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Fred De Palma vuole il reggaeton tutto l’anno: “Mi ha salvato la vita”

Dopo il primo tentativo con “Uebe”, Fred De Palma ha pubblicato il primo, vero e proprio, manifesto del reggaeton in Italia con “Unico”, un progetto con cui si lascia indietro il passato rap e cerca di aprire una nuova pista nella musica italiana, un genere che si sta pian piano spogliando di tutti i pregiudizi “estivi” del pubblico.
A cura di Vincenzo Nasto
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Dopo 10 anni di carriera Fred De Palma sembra aver compreso l'evoluzione della propria musica in maniera quasi spirituale, allontanando tutte le scorie negative del passato e abbracciando una nuova cultura, quella reggaeton con "Unico", il suo nuovo disco uscito. Un progetto che definisce "apripista" per un genere musicale che l'Italia guarda ancora con diffidenza, tranne nei mesi estivi. L'obiettivo di Fred De Palma sembra essere proprio questo: slegare il reggaeton dal periodo estivo, un processo che nelle altri latitudini del mondo sembra essere riuscito con molto successo (chiedere a Bad Bunny e al suo 2020). "Unico" ha la pretesa di essere un disco italiano, con featuring italiani, tranne per il giovanissimo Juanfran, stella spagnola classe 2003, e Anitta con cui ha registrato "Paloma" e "Un altro ballo". Senza dimenticarsi il successo di "Ti raggiungerò". "Pa la cultura" non è solo un singolo, ma è l'obiettivo finale di "Unico", il manifesto (per adesso) più importante del reggaeton italiano.

Con quanta pressione stai vivendo l'uscita di Unico? Potrebbe essere il disco più importante della tua carriera. 

So che la pressione è una cosa che non posso controllare, quindi da anni cerco di non affliggermi. L'unica cosa che riesco a controllare è ciò che ho fatto con la mia musica, il viaggio che ho voluto raccontare. Questo è ciò che mi interessa.

C'è stato un momento preciso, durante la tua vita precedente da artista hip hop, in cui è scattato qualcosa, come se ti fossi accorto che non era più quello il tuo viaggio?

Il motivo principale per cui ho iniziato a fare reggaeton è stata la ricerca di nuovi stimoli. Io nel rap ho fatto qualsiasi cosa, dal freestyle agli extrabeat e i singoli, fino al cantautorato hip hop. Sono arrivato al punto di poter continuare su quella strada anche senza grande difficoltà, vista la fanbase molto importante che mi ero costruito. Però tutto ciò non mi rispecchiava più e questa cosa l'ho sentita di più quando ho cominciato ad ascoltare il reggaeton, a scoprirne la cultura. Ho avuto subito voglia di provarci e la scintilla è scattata proprio a cavallo di questi due momenti. Il reggaeton mi ha dato una strada che avrei percorso per primo in Italia, o almeno per primo in italiano.

Il primo, l'unico. Qualcosa che ritorna nella narrazione del tuo nuovo progetto e che si lega tantissimo alla crescita della cultura reggaeton in Italia. Qual è l'obiettivo di Unico?

Io il reggaeton lo sto facendo perché mi piace, ma non solo. Voglio aprire una strada, anche alternativa alla musica che sta arrivando in Italia. "Pa la cultura" è il manifesto del disco, ma l'ambizione del disco è aprire una scena reggaeton nel nostro Paese. Questo disco è una mossa pionieristica, sperando che in futuro ci siano altri artisti a volersi lanciare nel reggaeton.

Nella prima traccia "Mondo", canti che il reggaeton ti ha salvato la vita: in che modo?

Ha sicuramente salvato la mia vita musicale, dandomi un nuovo scopo. Qualcosa di difficile da realizzare, partendo da "Addios", che ha fatto disco d'oro in un anno, ma nei primi sette mesi mi son preso solo gli insulti. Io credo talmente tanto in questo movimento che non ho letto neanche un commento sotto i miei video, non volevo che influenzassero il mio modo di vedere la musica.

Quanti significati assume il titolo Unico?

