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Ardecore: la magia della vecchia Roma

A cinque anni dal precedente album, il quarto disco degli inventori del folk-rock in romanesco rinsalda il legame della band con la tradizione. E si afferma come ennesimo, brillante esempio di rinnovamento nella continuità.
A cura di Federico Guglielmi
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Da circa tre anni, e non solo all’interno del GRA, si sente spesso parlare della scena fiorita all’ombra del Colosseo, dove echi nient’affatto lontani della tradizione (il folk locale, insomma) si sposa al rock e a testi in romanesco. Il merito è in buona parte da attribuire a Il Muro del Canto, che si è imposto con una formula musicale di notevolissimo impatto e con un costante impegno a favore di nobili cause sociali e culturali, ma il panorama è ampio e artisticamente policromo, con vari emergenti a seguire ciascuno a sua modo le orme dei veterani. Fra questi ultimi, il ruolo principale è senz’altro da attribuire agli Ardecore, i primi a portare il fenomeno alla ribalta nazionale. Era il 2005 e l’uscita dell'omonimo esordio della band per la purtroppo defunta etichetta de Il Manifesto suscitava grande curiosità: mai era accaduto che qualcuno decidesse di recuperare il patrimonio storico degli stornelli, meglio se ispirati a vicende cupe ed efferate, adattandolo in una chiave non proprio moderna ma quantomeno rinnovata. “Murder ballads de noartri”, insomma. Magnifiche, e rese concettualmente più preziose dal fatto che uno degli ideatori del progetto non fosse nato nella Capitale ma negli Stati Uniti. Il suo nome è Geoff Farina e chi non conosce i Karate, il gruppo da lui fondato a Boston nei '90, si è perso qualcosa di davvero inusuale e bello.

Il vero perno attorno al quale ruotano gli Ardecore è però un romano, Giampaolo Felici. Compositore, chitarrista, cantante, produttore e persino gestore di un club dalla programmazione coraggiosa (l’Init, al Tuscolano), è l’unico filo conduttore dei vari organici alternatisi fino a oggi; un andare-venire-ritornare che conferma la natura di “collettivo più o meno aperto” sulla quale l’ensemble fonda il suo percorso dal 2002 in cui i due lo allestirono assieme all‘intero organico dei devastanti Zu, gente che in teoria – non nella pratica – non dovrebbe essere a proprio agio con trame per lo più acustiche e atmosfere evocative. È stato appunto Felici, dopo l’exploit di ”Ardecore”, a guidare la rivoluzionata compagine verso la canzone d'autore e i brani autografi non necessariamente in romanesco – “Chimera”, l’album pubblicato nel 2007 sempre da Il Manifesto, conquistava la Targa Tenco, categoria “opera prima” – per poi indirizzarla, complici ulteriori modifiche di formazione (cruciale l’innesto di una seconda voce, Sarah Dietrich), all’affresco magari spiazzante ma grandioso del doppio “San Cadoco” (2010). A dispetto della presenza, nel secondo dischetto, di numerosi estratti dal ricco songbook capitolino, sarebbe stato lecito pensare a una definitiva sterzata di carattere “sperimentale”, con le radici della Città Eterna ancor più in secondo piano. E invece…

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E invece, a dieci anni esatti dalla dichiarazione di intenti, gli Ardecore hanno riportato tutto a casa, riallacciandosi al passato e confezionando un quarto lavoro – marchiato come il precedente dalla Sol – le cui direttive sono esplicitamente dichiarate dal titolo ”Vecchia Roma”: sette interpretazioni di gemme romane, alcune baciate da pur relativa notorietà e altre conosciute solo dai cultori del genere, tutte scritte – con l’eccezione della title track, che risale al 1947 – prima della II Guerra Mondiale. Un guardarsi alle spalle ma anche un procedere oltre, giacché lo spirito rétro di “Ardecore” ha ora trovato sostegno in sonorità più complesse e vibranti, figlie delle esperienze successivamente accumulate. L’altra (sostanziale) differenza è nei testi, non più focalizzati in prevalenza su tragedie e morte ma legati a diversi aspetti dell’amore: un sentimento intensissimo che può essere persino drammatico, come rimarcato da pezzi privi di banalità – le immagini “da cartolina” sono solo nella splendida confezione – nei quali affiorano spesso magiche sfumature gospel. Arduo rileggere pagine “antiche” con un così efficace e brillante equilibrio fra profondo rispetto per i modelli e personalità nell’affrontarne creativamente la revisione, fra la cura riservata ai dettagli strumentali e canori e la bruciante, incontenibile passione che di Giampaolo Felici e compagni ha finora benedetto ogni passo. “Vecchia Roma” dimostra che, sì, l’obiettivo poteva essere centrato. In pieno.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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