Willie Peyote porta la Locura a Sanremo: “Facciamo musichette mentre fuori c’è la morte”
Tra gli outsider del 71esimo Festival di Sanremo non si può che includere Willie Peyote. Non è un caso che Fiorello, nella prima conferenza stampa del Festival, lo ha comparato a Orietta Berti per rendere l'idea di come questo Festival provi a guardare all'oggi senza scordare la tradizione. In un certo senso Willie Peyote canta esattamente questo con la "Mai dire mai (la Locura)" che porta a Sanremo, titolo che dice tutto per alcuni e poco per molti altri, non a caso. Un testo che prende a schiaffi e che non ha paura di ironizzare sul festival stesso che lo ospita. Abbiamo parlato con Willie Peyote, all'anagrafe Guglielmo Bruno, alla vigilia del suo debutto a Sanremo 2021.
Partiamo proprio dal titolo, "Mai dire mai" (del sottotitolo ci occuperemo dopo). Perché hai scelto questa frase?
Ne faccio una questione di coerenza. Siamo parte di un mondo in cui si giudica con troppa velocità, in cui si vive di superficialità e quando vedo qualcuno che si prende la briga di accusare gli altri sentendosi ‘cavaliere senza macchia' , mi viene voglia di dirgli "mai dire mai". Nessuno di noi è davvero immune da colpe, oggi più che mai. Si fa tanto in fretta a schierarsi dalla parte giusta, ma non siamo sempre così coerenti.
C'è continuità con il "siamo tutti parte del problema" che cantavi in un tuo pezzo di qualche tempo fa.
Assolutamente, è un concetto da cui non posso prescindere. Secondo me siamo tutti parte del problema, tutto dipende da noi, anche la politica è figlia nostra. Commentare le cose dall'esterno, con distacco, come se noi fossimo degli spettatori passivi, non ci fa capire il peso che abbiamo effettivamente. Dovremmo noi stessi renderci conto di essere parte delle cose che commentiamo.
Bugo e Morgan, il twerk di Elettra Lamborghini: in questo brano critichi esplicitamente elementi che sono rappresentazione plastica del "sistema Sanremo". La critica non rischia di perdere in credibilità se fatta da quello stesso palco?
In realtà la mia non è propriamente una critica, ma una presa in giro. Vale la pena prendersi in giro quando si fa parte del carrozzone – penso a quello che fa Ricky Gervais ai Golden Globe – perché lo trovo un modo per restituire verità a ciò che si fa. Se fossi andato a Sanremo senza sottolinearne la sostanza, non avrei reso giustizia alla realtà dei fatti. Io non critico il twerk in sé come forma di emancipazione, piuttosto il fatto che un gesto spontaneo di Elettra Lamborghini sia stato interpretato dall'opinione pubblica come un simbolo di lotta al patriarcato. Il tutto mentre ogni sera sul palco si parlava di parità di genere con una retorica a dir poco stucchevole. Contesto fortemente il modo in cui eleggiamo a simboli persone e azioni che in realtà non hanno la pretesa di esserlo.
Temi che questo alone di perbenismo possa caratterizzare anche questo Festival?
Sicuramente, Sanremo è fatto anche di quello. Ci saranno dei momenti di retorica – ad esempio penso alla situazione dei lavoratori dello spettacolo, alla pandemia – ma quello è il vero compito del festival ed è giusto che lo faccia. Non lo faccio io e se vado al Festival voglio conservare una coerenza con me stesso. Piuttosto è curioso che loro mi abbiano accettato con questa proposta evidentemente provocatoria. Bisognerebbe chiederlo più ad Amadeus perché mi abbia accettato in gara.
La stand-up comedy e il commento irriverente restano punti fermi del tuo mondo. Non a caso durante le serate commenterai il Festival in compagnia di due comici: Federica Cacciola e Daniele Fabbri. Tutto questo che c'entra con Sanremo?
Ma io penso che in questi anni abbiamo visto altri esempi di chi è intervenuto a Sanremo prendendone in giro la retorica. Ricordo Pio ed Amedeo che due anni fa hanno fatto un pezzo a Sanremo che con Sanremo c'entrava poco e credo che anche Fiorello andrà in quella direzione. A mio modo di vedere, più la situazione è grave fuori, più c'è il bisogno di prendersi in giro. In Italia la situazione è sempre stata grave ma non seria, mentre oggi è il contrario: la situazione è seria e dobbiamo parlarne seriamente senza prenderci troppo sul serio. La satira e la stand-up ci vengono in soccorso per questo, ci insegnano a prenderci per il culo parlando di cose serie.
"Questa è l'Italia del futuro, un paese di musichette mentre fuori c'è la morte". Il tuo brano in gara inizia citando uno tra i concetti più evocativi di Boris che ha segnato una generazione ed è noto a molti, ma non a tutti. Che cos'è La Locura?
