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“Col nuovo decreto sopravvivono i grandi della musica, ma i piccoli non ce la faranno”

Giorgio Riccitelli è il fondatore di Radar Concerti, uno degli attori principali dei live in Italia. Radar fa parte di quel mondo che riempie il Paese, ogni anno, di concerti di artisti italiani e internazionali: non solo stadi o palazzetti, ma proprio i club e i teatri, quelli che potrebbero organizzare eventi estivi, ma che con le nuove disposizioni non è detto che possano riprendere.
A cura di Francesco Raiola
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Fan di Asap Rocky al Coachella 2016 (ph Frazer Harrison/Getty Images )
Fan di Asap Rocky al Coachella 2016 (ph Frazer Harrison/Getty Images )

Giorgio Riccitelli è il fondatore di Radar Concerti, uno degli attori principali dei live in Italia. Radar fa parte di quel mondo che riempie il Paese, ogni anno, di concerti di artisti italiani e internazionali (dai The XX a Kamasi Washington, passando per Grimes, Asap Rocky, Solange, FKA Twigs o gli italiani Venerus, Ainé e Fadi, tra gli altri): non solo stadi o palazzetti, ma proprio i club e i teatri. È uno di quelli, insomma, che in teoria avrebbe forza, esperienza e capacità per riuscire a organizzare concerti da 200 persone (al chiuso) o mille all'aperto. Ma Riccitelli è scettico sulla possibilità che qualcosa si riesca a fare e il problema sono alcune delle disposizioni previste nell'allegato 9 dell'ultimo Dpcm, quello che fa riferimento ai live e che prevede obbligo di mascherina e "divieto del consumo di cibo e bevande e della vendita al dettaglio di bevande e generi alimentari in occasione degli eventi e durante lo svolgimento degli spettacoli".

Ciao Giorgio, finalmente il Governo ha parlato, cosa ne pensi?

Veniamo da due mesi e mezzo di assoluta non comunicazione da parte delle Istituzioni, quindi abbiamo maturato, in questi mesi, un assoluto disagio e malessere del settore: noi siamo abituati a programmare di anno in anno, quindi avere informazioni di quindici giorni in quindici giorni e non avere una parola certa è stato frustrante. Il nostro settore è considerato come Cultura, ma agli occhi della Politica è più intrattenimento, assumendo una valenza minore rispetto a quella che hanno ai loro occhi il teatro, i musei, e questo nonostante l'importanza della musica durante questo lockdown.

Nelle scorse settimane, però, tra di voi avete parlato e sono anche nate iniziative, giusto?

Si sono creati decine di tavoli di dialogo, tra le categorie, promoter di vari generi musicali, manager, locali, uffici stampa etc e questa cosa ha dato modo di aprire confronti che in passato non c'erano stati. Il che non vuol dire che ci sia stato un tavolo costruttivo col Governo, è stato più un discorso spontaneo nato internamente a una categoria che è stata la prima a essere chiusa e sarà l'ultima a riaprire. Una serie di scambi di idee che ha portato a un'iniziativa importante come La musica che gira, per esempio, ma discorso diverso, invece, con le Istituzioni.

In che senso?

Noi abbiamo sempre provato ad avere direttamente o indirettamente un dialogo col Ministero, anche mettendoci insieme in categorie, ma è stato difficile e come si è visto dal decreto non siamo stati per niente ascoltati.

Decreto alla mano, si dà la possibilità anche minima ai concerti di ripartire, secondo te?

Guarda il problema è che stiamo parlando di Politici che non dico non hanno mai organizzato – visto che non è il loro lavoro – ma neanche mai messo piede a un concerto che non fosse al Teatro alla Scala, all'Arena di Verona, al Primo maggio o comunque in un'area vip. Il fatto di non sapere quali siano le dinamiche che sono dietro all'organizzazione di un evento, la sostenibilità dei costi fissi di un evento di 300 o di 1000 persone, ha dato vita a quell'allegato (l'allegato 9, che prevede le disposizioni per il settore, ndr), che era quello che ci aspettavamo nella peggiore delle ipotesi. Il nostro messaggio è forte e chiaro: noi la possibilità di fare i concerti ve la diamo, in teoria, ma in pratica non sono possibili.

Immagino che fai riferimento soprattutto alle disposizioni su cibo e bevande e sulle mascherine obbligatorie, oltre ai costi che aggiuntivi che graverebbero sugli organizzatori, giusto?

Assolutamente sì e, al contempo, ci sono state delle leggerezze su punti come la biglietteria, momento sempre delicato visto il flusso di persone che crea. Cosa che con i posti numerati a sedere e con un grosso piano di sicurezza si poteva evitare, bastava vendere in prevendita, online, con app, senza aggiungere assembramenti ad assembramenti.

