616 CONDIVISIONI

Nada: la conquista dell’autenticità da ‘Ma che freddo fa’ a ‘L’amore devi seguirlo’

Un nuovo disco di Nada merita sempre attenzione, e “L’amore devi seguirlo”, appena uscito, lo conferma. Impossibile non raccontare qualcosa dell’eclettica artista toscana, uno dei personaggi più “veri” nei quali ci si possa imbattere oggi in Italia.
A cura di Federico Guglielmi
616 CONDIVISIONI
Foto di Andrea Bandini (via ufficio stampa)
Foto di Andrea Bandini (via ufficio stampa)
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

Mi si chiedesse a bruciapelo una sola espressione per inquadrare Nada, sarebbe probabilmente “fuori dagli schemi”; con un po’ di tempo a disposizione me ne verrebbero poi in mente altre ugualmente azzeccate e incisive, ma la prima non potrebbe essere che quella. Perché Nada è davvero una mosca bianca, una figura imprevedibile e inafferrabile, come d’altronde non ebbe difficoltà ad ammettere in un’intervista che le feci quasi dodici anni fa. “Professionalmente mi sono sempre sentita un po’ anomala: se si escludono i primissimi anni, quando ero una ragazzina, ho sempre voluto seguire le mie idee e non adeguarmi a codici prestabiliti e oltretutto rigidi. OK, la musica è il mio lavoro, ma visto che sono io a espormi ci ho sempre tenuto a farlo nella maniera più limpida e sincera; ovviamente faticando non poco, specie a causa di una serie di consolidati pregiudizi a proposito di quale dovesse essere, nella musica italiana, il ruolo della donna". Insomma, una (lunga) storia di diversità, coraggio e determinazione, frastagliata e ricca di colpi di scena, alla quale continuano ad aggiungersi bei capitoli. L’ultimo è un album, il suo diciassettesimo propriamente detto, intitolato “L’amore devi seguirlo” e pubblicato da Santeria/Audioglobe venerdì scorso; album che rimane ancora fedele – incredibile o quasi, visti i continui, bruschi cambiamenti di percorso – alla linea inaugurata all’inizio del millennio, quella che che ha portato l’artista toscana a diventare una specie di stella del rock cosiddetto alternativo attraverso le mille collaborazioni con eminenti personalità del “giro” (Massimo Zamboni, Cesare Basile, John Parish, gli Zen Circus, Enrico Gabrielli, i Criminal Jokers, i Sacri Cuori…), ma anche e soprattutto grazie alla definitiva (?) elaborazione di un suo stile. Già, perché dalla fine dei ’90 Nada ha smesso di essere solo una cantante ed è divenuta a tutti gli effetti una cantautrice.

Non conteggiando live e raccolte, la fase più recente della carriera di Nada ha preso il via nel 1999 con “Dove sei sei” – il suo ultimo album major, prodotto da Mauro Pagani – e la partecipazione a Sanremo con “Guardami negli occhi”, brano autografo di notevole intensità che, a dispetto di qualche levigatezza, può essere considerato un manifesto di intenti, a livello sia di trame strumentali (accattivanti e assieme spigolose), sia di testo (non proprio sereno, dall’incipit “spezzami le ossa”). Erano trascorsi tre decenni esatti dall’esordio al Festival del “Pulcino di Gabbro” – l’avevano battezzata così in riferimento alla sua cittadina natale e alla sua più che verde età: appena quindici anni e due mesi – con “Ma che freddo fa”, brano fra i più famosi dell’Italia dei tardi ‘60, e la metamorfosi era, logicamente, radicale. Nel mezzo, di tutto e di più: altri grandi successi come “Il cuore e uno zingaro” (vittoriosa al Sanremo del 1971) e “Re di denari”, il rifiuto della leggerezza e l’avvicinamento alla canzone d’autore con gli album “Ho scoperto che esisto anch’io” (coprodotto nel 1973 da Piero Ciampi, che ne firmò pure nove brani su dieci) e “1930: il domatore delle scimmie” (1975), frutto del sodalizio con il gruppo romano di progressive Reale Accademia di Musica, il ritorno al pop in chiave ’80 sancito da hit quali “Ti stringerò” e “Amore disperato”, il calo di consensi, il provvisorio semi-ritiro, la tonificante rentrée del Nada Trio, in acustico con Fausto Mesolella e Ferruccio Spinetti della Piccola Orchestra Avion Travel. E poi, appunto, “Guardami negli occhi”, con la Nada matura – ma sempre per qualche verso, ragazzina dentro – che finalmente ha saputo impadronirsi di sé stessa. “Non voglio gentilezze / solo verità / io così diversa / anche se non sai come / difficile capire la semplicità”, si ascolta, e benché il tema sia l’amore viene spontaneo vederci qualcosa di più ampio.

Già, l’amore. Un termine che ricorre nei pezzi e nei titoli di addirittura tre dei sei album di studio editi da quando Nada si è consacrata alle etichette indipendenti: “L’amore è fortissimo il corpo no” (2001), “Tutto l’amore che mi manca” (2004), “Luna in piena” (2007), “Vamp” (2011), “Occupo poco spazio” (2014) e adesso “L’amore devi seguirlo”. Sembrerebbe un’ossessione personale e probabilmente lo è, ma i tormenti legati al sentimento rientrano in un discorso, come dire?, “universale” e non privato, visto che la stabilità affettiva è – alla pari del legame con la Maremma – una delle certezze della vicenda della musicista: nei primi ’70 conobbe Gerry Manzoli, il bassista dei Camaleonti, e da allora sono una cosa sola. Un periodo ricchissimo di eventi, compresi tre libri (uno di poesie e prosa e due romanzi) curiosamente firmati anche con il cognome, quel “Malanima” illo tempore “nascosto” in quanto evocativo di immagini poco rassicuranti per il mondo del pop. “Nomen omen” nemmeno un po’, perché a dispetto delle sue ombre, l’anima di Nada è un posto bello, dove l’autenticità e la profondità regnano sovrane. “L’amore devi seguirlo” lo dimostra per l’ennesima volta con dieci pezzi di scarna e abrasiva raffinatezza all’insegna di un “intimismo estroverso” – ossimoro solo apparente: provare per credere – dal quale è arduo non essere conquistati. A cominciare dal singolo “La canzone dell’amore” – Vedete? Tutto torna! – composto per un gruppo di ragazzi diversamente abili poi coinvolti ai cori, e corredato di un efficacissimo videoclip girato in piano sequenza con lo smartphone.

616 CONDIVISIONI
Immagine
Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views