Pur non conoscendola, è una frase che, sentita all'inizio di un pezzo, ti sbatte in faccia la realtà: noi oggi stiamo andando a fare le musichette mentre fuori c'è la morte. Se sostituiamo Gli occhi del cuore con Sanremo, quel monologo di Valerio Aprea ci sta benissimo. Tutti blaterano di un futuro senza sapere esattamente cosa vogliono, mentre Sanremo è notoriamente il passato. Il fatto che nel cast ci siamo io ed altri, che di quel mondo non fanno parte, rientra in un meccanismo classico che vuole svecchiare Sanremo e renderlo gioioso e allegro. Questa, in fondo, è locura.
Pensi che lo capiranno tutti?
Non ho la pretesa di pensare che tutti coglieranno quel tipo di provocazione ed ironia, ma d'altronde questo accade per molte altre cose.
Fammi un esempio.
Si veda il caso de "l'Ultimo Concerto", l'evento di pochi giorni fa. Ho letto di persone che hanno reagito all'iniziativa in modo critico, protestando per un concerto annunciato che di fatto non c'è stato, senza comprendere il senso della protesta. Una reazione che sottolinea il protagonismo generalizzato degli utenti, del pubblico, dei fan, questa tendenza a percepirci sempre al centro delle cose. Il nostro telefono ci permette di scegliere la nostra informazione, di tracciare i confini del nostro mondo, con il risultato di illuderci che il mondo sia quello. Ne parlo anche in senso autocritico, sia ben chiaro, sono il primo ad esserne vittima.
La tua cifra stilistica è questa, commenti la realtà che ti circonda senza mezzi termini. Il tempo sospeso che stiamo vivendo, in cui non sappiamo chi saremo, è per te più semplice o più complesso da raccontare in canzone?
Per me è molto più complesso. Ora che è tutto fermo, non ho molto elementi da descrivere o su cui possa soffermarmi. È un anno che accadono sempre le stesse cose ed io ho difficoltà ad isolarmi dal mondo, magari scrivendo di una storia d'amore di quindici anni fa. Sto male oggi e devo parlare di quello che vedo oggi. Invidio chiunque riesca a fare il contrario, io purtroppo non riesco a non guardare fuori dalla finestra.
Nella serata del giovedì canterai Giudizi Universali con Samuele Bersani. Ci aggiungerai del tuo o resterete fedeli al pezzo originale?
Il pezzo resta com'è e dovrò mettermi alla prova per dimostrare di essere all'altezza di un brano come quello di Samuele, che si fa in quel modo perché ha già tutti gli ingredienti necessari per essere un capolavoro. Le parole di quella canzone sono così pesate, misurate, che qualsiasi aggiunta avrebbe generato uno squilibrio. Un conto è riscrivere Il Bombarolo di De André 40 anni dopo come ho fatto, per provare a restituire la percezione del mondo che è cambiato senza poi cambiare troppo; ma il pezzo di Samuele funziona perfettamente oggi, perché tratta di un argomento che non ha a che fare con l'evoluzione dell'umanità. In fondo siamo gli stessi di quando lui ha scritto quel brano.
Ti definiranno un rapper per semplificare. Ti sta bene?
Per me Sanremo o la va o la spacca, voglio dare la sensazione che, pur essendo identificato come un rapper, vengo da un percorso che ha toccato anche altri generi musicali, che quello che scrivo sia il frutto di molte passioni e spunti, che vanno da Ricky Gervais a Samuele Bersani.
Un pronostico per questo Sanremo è d'obbligo.
Nessuno ha ancora sentito le canzoni degli altri, ma a scatola chiusa ho i miei favoriti e credo che quest'anno qualche underdog possa andare a prendersi la palma del migliore. Penso a Colapesce e Di Martino, La Rappresentante di Lista, musicisti di spessore che lo meriterebbero, ma anche Madame, che pur essendo giovanissima ha già colpito tutti. Non includo Michielin-Fedez e i Maneskin perché partono coi favori del pronostico, è come incontrare il Real Madrid in Champions League.
Restiamo sulla metafora calcistica, in questa Champions League tu che squadra sei?
A me piacerebbe essere l'Atalanta, ma io non mi sento una squadra da Champions League, io sono come il Toro che dopo 6 anni ancora si ricorda di aver vinto al San Mames e lo ritiene un grande risultato. Perché a noi tifosi del Torino basta poco.
Non infierirò sul campionato del Toro, anche perché da napoletano non è che me la passi molto meglio.
Vi sono vicino e mi spiace tanto per Rino. Ecco, posso dire che se dovessi scegliere chi essere nel mondo del calcio, mi piacerebbe essere una persona come Gattuso, un hombre vertical mai banale nelle sue esternazioni, che nelle dichiarazioni se la rischia spesso. Non si nasconde mai dietro a un dito, può fare bene o male il suo lavoro ma non si può dire che non sia una persona stimabile. Il paragone non mi dispiacerebbe, posso dire delle minchiate e fare errori, ma non mi si può contestare che non sia coerente o che faccia cose per piaggeria.