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Luigi Grechi, la storia del primo De Gregori

Da oltre quarant’anni Luigi e Francesco De Gregori scrivono musica affine sul piano stilistico ma molto diversa sotto il profilo dei riscontri di pubblico. Un nuovo album antologico attesta che il fratello maggiore avrebbe meritato qualcosa di più.
A cura di Federico Guglielmi
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Essere figli d’arte è di solito una brutta gatta da pelare, ma essere “fratelli d’arte” è probabilmente peggio. Specie quando il campo di azione è proprio lo stesso e quando, da maggiore, si è messi in ombra dal più piccolo, per il quale si è stati un esempio e al quale non solo si sono insegnate tante cose, ma si è addirittura data una spinta decisiva per avviare una poi eccezionale carriera. Luigi è nato sette anni e un giorno prima di Francesco, e dalla prima metà dei ’70 soffre il fatto di essere “l’altro” De Gregori. In realtà lui giura di non avere alcun problema, ma credergli fino in fondo è un po’ difficile: certo non nutre astio né invidie, come dimostrato dalle (pur centellinate) collaborazioni in coppia, ma qualche minimo disappunto sarebbe comprensibile; Francesco avrà pure più talento, più carisma e più “malizia” di Luigi, ma a far gridare vendetta è l’enorme sproporzione in termini di successo. Perché Luigi è un ottimo musicista, ha gusto e scrive canzoni di qualità, e che la sua fama sia circoscritta a pochi affezionati, mentre Francesco è una stella di prima grandezza, sembra ingiusto. Allo stesso modo, è ingiusto che il De Gregori più anziano sia spesso snobbato a priori, come se se quello che fa lo facesse in quanto “raccomandato”; lo so molto bene visto che anch’io, illo tempore, sono scivolato nell’equivoco.

Nel 1977 la Marvel Comics, ispirandosi a un racconto di Isaac Asimov, lanciò la serie a fumetti “What If…?”, nella quale si ipotizzavano sviluppi alternativi delle vite dei super-eroi legate al verificarsi o al non verificarsi di alcuni eventi. Beh, pensandoci viene da domandarsi cosa sarebbe cambiato se sul finire dei Sixties, quando cominciò a esibirsi sul palco dello storico Folkstudio, Luigi non avesse scelto di adottare lo pseudonimo Ludwig e si fosse invece presentato con le sue generalità anagrafiche; Francesco avrebbe di sicuro cercato un altro nome da cui sarebbe stato forse penalizzato, mentre Luigi non sarebbe stato “costretto” a ripiegare sul cognome della mamma – Grechi – quando nel 1976, con il fratello che ne aveva già pubblicati quattro e raccoglieva consensi quasi plebiscitari con “Rimmel”, realizzò il suo 33 giri d’esordio “Accusato di libertà”. “Costretto”, ovviamente, da se stesso e dalla sua onestà intellettuale, perché qualcuno lo avrebbe accusato di voler seguire la scia di Francesco e questo no, sarebbe stato troppo. D’accordo, anche in quei lontanissimi giorni in cui Internet era fantascienza si trattava di un segreto di Pulcinella, ma contava il gesto: non un rifiuto, non un distacco polemico, ma – paradossalmente, viste le circostanze – un’affermazione di identità. E poi Luigi non vedeva la musica come una professione: contava di proseguire nell’attività di bibliotecario intrapresa dopo aver lasciato Roma per Milano. I programmi del destino erano però diversi e a quell’album ne sarebbero seguiti numerosi altri. Sarebbe stato solo con l’ottavo, non contando una cassetta, un EP e una raccolta di auto-cover dalla diffusione carbonara, che il cantautore avrebbe preso la storica decisione di affiancare al “Grechi” il sacrosanto “De Gregori”: è accaduto nel 2012, a sessantotto anni, con “Angeli & fantasmi”.

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Da qualche giorno è in circolazione un nuovo disco di Luigi “Grechi” De Gregori che esattamente nuovo non è, dato che i suoi diciotto episodi sono recuperi dagli ultimi tre lavori (“Pastore di nuvole” del 2003, “Ruggine” del 2007 e, appunto, “Angeli & fantasmi”); la metà di essi erano però riletture di brani più vecchi e allora “Tutto quel che ho 2003-2013”, sul quale è impresso il marchio della Caravan di Francesco, è in effetti un’antologia dell’intero percorso dell’artista, cui si possono magari rimproverare discontinuità e “pigrizia” (il repertorio, a ben vedere, è quantitativamente esiguo) ma non carenze di ispirazione o incisività. Più che eloquente, in tal senso, una scaletta dove musiche aggraziate ma ruspanti in sintonia con il folk-rock americano si legano a testi di rilevante spessore autoriale, all’insegna di uno storytelling che oscilla fra evocatività e protesta. Poi, sì, strutture e approccio canoro rimandano in modo diretto al De Gregori più famoso, benché i testi non siano ermetici e la voce sia più ruvida e meno duttile; è comunque innegabile che la celebre hit – nell’interpretazione di Francesco, però – “Il bandito e il campione”, “Al primo canto del gallo”, “Al falco ed al serpente”, la magnifica “Chitarrista cieco” o “Il fuoco e la danza” (che rende omaggio al classico “Will The Circle Be Unbroken”), per citarne alcuni, brillino di luce intensa. E luce propria, al di là di ogni questione di parentela.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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