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‘A passo d’uomo’: Assenza a Joggi

Il tour di Antonio Dimartino è arrivato a Joggi in provincia di Cosenza per l’Avant Folk Festival. Il suo diario per Fanpage.it racconta il concerto che, per la prima volta nella storia del festival, si è svolto all’interno di una chiesa.
A cura di Dimartino
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La strada che conduce al paese divide due capannoni dismessi coi tetti bucati. S’intravedono dentro residui di mattoni e lamiera accartocciata. Era un ex fabbrica mi dicono, dopo che negli anni novanta è stata chiusa; il paese è diventato un ricovero estivo, novantacinque votanti, pochi giovani. Arrivo in piazza dove stanno allestendo il palco. Davanti al sagrato della piccola chiesa, incontro Lorenzo, Maurizio, Guglielmo: alcuni degli organizzatori dell’”avant folk festival” che quest’anno ha compiuto la maggiore età, ed è diventato l’unico momento di aggregazione del paese, oltre alla festa di San Francesco di Paola. Leggo un cartello con scritto “centro storico”, lo seguo: è il sedici agosto e il paese è vuoto. Passo sotto una volta scura e intravedo da lontano una ragazza bionda che mi fa cenno di rallentare, da un vicolo vicino spunta un altro ragazzo, lei lo sorprende con un “buuu!” e dice qualcosa in polacco. I due non sembrano abitanti di Joggi, forse sono i pronipoti di qualcuno andato via negli anni cinquanta. Arrivo dove finisce il cemento e inizia la campagna e non incontro nessuno; solo il rumore di un rubinetto aperto e un intenso odore di muschio. Ritorno in piazza e parlo un po’ con Maurizio. Mentre è intento ad appendere bandiere della Palestina e del Cosenza, mi indica qualche anziano seduto nelle due panchine affiancate, davanti al belvedere, e mi dice: “Per la festa di San Francesco di Paola, la prima domenica di agosto, sono in molti che tornano, alcuni rimangono anche fino al festival. Guarda: quelli sono australiani, sono arrivati proprio ieri, quegli altri invece sono tedeschi .”

Li guardo e vedo la loro assenza: quando se ne andranno fra qualche giorno; l’assenza dalle panchine, dalle campagne, l’assenza nel loro nuovo sguardo in una città diversa. Cade qualche goccia a riempire il vuoto tra i mattoni, le nuvole dal crinale della collina diventano di un colore scuro: si sta preparando una tempesta. Lorenzo è preoccupato, ma ha un piano B. Convoca una piccola riunione sotto la pioggia, e ci comunica che il parroco ha dato ufficialmente il permesso di spostare il concerto dentro la chiesa. “ La prima volta in diciotto anni di festival” mi dice stupito Maurizio. L’intera comunità radunata nella parrocchia si mobilita, spostano i banconi della chiesa. Solo un’ accortezza chiede il parroco: “ non salite sull’altare”. Intanto discutiamo con Guglielmo del coraggioso gesto di apertura di un prete di paese, che scopro poco dopo essere stato un militante di lotta continua. Nella piccola chiesa consacrata, davanti ai santi immobili nelle nicchie, e ai lumini delle offerte, ogni parola che canto assume un altro significato; ogni colpo di rullante rimbomba in quel luogo in cui poche ore prima è stata celebrata l’omelia della domenica davanti all’assenza del paese.

La mattina dopo, Lorenzo mi dice un po’ preoccupato che qualcuno non ha preso bene l’iniziativa autonoma del parroco, e che il sagrestano gli ha confessato che bisognava togliere almeno il calice dal tabernacolo, per evitare a tutti i costi il rischio di profanazione. Ma soprattutto la preoccupazione di Lorenzo stava nel fatto che non ricordava più l’ordine in cui erano disposti i banchi della chiesa. E questo in un paese è un problema sociale, perché la loro posizione rispetto all’altare è costruita negli anni sulla base dei cognomi delle famiglie del paese, impressi su ogni banco.

(le foto di Assenza a Joggi sono di Angelo Trabace)

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