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Il diario di Dimartino #5: Tra Aliano e la luna

Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia.
A cura di Dimartino
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Mentre scendo i gradini che portano a piazzetta pane e vino ascolto questi versi e mi siedo accanto ad altri che come me, sono venuti ad Aliano in questi giorni, al festival della paesologia. Occupiamo scalini di pietra, una piazza, un paese vuoto. Dopo un paio di giorni al festival nasce una vera popolazione provvisoria, con una propria lingua e delle proprie leggi. Di notte Marica disegna con il gesso sulla strada le linee per giocare a “campana” o “piede zoppo” (come lo chiamiamo nel mio paese), il paese diventa bambino. La poetessa Alessandra porta in giro una capra, Aurelio grida qualcosa da un balcone ad alcuni ragazzi di Aliano che suonano per strada un organetto. Bello sarebbe se tutto questo riempiere di vuoti durasse in eterno, se questa popolazione vivesse aldilà del programma stampato su un manifesto.

Tra Aliano e la luna non c’è mare ma montagne di creta: i calanchi. Franco, il paesologo che organizza il festival, ci invita a viverli, a suonarci attorno a raccontarci sopra storie e infine ad arrampicarci. Mentre passeggiamo tra questi giganti di creta, mi sembra di trovarmi nell’antica Roma, i calanchi sono cattedrali di fango duro. Cantiamo le nostre canzoni che qui diventano nude, si perdono nello spazio come le parole dei poeti che tra un calanco e l’altro leggono le loro intimità. Sono le dieci di sera e non si vede una luce, mentre torniamo a piedi verso il paese, mi ritrovo da solo sulla strada nera. Davanti a me due persone discutono: “Cosa ci facciamo qui?” chiede il più giovane dei due, l’altro risponde: “Che domanda è cosa ci facciamo qui? Ci hanno educato così tanto alla luce delle lampade che appena ci lasciano al buio, ci poniamo delle stupide domande esistenziali”.

Ritorniamo al paese con un passaggio, la piazza è piena di gente, il popolo del festival ha nuove facce, la notte arriva senza che ce ne accorgiamo. Sui gradini di pietra della piazzetta pane e vino, c’è chi dorme avvolto in una cerata, chi si è appena innamorato e chi ubriaco dice a tutti che sta pensando di comprare casa ad Aliano. L’alba che per i primi giorni del festival era annunciata come facoltativa, adesso è necessaria. Ci disponiamo a semicerchio verso una vallata. Il solo di un sassofonista riempie il paesaggio, salutiamo il sole, tra poco lasceremo questo incanto.

Me ne vado con in testa una crudele verità, scritta e recitata a bassa voce da Franco Arminio: "La poesia è un mucchietto di neve in un mondo col sale in mano."

Le puntate precedenti:

Noci e la nostalgia accumulata

Assenza a Joggi

Tindari e il vento

Palazzolo Acreide e i cocci sotterrati

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