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Per Spotify i festival incentivano la pirateria

Spotify torna a far parlare di sé a causa di un proprio studio da cui si evince che la pirateria aumenterebbe subito dopo i festival e che gli artisti che ritardano lo streaming dei nuovi album sono più soggetti al downloading illegale.
A cura di Francesco Raiola
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Quand'è che il downloading illegale aumenta, se aumenta? Esiste un attimo preciso in cui la gente si getta a capofitto a scaricare musica piuttosto che comprarla? Ebbene sì. Cioè, almeno è quello che dice Spotify, che svela le cifre di un proprio studio. Non bastava essere nell'occhio del ciclone a causa delle controversie sulle revenue agli artisti che hanno visto scagliarsi contro la piattaforma svedese un carico da 90 come Tom Yorke, ma ieri, stando alla BBC, Spotify ci ha svelato che subito dopo i festival la pirateria aumenta esponenzialmente. Esattamente.

"La nostra analisi – dice una nota – ha scoperto un'impennata di download da Torrent immediatamente dopo le performance ai festival". Insomma, ai fan verrebbe un'irrefrenabile voglia di scaricare la musica della band che ha appena visto, piuttosto che andarsela ad ascoltare in streaming. I dati di Spotify, infatti, danno gli streaming e le vendite legali stabili dopo le performance.

Ma non finisce qua. Spotify mette sul chi va là anche i musicisti che decidono di ritardare lo streaming degli album rispetto alla loro uscita. Questo, infatti porterebbe, ancora una volta, i fan a cercare il modo più veloce per procurarsi la novità; modo più veloce che consisterebbe nel downloading illegale, appunto. La piattaforma di streaming porta ad esempio due artisti: ci sono i One Direction che avendo fatto uscire in contemporanea l'album "Take Me Home" nei negozi e in streaming hanno un rapporto di un download illegale ogni 3,97 copie vendute, mentre Rihanna, che ha deciso di ritardare lo streaming dell'album uscito la settimana dopo queklla dei 1D, se ne trova piratato uno ogni 1,36 copie vendute. Insomma, il suggerimento, che ai più maliziosi potrebbe sembrare interessato, è che l'artista dovrebbe far uscire l'album almeno in contemporanea.

Quello che risulta strano è ciò di cui si è molto parlato nei giorni immediatamente successivi al Glastonbury, quando i Mumford & Sons si sono ritrovati a riconquistare i primi posti delle classifiche con "Babel", uscito l'anno scorso, e a vendere un'enormità di album subito dopo la chiusura del festival inglese.

Ad ogni modo, non crediamo che questo studio possa calmare le acque tra Spotify e gli artisti, la cui più grande associazione britannica – la Musicians' Union -, pochi giorni fa ha chiesto di rivedere i pagamenti degli svedesi agli artisti. Subito dopo i tweet di Godrich e Yorke, Spotify aveva annunciato: "Abbiamo già pagato 500 milioni di dollari a i proprietari dei diritti fino ad ora e dalla fine del 2013 questo numero raggiungerà il milione. Molti di questi soldi sono stati investiti per promuovere nuovi talenti e produrre nuova musica”.

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