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Perché non riusciamo a toglierci dalla testa Vetri neri di AVA feat. ANNA & Capo Plaza

Vetri neri di AVA feat Anna e Capoplaza è una delle canzoni più ascoltate dell’estate (sicuramente su Spotify), vi spieghiamo perché è diventata un successo.
A cura di Federico Pucci
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La prima metà degli anni Dieci passerà alla storia come l’età dell’oro del sassofono nelle canzoni dance-pop. Nel 2010, grazie a Eurovision Song Contest mezzo mondo viene a conoscenza di “Epic Sax Guy”, al secolo Sergei Stepanov, componente della band moldava SunStroke Project. La band arriva soltanto al 22esimo posto della competizione con la loro Run Away, ma finirà per creare uno dei più celebri meme musicali grazie all’intermezzo strumentale di sax e alle mosse di Stepanov. Al di là del meme, quella piccola melodia spernacchiata si sarebbe rivelata preveggente: cinque anni dopo, la nuova stella del pop canadese Carly Rae Jepsen avrebbe usato un’introduzione di sassofono, ugualmente paragonabile a un kazoo in fatto di timbro, nella quasi omonima ma decisamente superiore Run Away With Me. In mezzo, tanti pezzi di ottone sono stati fatti ostaggio del pop da ballare, ottenendo successi che oggi sembrano un lontanissimo ricordo. Come Mr. Saxobeat dell’artista rumena Alexandra Stan (peraltro fresca di un nuovo singolo, Believe): alla fine dell’aprile 2011, dopo tre mesi di saliscendi, quella canzone che indossava come un distintivo la sua carta d’identità sonora (sax e beat) conquistava il primo posto della classifica italiana: ci sarebbero volute quattro settimane perché venisse scalzata da un’altra canzone indubbiamente da ballare, Danza Kuduro – davvero altri tempi.

Eppure, qualcosa di quell’epoca rimane, quasi una memoria ancestrale: altrimenti come si spiegherebbe il ritorno di Mr. Saxobeat, o di un suo fantasma, che dodici anni dopo aleggia di nuovo nelle nostre orecchie grazie alla hit che ha dominato per mesi la top 50 di Spotify? A mettere la firma su Vetri neri sono tre artisti che nel 2011 bazzicavano tra le medie e le elementari, ma oggi sono tutti diplomati a pieni voti alla scuola delle hit: AVA, Anna e Capo Plaza sanno “cosa funziona”, e non hanno paura di usarlo, anche se questo vuol dire tornare indietro di due lustri.

Identificato il sample, il producer (e titolare della traccia) AVA ci lavora in un modo e con scopi che tracciano le differenze tra la dance di ieri e del rap di oggi. Nell’intro Mr. Saxobeat presentava subito la melodia di sassofono (quasi certamente suonato su tastiera, come dimostra l’attacco irreale delle note) cadenzata sopra ogni singolo battito della cassa; lo scopo non era solo creare un hook, ma usarlo per ribadire a tutto il dancefloor che era arrivato il momento di “tirare su le mani”. Nelle prime battute di Vetri neri, invece, il ritaglio di AVA conserva solo l’essenza del motivo strumentale, quelle tre note discendenti che disegnano una bozza di melodia, mentre grazie anche alle tastiere che fanno da tappeto sottolineano qualcosa di ancora più importante: il mood profondamente malinconico che ci aspetta.

Per quanto movimentata e irresistibile, già Mr. Saxobeat aveva alla radice una certa cupezza: la sua base, infatti, era interamente composta di accordi minori. Se è vero – come abbiamo detto parlando di Mon Amour – che non basta la tonalità minore per definire “triste” una canzone, d’altra parte se il produttore calca la mano sulle note caratteristiche del minore, bisogna chiedersi la ragione di ciò. Del resto, non serve nemmeno la teoria armonica per cogliere questo mood afflitto e penoso, perché a dispetto del tempo sostenuto e del ritmo che contamina eurodance e trap latina, Vetri neri è tutt’altro che una canzone allegra. Anzi, in un certo senso esplora i lati oscuri di quell’ossessione che Mr. Saxobeat declinava senza prendersi mai sul serio. Basta sfogliare il testo italiano per notare una cupezza che nemmeno il riflesso cromato di un Benz riesce a illuminare, quel vuoto interiore più capiente di una borsa di Bottega Veneta. Sgomitando fra citazioni di brand e anglicismi, le liriche ci dicono che, a furia di sfrecciare in avanti sulla Porsche, si è lasciato indietro qualcosa di importante, un rapporto umano che al solo guardarlo oggi segna la distanza incolmabile tra un prima e un dopo. Questo ci dice Anna quando, incontrando il suo “primo love”, non esprime solo la sua rivalsa (“io ne ho fatta di strada, tu no” dice con orgoglio e una punta di amarezza) ma anche un’autentica nostalgia e un rimpianto per quel che poteva essere, non è stato e ora non sarà più, al di là di una scappatella occasionale.

Ma se non vogliamo dare retta all’ambiguità emotiva delle rime, se comunque la narrazione trionfale di chi ce l’ha fatta non ci convince, delle tinte fredde dell’armonia e dell’arrangiamento, basta ascoltare le note: il motivetto originale, raddoppiato nell’inciso di Alexandra Stan, ha contaminato tutte le parti melodiche di Vetri neri, soprattutto la strofa di Capo Plaza, la cui linea melodica tecnicamente si definisce “interpolazione”. Si intende, cioè, che riprende la frase di un altro brano e la ripete, nel contesto di una nuova canzone. Ma AVA non si è limitato all’interpolazione, a differenza di certi suoi colleghi più pigri che provano a ripetere successi passati. E per capirlo bastano pochi secondi, quando fra i fossili del 2011 emerge un’idea del 2023, un altro “gancio” aggrovigliato al precedente: sono le note cantate da Anna, che girando sulla medesima scala del motivetto originale (abbassata giusto di un semitono) compongono un nuovo disegno, familiare ma diverso, ugualmente orecchiabile.

Se questo inciso fosse una leva di Archimede, il fulcro sarebbe il cosiddetto intervallo di terza minore, cioè quello spazio di tre semitoni tra una nota e l’altra (tra un La♭ e un Fa, per esempio): lo senti quando Anna canta “baby baby”, salendo e scendendo come una sirena della polizia, un passaggio talmente importante da venire ribadito alla fine della frase qualche nota più un basso (“primo love”). L’orecchio non resiste a questa consonanza imperfetta, che restituisce un sapore amaro ma goloso, come un bitter per le papille gustative. Del resto, questo stesso cromosoma melodico lo troviamo nel codice genetico-musicale di canzoni messe alla prova dalla storia, come Light My Fire dei Doors o Mad World dei Tears for Fears. Riferimenti preistorici per gli ascoltatori di Anna e Capo Plaza? Facciamo un esempio un po’ più recente, cioè la melodia di tastiera che introduce Famoso di Sfera Ebbasta: quella si muove nel medesimo intervallo di terza minore e – proprio come in Vetri neri – lo fa per introdurre il racconto tanto superbo e fiero quanto afflitto e mesto di una celebrità che fa i conti con le conseguenze indesiderate della notorietà.

E noi, che senz’altro guidiamo una Punto (o equivalente) mentre ascoltiamo la hit urban dell’estate, restiamo aggrappati a queste note: così, chi più chi meno, partecipiamo al malessere delle rapstar, che celano accuratamente le loro lacrime dietro i vetri neri dei loro bolidi, mentre sfrecciano verso la banca.

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