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Covid 19

Perché si ascolta meno musica nonostante stiamo in casa per il Coronavirus

Con la crisi sanitaria mondiale dovuta al coronavirus, anche il mercato musicale comincia a fare i conti e a leccarsi le ferite. La pandemia mondiale che ha bloccato milioni di persone nelle proprie case, infatti, sta avendo ripercussioni economiche disastrose e dopo un 2019 da record crollano streaming e i dati del fisico.
A cura di Francesco Raiola
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Una sala vuota (ph INA FASSBENDER/AFP via Getty Images)
Una sala vuota (ph INA FASSBENDER/AFP via Getty Images)
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Con la crisi sanitaria mondiale dovuta al coronavirus, anche il mercato musicale comincia a fare i conti e a leccarsi le ferite. La pandemia mondiale che ha bloccato milioni di persone nelle proprie case, infatti, sta avendo ripercussioni economiche disastrose su tantissimi comparti, compreso quello musicale, che lo scorso anno aveva visto la crescita più elevata da cinque anni a questa parte, chiudendo l'anno con un +8%, per un valore totale di 247 milioni di euro.

Meno musica in streaming

La filiera musicale è ferma da un mese e i live sui vari social non servono a creare valore economico, al massimo servono per sperimentare qualche format da migliorare in futuro. La FIMI scrive in un comunicato sulla situazione che "dalle prime settimane emergono infatti evidenti i cali sul segmento fisico (CD e vinili) di oltre il 60%, sui diritti connessi di oltre il 70% (dovuta alla chiusura di esercizi commerciali e all’assenza di eventi) e sulle sincronizzazioni in grave sofferenza. Anche lo streaming soffre a causa dell’assenza di nuove release, che solitamente fanno da traino agli ascolti, e della scarsa mobilità dei consumatori (secondo i dati IFPI, in Italia il 76% di chi ascolta musica lo fa in auto, e il 43% nel tragitto casa-lavoro)". Insomma, stare a casa ha un effetto negativo sulla musica e sullo streaming, da anni settore portante per il settore. La gente non si sposta e ascolta meno in streaming.

La crisi dopo un 2019 da record

Nel 2019 lo streaming, infatti, aveva fatto segnare un ulteriore incremento rispetto all'anno precedente con il +26.7%, portando il digitale a un totale, rispetto a tutto il segmento, di oltre il 70% di tutti i ricavi: "Rilevante è anche il sorpasso dell’audio streaming free sostenuto dalla pubblicità sullo streaming video, con 21 milioni di euro contro 18 milioni, confermando ancora una volta la presenza di un effettivo Value Gap nella remunerazione da piattaforme come YouTube". In declino, invece, il fisico, sceso del 13.8% e che nei prossimi giorni dovrà affrontare un ulteriore calo dovuto sia all'assenza degli instore, momenti in cui si compravano i cd e i vinili per farseli autografare dagli artisti, sia allo stop di Amazon che sta dando priorità ai beni di rima necessità (quindi varranno solo ordini da rivenditori terzi e senza i vantaggi di Prime).

La piccola luce del Bonus Cultura

La FIMI tenta anche di vedere un po' di luce in tutto questo buio, e mette in luce l'importanza del Bonus Cultura: "che ha generato ricavi per quasi 20 milioni di euro. Non a caso proprio l’estensione del bonus, appena rilanciato per i giovani nati nel 2001, a una più ampia platea di consumatori potrebbe essere uno degli strumenti – insieme a un allargamento del tax credit per le produzioni discografiche – da rendere strutturale nel dopo crisi". Le misure richieste, oltre a quelle previste dal decreto Cura Italia: "dovrebbero riguardare poi la fase di ripresa delle attività, con una focalizzazione su elementi fiscali, quali l’estensione del tax credit a tutte le opere, la riduzione dell’IVA al 4% così come per l’editoria e un allargamento della platea destinataria del bonus cultura".

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