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Departure ave.: “La musica si regge su logiche commerciali, non artistiche”

Suadenti e intriganti sono le tracce di “Yarn”, il nuovo lavoro dei Departure ave., che dopo un debutto nel 2012 che li portò ad essere considerati una delle novità musicali più interessanti della scena indipendente italiana, non deludono le aspettative. Gli abbiamo fatto qualche domanda ed hanno risposto, anche solo per una forma di educazione.
A cura di A. P.
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I Departure ave. sono giunti al loro secondo lavoro discografico, dopo il debutto del 2012. La band romana, composta da Lorenzo Autorino, Giulio Bodini, Andrea Coclite e Luigi Costanzo, emergendo tre anni fa si attestò come una delle novità musicali più interessanti della scena indipendente. Sonorità intriganti, suadenti, che seguono rivoli e direzioni inattese, senza un orientamento prestabilito, come sarebbe il lavoro di chi si gode ancora la sensazione di essere "di primo pelo". In queste settimane stanno portando in giro "Yarn", il loro secondo album, anche questo frutto di un retiro scelto dai componenti per isolarsi e trovare l'amalgama necessario. Gli abbiamo fatto qualche domanda, partendo proprio dal chiedergli se si riconoscano nella definizione edificante che la critica, in maniera piuttosto unanime, delineò al loro esordio. E soprattutto: quanto vi interessa essere inclusi in una definizione?

D.a: Ovviamente siamo felici di essere considerati una delle band più promettenti della scena indipendente italiana. Quando è uscito “All the Sunset in a Cup” la risposta della critica è stata molto buona e ci ha fatto molto piacere. Dopo di che le definizioni spesso servono solo a mettere i dischi negli scaffali.

A istinto, pare che in questo secondo album vi svincoliate completamente da un percorso musicale prestabilito. Le registrazioni sembrano dei live, lavori che prendono vita in quel momento. Ci raccontate la scelta di "isolarvi" per registrare i vostri album?

Non cerchiamo di seguire un ‘genere’ particolare e per noi sarebbe solo limitante dire “facciamo il disco che assomigli a qualcosa o qualcuno”. Riguardo l’isolamento è al momento l’unico modo che conosciamo per fare un disco: aveva funzionato con il primo ed è stato così anche per il secondo. È un modo per essere concentrati completamente sulla musica. Ci sembrerebbe strano registrare un brano, tornare a casa, e poi tornare in studio. Almeno per ora è così.

Inutile dire che un lavoro come il vostro assume un respiro completamente diverso se cantato in lingua inglese. Ma esistono altre ragioni che vi abbiano spinto a questa scelta linguistica nella composizione dei testi?

La scelta è stata inconscia. Non sappiamo che tipo di sfumature assumerebbero i nostri lavori se fossero cantati in italiano, diciamo che non ci siamo posti il problema. Le influenze della band, comunque, sono più internazionali che italiane e questo probabilmente ha influito nella scelta. Non ci sentiamo legati a nessun idioma in particolare, l’inglese era la scelta più adatta alle composizioni dei primi due album; chissà che nei prossimi lavori non ci siano delle sorprese.

La sensazione che si prova ad ascoltare i vostri pezzi è quella di un caleidoscopio di reminescenze e ricordi musicali sparsi, ambientazioni che sembrano già note. L'impressione è che, in alcuni passaggi dell'album, abbiate giocato a miscelare delle fonti di ispirazione alle quali siete molto legati, in modo quasi maniacale. E' una percezione sbagliata? E in ogni caso, chi c'è nel vostro Pantheon?

Nel nostro Pantheon ci sono diverse divinità: siamo nati con la passione comune per i Radiohead di Kid A, ma ascoltiamo tanta musica insieme e le nostre influenze vanno dal jazz al trip hop. Nelle nostre camerette si trova musica di ogni tipo, dal post hardcore al gospel, fino al cantautorato italiano. Siamo innanzitutto degli ascoltatori seriali, probabilmente è per questo che si sentono tante mescolanze, e facciamo una gran difficoltà a definire il nostro genere.

Ad un gruppo dalla storia relativamente giovane va doverosamente chiesto che idea abbiano del panorama musicale attuale. Secondo voi, cos'è che nel sistema proprio non funziona e richiederebbe una radicale inversione di tendenza?

Le tecnologie attuali permettono a tutti di fare un disco con un computer e una tastiera midi da trenta euro; questo non vuol dire che sia necessario farlo per forza. Ci sono moltissime proposte musicali, ma la nostra impressione è che la selezione dei progetti più validi sia dettata da logiche commerciali e non artistiche.

Da febbraio state girando l'Italia per far ascoltare "Yarn". Quali sono i progetti per il futuro? Andrete anche all’estero?

Al momento pensiamo a dare il meglio di noi stessi per le date ancora in programma in questo tour.  Per noi la composizione di nuovo materiale rimane la priorità assoluta anche durante la promozione di un disco: ci piacerebbe in futuro coinvolgere alcuni degli artisti con cui abbiamo condiviso l’esperienza di questi ultimi due anni, un po’ com’è avvenuto con Raffaele Casarano in Miles D. Un tour all’estero è in programmazione, probabilmente partirà verso la fine del 2015.

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