma, non è la prima volta che affronto una nuova lingua.

Però ora ci metti la testa, sapendo che il mercato è aperto…

Sì, certo, già l'altro giorno sono stato in studio, qui a Madrid, per registrare nuove canzoni in spagnolo. Adesso non dovrò più pensare al mercato campano o italiano etc. Da una parte faccio il pezzo molto pop con Ana Mena, poi quello con Geolier più street, ho varie anime e binari, posso fare il rap street ed essere credibile, ma anche riuscire a scrivere la hit commerciabile.

Tu sei partito street, poi hai virato verso il pop, poi sei tornato con singoli underground, poi "Un passo dalla luna", senza contare il tuo enorme lavoro autorale, penso a Roma-Bangkok…

Che è stata la prima, perché poi coi Boomdabash abbiamo fatto un percorso che continua, visto che è uscita da poco "Don't worry", alla cui scrittura abbiamo contribuito io, Federica Abbate e Tommaso Paradiso.

Esatto, come ti muovi tra queste varie anime?

Al momento mi trovo a dover gestire tante cose il che, per carità, mi fa piacere, perché vivo di questo da quando mi sveglio a quando vado a dormire, e fortunatamente il carico è importante. Poi nel mio piccolo sono un perfezionista, quando devo pubblicare qualcosa la devo fare bene. Come dicevi tu, il fatto di fare il singolo street con Geolier, con Nicola Siciliano e i ragazzi della nuova wave e allo stesso tempo uscire con facilità, un mese dopo, con una canzone in cui si rispecchiano i bambini piccoli e i nonni, è una mia abilità di cui sono orgoglioso.

Però qualcuno recrimina il Rocco più street?

Sai, non c'è più la questione della sfida di fare il rapper di strada, dopo 10 anni che sei in musica rischi di diventare la caricatura di te stesso nel doverti creare un immaginario che è quello del rapper credibile, di strada etc. A me questo discorso qua non interessa più, dopo essere andato al Festival e averlo vinto, è chiaro che il mio nome è diventato trasversale, quindi perché devo limitarmi e fare un solo genere che non arriverebbe a una molteplicità di persone? Ovviamente non è una scelta commerciale, ma artisticamente mi viene così, ho bisogno di nuove sfide, insomma.

Rocco, ma chi te lo doveva dire a te 15 anni fa che partendo da Pastena saresti arrivato fino a Madrid?

Se dieci anni fa mi avessero detto che avrei dovuto scrivere un singolo per le radio non so se l'avrei fatto o meno, vista la mentalità del me di allora, quello che era uscito dalla pescheria, che aveva la fame di emergere, quella cazzimma che mi veniva da dentro. Magari non avrei fatto quelle scelte, però analizzando questi 10 anni, beh, ci avrei messo la firma per riuscire a vivere di questo, a realizzarmi, a tirare su una famiglia, mantenerla con la mia passione, col rap.

La situazione in cui sei cresciuto non era rose e fiori, giusto?

Vedevo amici che sceglievano soluzioni facili, io ho cercato una strada che nei primi anni mi ha portato a fare tanta fatica, perché nessuno ci credeva, ho dovuto affermarmi, fare la gavetta – anche prima del mondo del web -, quindi sono onorato. Come dice una mia canzone, se mi dovessi guardare indietro non rimpiango niente, perché tutto quello che ho fatto mi ha portato qua. E se penso a cos'ero dieci anni fa mi ritengo fortunatissimo, perché nel mio quartiere, nella mia scuola, sono stato un caso su 10 mila.

Qual è stato il momento in cui è cambiato tutto? La decisione di partecipare a Sanremo?

Sì, Sanremo, anche se già nel 2013 quando firmai un contratto discografico con la Sony era cambiato qualcosa. Ovviamente non è come immagina qualcuno, che firmi un contratto e diventi milionario, per niente: ma il senso di sicurezza è stato quello di avere un'etichetta che ti dà credibilità, non sei più solo quello che carica i video su Youtube e fa i video di freestyle, conosciuto solo in Campania o al Sud, ma cominci ad avere un profilo nazionale. Mi sono accorto che stava funzionando quando realmente sono riuscito a giustificarmi con mio padre dicendo: "Guarda papà, questo è un lavoro". Lì ho capito, solo quando mio padre ha compreso che era un lavoro mi sono sentito soddisfatto.

E adesso che dicono i tuoi?

Ora sono i miei primi fan, mio padre mi ha fatto emozionare: lui ha un profilo Instagram privato, che usa con gli amici e ogni canzone di successo che faccio, ogni certificazione, scrive lì quanto è orgoglioso di me. E sono cose belle perché non è facile rendere orgogliosi i propri genitori.

Soprattutto, immagino, quando gli dicesti che non volevi fare l'avvocato ma il rapper, no?

Beh, sì, anche perché, per dire, le mie prime canzoni non è che avevano dei testi come adesso, ero underground anche per il mondo del rap: quando uscì "Non ci sta paragone", il mio primo singolo su Youtube, mi condivisero Colle Der Fomento, Kaos One,  Noyz Narcos, Ensi, ho avuto anche un forte peso all'inizio. Adesso, invece, mi sento molto libero, per dire, mi ha chiamato Nicola Siciliano nel suo ultimo disco, e ho lasciato una strofa nell'album per cui molti hanno detto: "Uà, Rocchino è tornato al 2013, molto street". Questa cosa mi meraviglia, perché io non torno al 2013, io sono sempre la stessa persona, solo che a volte faccio la canzone con Nicola, un'altra quella più ballabile, insomma, mi diletto e questa cosa qua fa tenere anche i miei fan all'erta, chiedendosi che pezzo caccerò, se street, ballabile, spagnolo.

Quelle canzoni vecchie che non facevi sentire a tuo padre le fai sentire a tuo figlio?

(Ride) Sì, sì, sicuramente, perché mio figlio deve sapere quello che c'è dietro, non deve guardare solo adesso che le cose vanno bene, ma deve pensare anche quando quelle canzoni le scrivevo perché stavo in una stanza con la muffa in periferia di Salerno, cosa che non mi vergogno di dire e che ho scritto anche in una canzone. Quella muffa mi ha portato la fame per poter emergere.

Qual è stata la prima cosa fatta con i primi guadagni?

La prima cosa è stata togliere la muffa, appunto, e fare i lavori a casa dei miei genitori. Mio figlio deve sapere sia di adesso, che posso comprargli un giocattolo in più, sia di quando mio padre non poteva comprarlo a me, perché, come ti dicevo, è tutto quello che c'è stato nella mia vita che mi ha portato a essere qua. Spero che il mio successo sia stato meritato anche dai miei genitori per tutto quello che hanno sofferto. È come se questo successo avesse ripagato loro il debito per tutto quello che hanno fatto: mia madre è cresciuta da sola, in un orfanotrofio, mio padre è stato a lungo disoccupato. Per carità c'è sempre di peggio, e soprattutto a me non è mai mancato niente nonostante tutti questi problemi, però dare la soddisfazione ai miei genitori, portarli al Festival, con le persone che li riconoscono per strada, gli fanno i complimenti per me, penso siano cose uniche della vita, alla fine è quello il successo più grande.

Senti, hai fatto i capelli rossi per aver perso una scommessa con Ana Mena, a questo punto facciamola noi una scommessa: al prossimo platino spagnolo metti Fanpage in un pezzo o freestyle?

Al prossimo platino in Spagna facciamo l'esame di spagnolo in diretta su Fanpage.

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