Fabrizio De André ha salutato questo mondo l‘11 gennaio del 1999, ma non siamo qui a ricordare un evento luttuoso. Molto meglio una bella storia di vita, cioè quella che esattamente due decenni prima aveva visto assieme sugli stessi palchi il nostro cantautore più celebrato e la nostra più famosa band rock. Il tour di Fabrizio De André con l'accompagnamento (e gli arrangiamenti) dalla Premiata Forneria Marconi si svolse infatti dal 21 dicembre del 1978 (Forlì) al 1 febbraio del 1979 (Trieste) con il recupero della data del 29 dicembre rinviata per problemi di voce: oltre trenta concerti, in massima parte al Nord/Centro, con una scaletta di diciassette episodi che attingeva per nemmeno un terzo dal repertorio storico degli esordi e per il resto dai dischi dei Settanta, compresi alcuni dai tre concept “La buona novella”, “Non al denaro non all'amore né al cielo” e “Storia di un impiegato”. La collaborazione affondava le sue radici nel contributo del gruppo – che all'epoca, 1970, si chiamava ancora I Quelli – a ”La buona novella”, dove l'artista genovese aveva messo in scena, con l'aiuto da dietro le quinte di Roberto Danè e Gian Piero Reverberi, una splendida trasposizione in musica di vari passi dai Vangeli apocrifi. Nonostante la carriera già quasi ventennale, De André non era invece avvezzo ai tour: ne aveva fatto solo uno, di tantissime tappe ma dilatate, nel 1975/76, e i ragazzi della PFM ebbero il loro daffare per convincerlo a imbarcarsi nell'impresa. Se non ci fossero riusciti, tutti si sarebbero persi un trionfo.
Snodatasi fra palazzetti e teatri tenda, la tournée raccolse ovunque applausi a scena aperta, che coprirono i fischi dei pochi puristi per i quali canzone d'autore e rock sarebbero dovuti rimanere mondi separati e distinti. Di Cioccio, Djvas, Mussida, Premoli, Fabbri e l'ospite speciale Roberto Colombo seppero vestire i brani di abiti sontuosi ma piuttosto sobri, che si riallacciavano al progressive frequentato in origine dal quintetto senza peccare di prolissità o autoindulgenza; parecchie delle nuove versioni vennero riproposte pressoché identiche negli anni a venire, confermando quanto il loro autore avesse apprezzato il trattamento PFM. Notevoli fortune toccarono anche ai due LP, “In concerto Vol.1” e “In concerto Vol.2”, ricavati dalle registrazioni delle quattro serate tenute a Firenze e Bologna – due per ciascuna città – dal 13 al 16 gennaio; uscirono nel 1979 e nel 1980, rispettivamente poco prima e poco dopo il ben noto episodio del rapimento di De André e della futura consorte Dori Ghezzi, e per avere una stampa in CD degna dovettero attendere addirittura il 2007, quando la Sony li raccolse in un bellissimo doppio che oggi è fuori catalogo. L'edizione seguente del 2012, quella del cofanetto “I concerti”, ne ha impinguato il programma con le concitate fasi della contestazione organizzata da qualche centinaio di esponenti di Autonomia Operaia alla data del 23 gennaio, a Roma.
In quel lontano giorno io c'ero, al Palaeur poi ribattezzato Palalottomatica, con tutto l'entusiasmo di un diciottenne che fino ad allora non aveva mai visto/ascoltato dal vivo il suo eroe e che finalmente se lo trovava a mezz'ora di macchina da casa, per di più con il sostegno di una delle sue formazioni italiane preferite (terza in graduatoria, per essere precisi, a seguire Area e Banco del Mutuo Soccorso). Dei battibecchi con gli estremisti ricordo poco o nulla, perché rispetto a quanto accaduto nello stesso posto con Lou Reed – AD 1975 – quelle scaramucce verbali furono una passeggiata di salute. Non ho invece dimenticato, nonostante l'acustica pessima che pessima è tuttora, la curiosità e la meraviglia di scoprire – nel ‘79 non esistevano gli smartphone e YouTube – quei pezzi che conoscevo a memoria così brillantemente trasfigurati; e il disappunto nell'accorgermi, all'uscita di “In concerto Vol.1”, che dal disco erano state escluse “Via del campo” e la magnifica “Il testamento di Tito”, nonché l'adattamento dylaniano di “Avventura a Durango”. A risolvere il problema avrebbe provveduto il “Vol.2”, ma al tempo un secondo “live” non era ipotizzabile e di sicuro, senza tutta la pubblicità derivata dal sequestro, non lo sarebbe stato neppure dopo. In ogni caso, a trentasei anni di distanza quegli happening mai replicati rimangono una testimonianza forse meno sorprendente ma certo non meno preziosa. Per chiunque, e non solo per quei circa duecentomila fortunati che possono dire di essere stati presenti.