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Riccardo Muti: “Sono stanco della vita, ai miei funerali niente applausi”

“Mi sono stancato della vita. Perché è un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo”, lo dichiara il maestro Riccardo Muti a un mese dai suoi 80 anni, “Ai miei funerali vorrei che ci fosse il silenzio assoluto. Se qualcuno applaude, giuro che torno a disturbarlo di notte”.
A cura di Stefania Rocco
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Mi sono stancato della vita. Perché è un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: ‘Tutto declina’”, lo dichiara il maestro Riccardo Muti in un’intervista al Corriere della Sera rilasciata a un mese dal momento in cui compirà 80 anni. Una presa di posizione netta che il musicista, tra i più grandi in Italia e all’estero, motiva così:

Ho avuto la fortuna di crescere negli anni 50, di frequentare il liceo di Molfetta dove aveva studiato Salvemini, con professori non severi; severissimi. Ricordo un’interrogazione di latino alle medie. L’insegnante mi chiese: “Pluit aqua”; che caso è aqua? Anziché ablativo, risposi: nominativo. Mi afferrò per le orecchie e mi scosse come la corda di una campana. Grazie a quel professore, non ho più sbagliato una citazione in latino. Oggi lo arresterebbero. Rimpiango la serietà. Lo spirito con cui Federico II fece scolpire sulla porta di Capua, sotto il busto di Pier delle Vigne e di Taddeo da Sessa, il motto: “Intrent securi qui quaerunt vivere puri”; entrino sicuri coloro che intendono vivere onestamente. Questa è la politica dell’immigrazione e dell’integrazione che servirebbe.

“AI miei funerali solo silenzio”

Non ho paura della morte”, racconta ancora Muti. A spaventarlo solo l’idea di separarsi da coloro che ama: “Da ragazzo andavamo la sera al cimitero a vedere i fuochi fatui. Ho conosciuto l’ultima prefica, Giustina: raccontava i pregi del morto, disteso sul letto nell’unica stanza della casa, la porta aperta sulla strada, alle pareti la foto del fratello bersagliere e dello zio ardito… Un mondo semplice e fantastico, che mi manca moltissimo. Per questo le dico che appartengo a un’altra epoca. Oggi il mondo va così veloce, travolge tutto, anche queste cose semplici, che sono di una profonda umanità…Non temo la fine in sé. Mi dispiace lasciare gli affetti. Mia moglie, i miei figli Francesco, Chiara e Domenico, i nipoti. E gli animali”. E avanza una serie di richieste, indicazioni non completamente scherzose:

I miei funerali? Scherzosamente dico che lascerò l’indicazione di brani musicali da eseguire in chiesa attraverso incisioni, rigorosamente dirette da me. Ai miei funerali non voglio applausi. Sono cresciuto in un mondo in cui ai funerali c’era un silenzio terrificante. Ognuno era chiuso nel suo vero o falso dolore. Per i più abbienti c’era la banda che eseguiva lo Stabat Mater di Rossini o marce funebri molfettesi, famose in Puglia. I primi applausi li ricordo ai funerali di Totò e della Magnani, ma erano riconoscimenti alla loro capacità di interpretare l’anima di Napoli, di Roma, della nazione. Quando sarà il mio turno, vorrei che ci fosse il silenzio assoluto. Se qualcuno applaude, giuro che torno a disturbarlo di notte, nei momenti più intimi.

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