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La famiglia di Merlo chiede che il medico di base vada a processo: “Michele poteva salvarsi”

La famiglia ha scritto una lettera in cui chiede che il medico di base Vitaliano Pantaleo vada a processo e che non si arrivi all’archiviazione.
A cura di Redazione Music
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La famiglia di Michele Merlo chiede che l'unico indagato per la morte del cantante vada a processo, come si legge in un documento di sei pagine stilato dall'avocato della famiglia di Mike Bird, morto a causa di una leucemia fulminante il 6 giugno 2021, dopo che nei giorni precedenti aveva fatto avanti e indietro tra visite dal medico di base Vitaliano Pantaleo e pronto soccorso, prima di arrivare a Bologna quando ormai era troppo tardi. L'avvocato della famglia, infatti, ha depositato una memoria in cui si chiede che il medico di base di Rosà, cittadina natale di merlo, sia giudicato per condotta colposa e negligenza. Già lo scorso agosto una superperizia della Procura aveva scritto che Merlo avrebbe potuto salvarsi

Come noto, infatti, Merlo andò a farsi visitare dal medico a seguito di un grosso ematoma e soprattutto di un malessere fisico che lo accompagnava ma le prime diagnosi sottostimato no, stando all'accusa, il problema, ritardando i tempi per intervenire efficacemente e portando, quindi, alla morte, a 29 anni, di Merlo. Il documento è stato stilato adesso che la Procura deve decidere se intervenire per rinviare a giudizio i medico di base oppure archiviare la richiesta. Repubblica riporta stralci della lettera in cui l'avvocato dei merlo sostiene che ci sono gli estremi per andare al dibattimento perché, scrive, il medico è responsabile di non aver fatto le giuste valutazioni per quanto riguarda l'ematoma chiedendo maggiori controlli e non per non aver diagnosticato la malattia.

All'epoca Pantaleo sostenne che fu lo stesso Merlo a trarlo in inganno parlando di una botta ricevuta durante un trasloco e questa cosa avrebbe portato a una diagnosi non corretta. Stando all'avvocato dei Merlo le tempistiche dicono che il cantante avrebbe potuto salvarsi o quantomeno che le possibilità erano alte se la malattia fosse stata diagnosticata in tempo: "Una condotta diligente dell'indagato avrebbe permesso di avviare il trattamento terapeutico previsto e di svilupparne l'efficacia in tempo utile evitando il decesso" ha scritto l'avvocato che ha parlato di una possibilità di successo del 90-95% soprattutto in un soggetto giovane e senza altre patologie. L'avvocato della difesa, però, ha spiegato che "ammesso e non concesso che di diagnosi non corretta si possa trattare, anche se fosse stata fatta il range temporale era troppo ridotto per evitare l’evento".

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