‘A passo d’uomo’: Tindari e il vento
Il vento a Tindari abita il paese, i turisti ne parlano, lo leggono nei versi di Quasimodo scolpiti su una pietra (Vento a Tindari). Il paese non si vede arrivando, devi fare uno sforzo anche per immaginarlo tra le tende dei souvenir, e gli inviti dei negozianti ad assaggiare le mandorle tostate. Riesco a capirne la geometria soltanto la sera quando i negozi chiudono. Parlo con Davide sull’uscio del suo negozio di madonne nere in miniatura e ricordi per viaggiatori. Mi dice che il paese era già poco abitato ancora prima del 1900 adesso gli abitanti sono poco più di dieci dopo che un anno fa un’ intera famiglia di sette persone è emigrata al nord. Davide non sa dirmi tanto altro rispetto a quello che i turisti si aspettano da questo posto, e in effetti cosa ci si può aspettare di più da un paese, che ha già un santuario con una madonna nera venuta dall’oriente e un teatro greco del IV secolo a.c.
Ci pensa un po’ Davide e mi parla di una leggenda: andando più avanti sulla strada che porta al teatro, tra le rocce scoscese si arriva una grotta che si affaccia sul mare, chiamata grotta di Donna Villa. Donna Villa era una specie di maga circe nostrana, che incantava i marinai capitati per caso e con la scusa di concupirli li divorava, e poi ricopriva la grotta con le loro ossa. Ancora una volta il mito si ripropone in questo mio viaggio, dopodomani passerò lo stretto, stando bene attento a intravedere tra le onde i mostri marini, come ho sempre fatto da quando a otto anni per la prima presi il traghetto. A passo d’uomo continueremo in Calabria alla volta di Ioggi.
Vento a Tindari
(Salvatore Quasimodo)
Tindari, mite ti so
Fra larghi colli pensile sull’acque
Delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.
Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima
A te ignota è la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.
Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.
Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.