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Napoli, una città rapita da Liberato, nel bene e nel male

Il fenomeno Liberato: qualcosa di assolutamente inedito, simbolo di come possa esistere un progetto napoletano in grado di rompere le barriere dei confini nazionali e di spaccare l’opinione pubblica a metà.
A cura di Francesco Raiola
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Non si ricorda, a livello musicale almeno, un fenomeno in grado di scatenare, a Napoli, un tale chiacchiericcio come sta avvenendo attorno a Liberato, il progetto musicale misterioso che da un anno imperversa nelle discussioni, nonostante sei singoli (due usciti la settimana scorsa), con altrettanti video e tre live. Il progetto, che ha in Francesco Lettieri il suo volto più visibile, è diventato un simbolo per chi lo ama e chi lo critica. Simbolo di come possa esistere un progetto napoletano in grado di rompere le barriere dei confini nazionali con una eco anche tra il pubblico e le riviste di settore fuori dai confini e simbolo, per gli altri, di un prodotto di puro marketing.

La curiosità per il primo concerto a Napoli

A Napoli, tra appassionati e addetti ai lavori è tutto un discutere su meriti e demeriti del progetto, accuse reciproche, accuse a chi è coinvolto, acuite dall’evento che il nove maggio ha riunito sul lungomare circa ventimila persone in un bel raduno come non si vedeva da tempo (no, quella per Pino Daniele era una situazione diversa). Un rito collettivo che ha confermato le rispettive idee, ma che resterà nella memoria di migliaia di persone che hanno affollato il lungomare e la Rotonda Diaz per assistere al primo concerto di LIBERATO in quella che dovrebbe essere la sua città. Un evento che in pochi giorni e un tam tam sulla rete è diventato un fenomeno che, come ha dimostrato, è andato al di là della sua valenza musicale, aggregando una moltitudine di persone anche molto diverse tra loro (il progetto musicale è veramente trasversale). Una coda lunghissima per l’ingresso nell’area delimitata, migliaia le persone anche al di là delle transenne, un fiume di gente che come un lunghissimo serpente attraversava via Caracciolo per assistere alla reificazione del progetto misterioso che è riuscito a catalizzare un’attenzione mediatica su un progetto in napoletano così come non accadeva da tempo. Bottiglie di vino, maglie con il font ormai caratteristico del progetto, panini e migliaia di cellulari in aria quando sono partite le prime note del set. In un’epoca in cui i cellulari sono entrati a far parte dell’immaginario live è stato comunque impressionante rendersi conto della quantità di luci che contemporaneamente si sono accese per immortalare i vari incappucciati che sono saliti sul palco della Rotonda Diaz. E mai, forse, come questa volta questa fiumana ha avuto più senso. Un senso che è intrinseco proprio del progetto e del suo sviluppo.

LIBERATO e la parola "Marketing"

Quello di Liberato è un progetto che vive di pochi live (tre fino ad ora, più quello del Sonar a giugno) e che si dipana, come avviene sempre più spesso ultimamente, sulla rete, con piattaforme come Spotify e Youtube, fondamentale per la presenza dei video di Lettieri, che sono parte integrante di un progetto multidisciplinare che usa il marketing, come tutte le moderne aziende e come tutti i musicisti. “Marketing”, infatti, non è una parola cattiva in sé: le playlist che ascoltiamo sono marketing, i vinili che compriamo sono marketing, le magliette ai concerti sono marketing, i video musicali sono marketing, le dichiarazioni sui giornali sono marketing, la scelta o meno di fare intro strumentali di un minuto sono marketing, o quelle di mettere un ritornello dopo un numero preciso di secondi. Insomma, molto di quello di cui ci si nutre quotidianamente è marketing. Liberato è il prodotto dei giorni moderni, nato e sviluppatosi online, mescolando influenze varie (dalle sonorità black al cantato che mescola napoletano e inglese, come faceva Pino Daniele, omaggiato proprio durante il concerto) e pian piano col bisogno di affinare la resa live che ieri è stata quantomeno da rimandare.

Le aspettative alte, un concerto piatto

Dopo la partenza con i Nu Guinea, il duo che mescola sonorità funk, soul e afro alla tradizione partenopea, Liberato è salito sul palco per esibirsi nei sei pezzi di cui consta il suo repertorio. Senza particolari picchi, i quaranta minuti circa di concerto sono filati via abbastanza piatti, nonostante si intravedesse (chi scrive era fuori dall’area recintata) la foga di chi era sul palco e si sentisse l’entusiasmo di chi era sotto, un entusiasmo visibile che si sentiva sulla pelle, con tantissime persone sorridenti che cantavano, ballavano sentendosi parte di qualcosa. Forse il problema erano le aspettative, la speranza che questo concerto napoletano – che aveva, inutile negarlo, un’enorme valenza simbolica, – potesse portare qualcosa in più (una canzone, un annuncio, dal momento che lo spettacolo, fumo a parte, non prevedeva grandi scenografie), con qualche problema di audio, almeno per chi non era sotto al palco ma leggermente più spostato. C’è da dire che era il terzo concerto di Liberato e che ci sarà tempo per mettere a punto un live più costruito, per adesso un omaggio a Pino Daniele, un saluto al pubblico e le sei canzoni cantate in ordine sparso. Un concerto karaoke, che ha vissuto anche rimbalzando sulle Stories di Instagram, a conferma di quanto detto sopra.

Liberato è una delle facce della città, in questo momento un volto vincente per quanto riguarda la visibilità e anche la musica. La forza del progetto è nella semplicità dell’idea musicale, ovvero, per semplificare, mescolare sonorità black col napoletano (che è una delle caratteristiche nel neapolitan sound), ripercorrendo, senza copiare, una tradizione vincente, ma anche nella capacità di aver messo a punto un racconto, intercettando – e questo è un punto di vista incredibile – un pubblico veramente trasversale.

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