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Non solo Massimo Volume: Emidio Clementi, la voce magnetica del rock italiano

Nell’attesa del suo prossimo libro e di un nuovo album dei Massimo Volume, freschi del raggiungimento dei venticinque anni di pur frammentaria carriera, puntiamo i riflettori su Emidio Clementi, personalità tra le più intriganti e fulgide del rock italiano cosiddetto alternativo. Ripescando anche il suo ultimo progetto parallelo, Sorge, purtroppo passato un po’ in sordina.
A cura di Federico Guglielmi
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"A volte mi capita di chiedermi se ciò che abbiamo raccolto è meno di ciò che meriteremmo o se è già un miracolo che un gruppo “strano” come i Massimo Volume sia giunto fin qui; la mia percezione delle cose cambia a seconda dell’umore. Credo che, nascendo oggi, probabilmente non avremmo un contratto discografico, ma credo pure che in un altro momento storico avremmo potuto ottenere di più. Comunque, sono globalmente soddisfatto: non abbiamo venduto tantissimo, ma nel nostro piccolo siamo importanti". Si era nella lontana estate del 1999 quando il mio registratore raccolse queste parole di Emidio Clementi, voce-basso e leadership dei Massimo Volume. Al tempo stava per giungere nei negozi il quarto album “Club privé”, che contro ogni previsione sarebbe stato per lungo tempo l’ultimo. Nel gennaio 2002, infatti, l’ensemble optò per un rompete le righe che si ritenne definitivo, poi per fortuna rientrato nell’estate 2008; da allora, un disco dal vivo e due di studio hanno certificato la ritrovata intesa del nucleo storico (Clementi, la batterista Vittoria Burattini, il chitarrista Egle Sommacal), completata con il reclutamento di Stefano Pilia all’altra chitarra. Un nuovo lavoro è in fase di gestazione e, insomma, è lecito ritenere che l’avventura abbia ancora parecchio da offrire e c’è da esserne felici, perché l’esperienza è stata una delle più cruciali e influenti del rock nazionale dei Novanta e oltre, grazie a una formula atipica che con il trascorrere degli anni – compresi quelli dell’assenza dalle scene – ha saputo mantenersi sempre al passo con i tempi che cambiano. Sono un grande “classico”, i Massimo Volume, così come il musicista, scrittore e frontman a suo modo sciamanico che li guida è, senza nulla voler togliere ai suoi talentuosi compagni, una delle figure più significative e carismatiche della canzone nazionale dell’ultimo quarto di secolo. Nonostante lui, più che cantare, declami.

Si è usata l’espressione “quarto di secolo” e lo si è fatto a ragion veduta, visto che l’aggregazione dei Massimo Volume è avvenuta proprio nel 1991, a Bologna. All’epoca non c’era ancora Egle, ed Emidio e Vittoria avevano al fianco Gabriele Ceci (chitarra), Umberto Palazzo (chitarra, voce) e Roberto Bozzetti, alias DJ Rodriguez (scratch). Un demo con quattro tracce inciso nel 1992 apriva la via al primo LP, “Stanze”, prodotto da Manuele Giannini degli Starfuckers e pubblicato l’anno dopo, quando Sommacal era già subentrato a Palazzo (poi fondatore de Il Santo Niente) e Bozzetti non era più della partita. Seguivano “Lungo i bordi” (1995, con Fausto Rossi in console), “Da qui” (1997, con Metello Orsini come ulteriore chitarrista e Steve Piccolo dei Lounge Lizards in cabina di regia) e “Club privé” (1999, senza più Ceci e con Manuel Agnelli alla produzione). Terminata la pausa, toccava al live “Bologna, Nov. 2008” (2009), a “Cattive abitudini” (2010) e ad “Aspettando i barbari” (2013), tutti realizzati dall’attuale organico a quattro Clementi-Burattini-Sommacal-Pilia. Dati, questi, qui riportati non per didascalismo, ma per porre in risalto quante energie e quanti talenti siano stati messi di volta in volta in campo; un impegno premiato dai risultati, ovvero da un sound avvolgente e intensissimo, non privo di affinità con ciò che di norma viene etichettato post-rock, che fornisce al contempo stimoli fisici, emotivi e intellettuali. Nulla a che vedere con l’immediatezza del pop, ovvio, ma la forza suggestiva garantita dalla musica e dai testi, “concretamente visionari” e interpretati con raro pathos dal loro magnetico autore, è dirompente. Del resto, Clementi è un narratore provetto, come dimostrato non solo sulla breve distanza dei brani musicali, ma anche su quella lunga delle pagine scritte: al suo attivo, quattro romanzi (un quinto è in arrivo) e due antologie di racconti. E poi ci sono i reading, le collaborazioni, i progetti più o meno episodici documentati pure su disco, come Agnelli Clementi (con Manuel Agnelli), El Muniria (assieme a Massimo Carozzi e Dario Parisini), Notturno Americano (con Corrado Nuccini ed Emanuele Reverberi dei Giardini di Mirò) e infine Sorge, in coppia con Marco Caldera.

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Il primo e finora unico album del duo, dove Emidio si occupa di voce e pianoforte mentre Marco, ingegnere del suono dei Massimo Volume e coproduttore di “Aspettando i barbari”, è responsabile delle parti elettroniche, non è una novità. “La guerra di domani” è infatti uscito in CD (per La Tempesta) sei mesi fa e in vinile (per la Tannen) a inizio luglio, ma in generale non pare aver goduto di grandi attenzioni e lo stop quasi totale del mercato che si verifica – meno male! – in estate dà l’opportunità di volgere lo sguardo indietro ed eventualmente recuperare quello che di buono si era lasciato alle spalle. E l’esordio dei Sorge, la cui sigla riprende il cognome di una spia sovietica uccisa dai giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale, “buono” è di sicuro, almeno per quanti apprezzano i paesaggi per lo più lividi e i versi tra l’autobiografico e il citazionista tanto amati da Clementi. Dieci pezzi carichi di tensioni ma vellutatamente evocativi che ipnotizzano e costringono a seguirne le trame musicali e verbali, in un efficace equilibrio di alchimie sintetiche mai disturbanti, tocchi pianistici essenziali, voce che non cercando morbidezze si rivela dannatamente espressiva. C’è chi ha osservato che per Emidio l’uso dell’elettronica non è inedito (vero: c’era già, dodici anni, negli El Muniria), e che i Sorge sono in fondo solo una sorta di variazione sul consolidato tema Massimo Volume, ma perché dolersene? Pur non potendo regalare epifanie agli estimatori del Nostro, “La guerra di domani” è un altro intrigante viaggio nella poetica torbidamente romantica di un maestro della canzone d’autore. Che non è cantata bensì declamata, ok, ma in un caso come questo è solo un ininfluente dettaglio.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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