Considerando, poi, che l'acquisto online è una delle cose più comuni per chi va ai concerti…

Ma certo, già si fa e questo fa capire che dei problemi reali ne avevamo già parlato e infatti tra le proposte fatte c'era quella di eliminare la vendita dei biglietti in cassa. Per noi era un danno, ma evitava un ulteriore possibilità di assembramento, loro la danno per possibilità, non obbligo, ma hanno ucciso ogni possibile velleità di organizzazione di eventi.

Questo vale per tutti?

No, c'è da fare una distinzione tra sistemi grandi e piccoli. Il nostro mondo è fatto di grandi eventi, tipo quello delle multinazionali che hanno già incassato i soldi dei grandi eventi e che tramite i voucher si tengono fino al 2021 – un paradiso in cui è facile dire ‘Ci vediamo nel 2021' -, poi ci sono i concerti più piccoli, ovvero quelli che portano il nostro settore a lavorare nella quotidianità: i grandi eventi sono una percentuale minore rispetto al totale annuo. Quindi ci si è volutamente o meno dimenticati di tutto il resto.

Ma voi eravate pronti a ripartire in qualche modo?

Noi eravamo pronti e saremmo stati pronti anche a fare qualcosa di simbolico questa estate. Non ci saremmo arricchiti, ma per noi era importante ripartire, solo che devi essere messo nelle condizioni di farlo. Purtroppo se al già pesantissimo scenario di costi maggiori e di capienze ridotte – cosa che comunque avevamo già messo in conto – aggiungi il punto 8 dell'allegato, che prevede il divieto di consumo e vendita di cibo e bevande diventa tutto impossibile. Tra l'altro è un punto pieno di ambiguità e può essere interpretato in mille modi. Insomma, questo significa che se pure ci fosse stato la velleità di fare qualcosa aggiungendo quel punto i giochi sono finiti.

Che alternativa si poteva trovare per evitare la corsa all'acquisto di cibo e bevande?

Considera che con alcune app si potevano pensare a soluzioni di delivery, ordini online alla postazione, senza far spostare le persone e farle andare a consumare al bancone.

Insomma, il punto è sempre quello, che di solo sbigliettamento non si vive…

In queste settimane abbiamo visto anche la proposta di progetti pittoreschi di live, penso al drive-in, per esempio, ma anche lì ci si sostiene al 90% sui consumi di cibo e bevande, non si fa affidamento sulla vendita dei biglietti. Quindi o cerchi sponsor istituzionali e patrocini, per cui non hai bisogno di vendere biglietti e puoi permetterti di non vendere birra, acqua e cibo o o non puoi fare molto. La mia idea è che questa cosa derivi da incompetenza, hanno voluto evitare problemi ma non hanno capito che a quelle condizioni nessuno può organizzare niente. Detto ciò, noi siamo sempre aperti e disponibili al dialogo per confrontarci su possibili soluzioni: sul punto 8, se ci fossimo confrontati l'avremmo risolta in qualche modo.

E se la risposta fosse che il motivo dello stop a cibo e bevande fosse prettamente sanitario?

Sì, ma questa cosa succederà anche in altre situazioni, dall'asporto ai bar, alle pizzerie. In più ci sono una serie di tecnologie che permettono di fare queste cose senza troppe complicazioni: io rappresento un'app ticketing, Dice.fm, che aveva già tutto presettato per supportare qualsiasi tipo di esigenza, sia di ticketing che di ordinazioni alla postazione. In più, penso che l'estate avrebbe potuto essere una prova per l'indoor di autunno e inverno, ma se sono stati così cauti e repressivi sull'outdoor, immagino cosa succederà per l'indoor, quando il 90% dei locali non saranno idonei e davvero si rischia un blackout fino alla primavera del 2021.

Riassumendo, quindi, a queste condizioni sarà impossibile organizzare eventi?

Col nuovo decreto hanno ucciso ogni possibilità di sostenibilità.

Non hai fiducia neanche sulla ricerca di sponsor?

Lo sponsor per questi eventi è al 90% è di food e beverage, quindi se me li togli è un'assurdità. Noi eravamo già pronti, predisposti, attrezzati ad alti livelli per poter organizzare qualcosa che avesse potuto far ripartire sia culturalmente che socialmente il territorio, anzi i vari territori locali. C'erano le condizioni per essere più elastici, insomma. C'era una grossa opportunità da parte del Governo per dare una boccata d'ossigeno al nostro settore, anche simbolica, ma non l'hanno colta e mi spiace dover notare che la musica dal vivo – e non parlo di grandi eventi – non è trattata come meriterebbe. So di promoter e club piccoli che non ce la faranno, il mio primo pensiero va a loro, anche perché chi ora suona negli stadi è partito dai club piccoli, quindi se uccidi quella realtà uccidi tutta la Cultura. A tutto questo poi aggiungi il fattore psicologico di chi deve tornare ai concerti e disposizioni come l'obbligo delle mascherine e avrai un quadro completo.

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