Unico ha un po' di significati, il più semplice è che sono l'unico artista mainstream italiano a dire: io faccio il reggaeton, se volete seguite il mio viaggio. Ma poi c'è anche il discorso della solitudine, soprattutto quando è cominciato il discorso del reggaeton: ho mollato tutto il mio vecchio management perché pensavano volessi buttare via la mia carriera. Mi son sentito solo e invece ero unico, anche a portare il discorso reggaeton avanti.

Questo disco sembra avere tante anime musicali: da quella più leggera di "Ti raggiungerò", a quella più dark di "Uana", fino a quella più intima di "Niente di te". Come hai approcciato alle sonorità del progetto?

Partiamo dal fatto che sono 10 anni che faccio dischi e ho un background rap che mi facilità l'approccio alla musica, perché so quello che devo fare. Il motivo per cui questo disco ha tante atmosfere è perché non voglio che sia un progetto solo da hit estive, ma che sia un genere che può essere fatto tutto l'anno.

In questo, magari il successo di artisti come Bad Bunny, forse l'artista più importante del 2020, ti ha dato coraggio.

Io ho iniziato con il reggaeton quando a livello mondiale non esisteva, o almeno non faceva numeri importanti. La crescita del genere è una cosa che mi aspettavo, son felice di vedere che quando apro la top 50 mondiale al primo posto molto spesso, c'è un artista latin. Vuol dire che anche la mia idea di una scena reggaeton in Italia non è così impossibile da realizzare.

In "Senza Dio" canti: "Non sono quello che ho, ma quello che ho perso". Come può essere raccontato questo concetto?

Ci sono artisti che magari escono e fanno successo dal primo giorno, così tutto ciò che accade dopo è tutto guadagnato. Poi invece ci sono artisti come me che hanno sacrificato molte cose per la musica, dalle relazioni, agli amici, ma soprattutto la famiglia. Quando segui un percorso così grande, devi trascurare molte cose. Se sono qui, devo molto di più a ciò che ho perso in passato. Quello che ho guadagnato arricchisce il mio presente, il mio passato gli dà un valore speciale.

Quando hai pensato alla produzione di Unico, avevi già in mente gli artisti da invitare nel disco?

Io ero partito dall'idea che volevo mettere tutti gli artisti reggaeton internazionali che mi gasavano, poi ho pensato che quello dovesse essere un passo successivo. Per voler creare una scena reggaeton italiana, avevo bisogno di un disco con artisti italiani, che magari non si erano anche mai confrontati con questo genere. Per esempio artisti come Gué Pequeno e Rosa Chemical performano con il reggaeton perché questa musica ha una provenienza simile a quella dell'hip hop, ha anche quel senso di rivalsa sociale. Ho messo un attimo da parte il disco con ospiti stranieri, perché voglio che questo dischi rimanga come un manifesto del reggaeton italiano.

Però c'è il giovanissimo Juanfran, la stella 18enne con la hit internazionale "Como Llora".

Juanfran è l'unico artista a cantare in spagnolo nel disco, ma avevo anche altri pezzi con artisti stranieri. Lui ci teneva tanto a essere nel mio disco, anche perché avevo fatto il remix della sua hit "Como llora", e per questo l'ho tenuto. Poi il ragazzo spacca, è strano pensare che sia un 2002.

C'è qualcuno degli artisti italiani che ti ha sorpreso?

Diciamo che tutti hanno compreso il mio viaggio e la mia visione, e sentirli a proprio agio è stata la cosa migliore. Quando Rosa Chemical mi ha mandato la strofa, sono letteralmente impazzito. È riuscito a sconvolgermi, è entrato nel mio viaggio, capendo esattamente la visione del brano e del disco. Lui dovrebbe fare reggaeton e mi ha confessato che ci sta pensando molto.

C'è qualcosa che ti rimproveri o rimproveri al pubblico della tua vita artistica passata, e quanto ti senti lontano da quel mondo in questo momento?

Alla fine il rap non è una cosa di cui riesci a liberarti. Se sei nato musicalmente così, lo rimani: basta pensare che con i miei amici faccio ancora freestyle. Io credo che ciò che faccio adesso sia solo un'evoluzione del rap che facevo prima, non mi sento così lontano dal passato. Io nel disco rappo, solo con un sound diverso.

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