Lo scorso 12 febbraio, a novantuno anni compiuti da un mese, Giusto Pio si è spento a Castelfranco Veneto, dov’era nato. Una scomparsa è sempre un evento doloroso e dunque nessuno pensa neppure lontanamente a minimizzarla, ma non è cinico – non troppo, almeno – osservare che in tanti, tantissimi non avrebbero alcuna esitazione a mettere la firma per una vita come quella del Maestro: lunga, ricca, (per quanto se ne sa) serena, illuminata dall’amore per la musica, portata avanti per lo più sottotraccia ma caratterizzata da momenti di vera e propria gloria. Una gloria di folle, e non solo di nicchia e/o da addetti ai lavori, coincisa con il momento di massimo fulgore del Franco Battiato “pop”, e dopo un po’ rientrata – per fortuna – nei binari di una notorietà non “da popstar”, certo più in sintonia con l’indole riservata e poco propensa alle luci dei riflettori di un uomo che non è stato solo “il violinista di Battiato”, come si legge nei necrologi che in questi giorni sono apparsi ovunque. Va da sé che quel ruolo è incontestabile, ma il rapporto con l’artista siciliano è stato ben più stretto e complesso: una sorta di simbiosi all’insegna dello scambio di input per un progetto che apparteneva a entrambi, sebbene parole e idee musicali di base fossero di Battiato (sempre le prime, quasi sempre le seconde), con Pio a occuparsi in prevalenza di arrangiamenti e direzione d’orchestra (non mancano, però, episodi scritti assieme, specie “conto terzi”). Insomma, non esattamente un Mogol/Battisti di quei primi anni ’80 in cui l’elettronica “povera” regnava sovrana, ma qualcosa di affine.
Ciò detto, sarebbe sterile e terribilmente noioso cercare di scoprire, studiando le note dei molti dischi, i contributi personali di ciascuno. Sarà sufficiente ricordare che la liaison nient’affatto dangereuse, avviata quando nei ’70 Pio impartì a Battiato le prime lezioni di violino e collaudata dall’oscuro 45 giri “Adieu”/”San Marco” pubblicato a nome Astra nel 1978, si è snodata attraverso infine tappe, sia arcinote che sommerse. Tra le seconde, la direzione musicale di “Polli d’allevamento” di Giorgio Gaber e l’arrangiamento dei singoli “Non ci sono più uomini”/Sono ancora viva” di Ombretta Colli e “Valery”/”Roma” di Alfredo Cohen (cofirmato con lo stesso Cohen: il lato A, con varie modifiche, sarebbe poi divenuto “Alexanderplatz”), mentre le altre sono per lo più concentrate fra il 1979 e il 1985: in album di Battiato (“L’era del cinghiale bianco”, “Patriots”, “La voce del padrone”, “L’arca di Noè”, “Orizzonti perduti” e “Mondi lontanissimi”), Alice (“Capo Nord”, “Alice”), Giuni Russo (“Energie”, “Vox”) e Milva (“E dintorni”), e in un tot di 45 giri. Una produzione estesa nella quale ci si orienta con difficoltà, in seguito ulteriormente impinguata, che ha fra i momenti-chiave – a livello di riscontri e limitandosi alla composizione – “Il vento caldo dell’estate”, “Per Elisa” (che nel 1981 vinse Sanremo) e “Messaggio” di Alice, “I treni di Tozeur” di Alice e Battiato, “No Time No Space”, “Temporary Road” e “Lettera al Governatore della Libia” di Battiato, la già menzionata “Alexanderplatz” di Milva, “Good Goodbye” di Giuni Russo; sì, Giusto Pio figura come coautore di tutti i pezzi di cui sopra, e trattandosi di un artista cresciuto nel circuito accademico e non nel circo del pop, non è roba di poco conto.
Questo solo per quanto concerne il lavoro dietro le quinte, perché il Maestro ha realizzato anche otto album ufficiali a suo nome, tutti (quasi) strumentali. L’esordio, prodotto da Franco Battiato e pubblicato nel 1978 dalla storica Cramps, è “Motore immobile” ed è classificabile nel settore della classica contemporanea, così come l’ultimo “Missa Populi (a S.S. Giovanni Paolo II)”, uscito nel 1995 per la Artis, il cui titolo è parecchio esplicativo; in aree stilistiche non distanti, grossomodo improntate all’avanguardia, si muovono poi “Note” (CBS, 1987), “Alla corte di Nefertiti” (L’Ottava, 1988), “Attraverso i cieli” (EMI, 1990) e “Utopie” (La Drogueria di Drugolo, 1990). Più accessibili sono invece “Legione straniera” (1982) e “Restoration” (1983), ambedue editi dalla EMI durante l’infuriare della febbre-Battiato, mutazione “non canzonettistica” del synth-pop portato al successo dalla coppia che si snoda tra agganci all’universo classico, atmosfere da colonna sonora, suggestioni filo-esotiche e trame comunque accattivanti marchiate qua e là dall’utilizzo di cori; all’epoca fioccarono paragoni con i Rondò Veneziano e, sì, qualche similitudine si riscontra. Ai due 33 giri fece da postilla il singolo “Auto-Motion” (EMI, 1984), cantato da Battiato; fu la sigla di una trasmissione TV della RAI dedicata all’informatica, “Chip” (in copertina è indicato erroneamente “Clips”), e non avrebbe sfigurato in “Orizzonti perduti” e “Mondi lontanissimi”. Mai ristampati, i due LP più il 45 giri durano in tutto una settantina di minuti, e potrebbero quindi essere raccolti in un unico CD; non venderebbe probabilmente granché, considerato pure come i vinili originali siano reperibili a cifre assai basse, ma sarebbe un bel modo per ricordare/celebrare questo musicista schivo e a suo modo brillante, che per un breve periodo fu “popstar” per caso ma anche per meriti. I diritti dovrebbero appartenere alla Universal, e chissà che il responsabile del catalogo non sia un estimatore del Maestro.