Frances Bean Cobain: “Non amo i Nirvana e mio padre Kurt non è un eroe”
"Non amo i Nirvana poi così tanto". A pronunciare queste parole non è stato un fan della musica pop che snobba i tempi d'oro del grunge e degli anni 90. Ironia della sorte, la dichiarazione di disamore per la band, responsabile di quella che è forse stata l'ultima vera rivoluzione del rock, arriva da Frances Bean Cobain. Proprio la figlia di Kurt Cobain, leader dei Nirvana e immortale icona musicale a dispetto della sua scomparsa così precoce e dolorosa ventun'anni fa, ha ammesso di non apprezzare più di tanto l'arte prodotta dal celebre padre.
Lo sconcertante annuncio è stato pronunciato da Frances in un'intervista a Rolling Stone, rilasciata per l'uscita del documentario “Montage of Heck”, dedicato proprio alla figura di Cobain. Il film, diretto da Brett Morgen e presentato in anteprima allo scorso Sundance Film Festival alla presenza della ragazza e della madre Courtney Love, uscirà nelle sale italiane il 28 e 29 aprile.
Non amo così tanto i Nirvana [sorride]. Sono più il tipo da Mercury Rev, Oasis, Brian Jonestown Massacre [ride]. La scena grunge non è qualcosa a cui sono molto interessata. Ma "Territorial Pissings" [da Nevermind] è una canzone dannatamente grande. E "Dumb" [da In Utero], beh, piango tutte le volte che la sento. È una versione essenziale della percezione che Kurt aveva di se stesso, di com'era quando era sotto l'effetto di droghe e quando no, di quanto si sentisse inadeguato a incarnare la voce di una generazione.
A soli 22 anni, nonostante l'ingombrante eredità paterna e un'infanzia difficile contraddistinta dal difficile rapporto con la madre allora tossicodipendente, Frances ha personalità stile da vendere, una passione per l'arte visiva e la consapevolezza di chi forse ha compreso quel padre mai conosciuto più di chiunque altro. E, come precisa a Rolling Stone, ha voluto che nel documentario Kurt non fosse descritto come un eroe e un mito, ma solo come un uomo.
Ho detto subito che non volevo della mitologia o del romanticismo intorno a Kurt. (…) Lui era più grande della vita. E la nostra cultura è ossessionata dai musicisti morti. Ci piace metterli su un piedistallo. Se Kurt fosse stato soltanto un altro ragazzo che ha abbandonato la sua famiglia nel modo più orribile possibile. . . Però non lo era. Ha ispirato le persone, che lo hanno messo su un piedistallo e lo hanno trasformato in San Kurt. Dopo la sua morte è diventato ancora più grande di quanto non fosse da vivo.