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Maria Antonietta, da Cristina Campo a Sanremo: “Che tristezza doversi arrendere alle quote rosa”

Maria Antonietta è stata una delle protagoniste, assieme a Levante e Francesca Michielin, della serata delle cover del Festival di Sanremo. La cantautrice è da anni uno dei nomi di punta del mondo musicale che una volta si definiva indie e in questi ultimi anni si ha pubblicato l’album “Deluderti” e il libro Sette ragazze imperdonabili da cui è nato uno spettacolo tra musica e reading.
A cura di Francesco Raiola
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Maria Antonietta
Maria Antonietta

All'ultimo Festival di Sanremo è arrivata in punta di piedi anche Maria Antonietta, che assieme a Francesca Michielin ha accompagnato Levante nella serata delle cover. Le tre artiste hanno cantato sulle note di "Si può dare di più", portando al grande pubblico anche una delle artiste più di peso nel panorama indipendente di questi ultimi anni. Sì, perché Maria Antonietta – il cui vero nome è Letizia Cesarini – da anni, ormai, è una delle realtà più brillanti della scena musicale italiana. Nel 2012 l'album omonimo fu un vero e proprio schiaffo in faccia a tutto l'ambiente e col tempo la cantautrice ha mostrato una scrittura come pochi. A Sanremo è arrivata dopo l'uscita del terzo album "Deluderti" e la serie di concerti reading seguiti all'uscita del libro “Sette ragazze imperdonabili”, un omaggio a Cristina Campo, Etty Hillesum, Antonia Pozzi, Emily Dickinson, Sylvia Plath, Marina Cvetaeva e Giovanna d’Arco. Con lei abbiamo parlato di Sanremo, poesia, del suo prossimo album e di quote rosa.

Ciao Letizia, come ti sei ritrovata sul palco del Festival di Sanremo? Come è arrivato l'invito di Levante?

L'invito da Claudia è arrivato in maniera inaspettata e sorpresa, è stato strano trovarmi catapultata in questa realtà. Quello che mi piace, però, è il fatto di poter condividere uno spazio del genere, uno spazio di narrazione e rappresentazione con due colleghe, il che capita raramente. Penso che al di là delle polemiche sia un fatto molto bello, essere stata coinvolta in uno spazio del genere, istituzionale, mitologico, con quella che è la mia identità, la mia narrazione, che è, comunque, un po' eterodossa, lo trovo molto bello.

Non sei una di quelle artiste che ha paura di cambiare, ma quello di Sanremo è un palco su cui avresti mai pensato di salire?

Sinceramente non ci avevo mai pensato, e non per ideologia – perché penso che qualsiasi tipo di spazio, se lo abiti con la tua identità, va benissimo -, però non ci avevo mai fatto alcun tipo di pensiero, per questo questo invito è stato una sorpresa. Ma è anche una sfida, ti mette in discussione, ti fa riflettere, ti fa studiare, perché vuoi prepararti bene. È stata una sfida faticosa ma divertente.

Poi hai ritrovato anche Francesca Michielin…

Sì, con Francesca ci eravamo già trovate perché era stata ospite nell'ultima data del tour e avevamo fatto un paio di brani insieme. C'era stato modo di agganciarci prima, sono stata molto contenta che ci fosse anche lei e che questo sarebbe stato l'equilibrio del trio.

Esiste un problema di numeri delle donne nella musica? Claudia ha fatto un discorso ragionevole sulle quote rosa ma, mi chiedo, possono essere viste anche come strumento di conoscenza?

Capisco quello che dice Claudia, di primo acchito ragionare in termini di quote rosa, per te che ne benefici, può essere strano psicologicamente perché magari ti fa venire dei pensieri del tipo: ‘Sono qui perché lo merito davvero?', ‘Sono qui perché scelta perché appartengo al genere o sarei stata scelta a prescindere?'. In chi ne beneficia fanno scattare dei pensieri. E poi mi fa tristezza pensare che la nostra civiltà sia così poco evoluta da doversi appoggiare su uno strumento del genere per rendere giustizia alla complessità del mondo. Questa è la premessa, però effettivamente mi viene da dire che forse è uno strumento necessario, perché se no è difficile superare questa difficoltà per una donna di essere credibile, autorevole e di avere le stesse chance di un uomo. Non lo so, mi dovrò arrendere a questa evidenza. Per me è molto triste, è una sconfitta per tutti.

Però l'impressione che ho, guardando anche le uscite, è che il 2020 sarà un bell'anno per le artiste.

C'è un bel fermento, secondo me è un bene anche che si parli così tanto di questi temi, che infiammino così tanto. Al di là delle polemiche, comunque, significa che è qualcosa che riguarda le persone e questo è positivo, perché se tutti si sentono toccate da un tema del genere vuol dire che c'è una crescente consapevolezza.

Il tuo album uscirà quest'anno?

Non ho scadenze o date in testa, dipende quando finisco la fase di scrittura, sicuramente mi piacerebbe chiuderla per il 2020. Anche perché il tour di Deluderti è stato molto bello, il più bello della mia vita, mi sono divertita tantissimo, si era creata una squadra di persone molto equilibrata e per la prima volta nella mia vita sono riuscita a vivere questa attività come un gioco, cosa di cui non ero mai stata capace e se vivi questa cosa come un gioco diventa divertente, quindi hai voglia di farlo ancora.

E il reading, invece?

È stata un'esperienza bellissima, anche perché andavamo in giro in due, io e Daniele Rossi, polistrumentista, e avevamo composto queste musiche ad hoc per le letture, i racconti e le poesie, poi c'erano dei brani che facevano da ponte per le varie narrazioni, quindi era uno spettacolo ibrido tra concerto e reading vero e proprio. Io adoro leggere a voce alta e ti capita raramente di fare nella vita e ho voluto dare sfogo.

Deve essere stimolante far arrivare a qualcuno qualcosa che non conosce, casomai uno viene per Sylvia Plath e scopre Emily Dickinson, no?

Certo, la cosa di cui sono molto contenta è che nel libro e nello spettacolo c'erano delle figure alcune sottovalutate altre misconosciute, penso a Cristina Campo, su tutte, quella meno conosciuta a un pubblico meno specializzato, ma anche Etty Hillesum o Marina Cvetaeva, ed è molto bello quando riesci a dare un contributo di qualche genere in questo senso. Alla fine è una piccola rivincita.

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