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Willie Peyote canta la depressione del lockdown: “Avevamo veramente bisogno dei tormentoni estivi?”

Willie Peyote è uno degli artisti italiani contemporanei in grado di maneggiare meglio la materia d’attualità, il carico di sentimenti e frustrazioni con cui la società che ci circonda ci mette a confronto ogni giorno. A fine agosto, l cantautore torinese ha voluto mettere in musica e testo quello che sentiva ed è uscita “La depressione è un periodo dell’anno”.
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A cura di Francesco Raiola
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Willie Peyote (ph Andrea Nose Barchi)
Willie Peyote (ph Andrea Nose Barchi)

Willie Peyote è uno degli artisti italiani contemporanei in grado di maneggiare meglio la materia d'attualità, il carico di sentimenti e frustrazioni con cui la società odierna ci mette a confronto ogni giorno. Non è semplice, per un artista, fotografare un momento, e il fatto che l'evoluzione del mercato di questi anni abbia portato lo spettro ad allargarsi e puntare spesso sulle instant song – da scrivere, produrre e pubblicare immediatamente, così da pensare subito al tema successivo – non ha per forza aumentato la capacità, appunto, di cogliere il lato giusto delle questioni. Il limite è sempre quello: la retorica. Affrontare un tema caldo, in epoca di social, rischia di gettarci in un frullatore di banalità o già sentito, ma fortunatamente il cantautore torinese è tra quelli che riesce a smarcarsene bene, i suoi incastri di rime, i giochi di parole, e la qualità della scelte delle parole (oltre alla quantità linguistica) lo rendono uno di quelli in grado di muoversi su questo pavimento d'uova. "La depressione è un periodo dell'anno" è lì a dimostrarci come cristallizzare delle emozioni aiuti anche a chiarirle a chi quelle cose le pensava sempre in astratto. Il lockdown, l'isolamento, il liberi tutti, le difficoltà, l'estate, hanno accompagnato tutti noi e Willie, zavorrato dal peso dei social, ha deciso di allontanarsene un po' e chiamare quello che sentiva con il nome che meritava. Visto come uno stigma, la depressione è qualcosa con cui tantissime persone convivono ogni giorno e che l'isolamento ha spesso aumentato ed è da lì che il cantautore è voluto partire, prima di snocciolare tutta una serie di barre che rispecchiano quello che ha vissuto.

Depressione non è una parola semplice da usare, in questo mondo musicale, radiofonico…

Non mi sono posto il problema, perché in questo momento questo è quello che penso e provo e purtroppo da molti mesi. È vero che non è radiofonico e piacevole però non posso neanche fare finta che non sia il mio sentimento – e non solo mio – da un sacco di tempo a questa parte. Non volendo essere un pezzo radiofonico, poi, non mi sono proprio posto quel problema.

Dentro è pieno, pregno, come ogni tuo testo: come nasce un testo del genere?

Questo pezzo nasce proprio dalla frase del titolo, non ricordo precisamente il contesto in cui mi è venuto in mente che la depressione, come una sorta di rassegnazione, ogni tot mi torna, come una stagione dell'anno. Solo che quest'anno, in particolare, questa depressione dura da mesi, quindi tutto è nato da lì. È un pezzo diverso dagli altri perché ho provato e voluto testare un tipo di ritmiche e sonorità vagamente diverse dalle precedenti, perché era il momento adatto per farlo.

Quanta distanza c'è tra questo e il singolo precedente "Ogni giorno alle 18", due facce della stessa medaglie?

Trovo che questo sia un grido di dolore più del precedente che era caustico ma era più ironico. Dopo mesi in cui non riuscivo più a sentire e leggere determinati discorsi da un lato e dall'altro, ero veramente stufo, questo è un grido. Quello di una persona che non ce la fa più a leggere sui social e sentire in tv tutti che sanno tutto e tutti che devono dire quotidianamente la loro sull'argomento del giorno, non ce la facevo più. Quindi, mentre prima eravamo all'inizio della pandemia e il mio era un prendere in giro come stavamo reagendo, in questo caso è molto più doloroso il sentire, perché ci siamo resi conto che non è andata bene come speravamo e come tutti abbiamo fatto finta di credere e sarà ancora lunga.

"Vecchio ascolta me, conta l’emozione, lo storytelling, la narrazione. Se mi da contro è una fake news, se mi da ragione è controinformazione”. È vero che a un certo punto ti sei allontanato dai social? È lì che si cela uno dei problemi?

Sì, assolutamente, perché quella di esprimere la propria opinione diventa una droga, si cerca di ricevere il riscontro più positivo possibile, soprattutto su Twitter, dove c'è la gara fa essere i più arguti e i primi a fare la battuta giusta sull'argomento del giorno. Ma dobbiamo far ridere su tutto ogni santo giorno? Io avevo bisogno di distaccarmene, anche se per lavoro non ci sono riuscito del tutto, sto sui social anche per vedere un po' cosa succede, quali sono gli argomenti di cui si dibatte, quindi non sono riuscito a uscirne, se non limitando me stesso a commentare: ho letto i commenti degli altri e io ho preferito stare zitto, perché tanto una voce in più non sentiva.

A un certo punto canti "E a te chi t'ha chiesto qualcosa? Cosa significa tutta ‘sta roba che scrivi? È noiosa. ‘Sti cantanti che fanno politica sono tra i peggio falliti". In qualche modo anche tu hai comunque bisogno di sfogarlo questo disagio…

Guarda, da un lato c'era la necessità di ricordare al pubblico che c'ero ancora, anche perché alcuni mi avevano chiesto che fine avessi fatto, preoccupandosi anche per la mia salute, e in questo periodo non ci si può prendere un periodo troppo lungo di vacanza senza far uscire niente, dall'altro c'era l'esigenza di dire "Mi avete rotto i coglioni!".

Alla fine il senso di un artista, in fondo, è anche fissare dei concetti che a volte sembrano astratti.

Per me è terapeutico, anche nella misura in cui nel farlo le capisco io stesso meglio le mie idee. Insomma, non nascondo che era più un esercizio per me stesso, non avevo la pretesa di rappresentare per forza tutti. Sono convinto anche che siccome musica ne esce e ne uscirà, quello che ti dico è che se devo fare una canzone come la fanno tutti, parlando come se niente fosse dell'amore che si è appena interrotto o del disco di platino e del Rolex che ho al polso, c'è già chi lo fa. Non serve che aggiunga un nuovo pezzo d'amore o egotrip, è anche un modo per distinguermi.

Poi sono arrivati sui social a dirti di non rompere le palle e di fare il cantante, servo delle élite e dei politici?

Guarda, col fatto che me lo sono detto da solo nella canzone, paraculo, non c'erano strumenti per farlo. Qualcuno però è venuto dicendo che è già tutto una merda, perché anche io mi sono messo a rompermi i coglioni? E in fondo è anche giusto, però non so dirti per quale fortuna, sono più quelli che se proprio vogliono dire qualcosa dicono qualcosa di positivo. Molti meno hater di quelli che mi aspetterei ogni volta e lo dico con dispiacere perché gli hater servono.

Il riferimento a Billie Eilish e Taxi B come nasce?

Sono fan di entrambi, era solo un riferimento all'uso ricreativo dello Xanax e poi Taxi B faceva quasi rima con Craxi e mi faceva ridere.

E quello ai tormentoni?

Ecco, per quanto riguarda i tormentoni, penso forse non era l'estate giusta per farli, con quel tipo di leggerezza lì, perché, appunto, da lì al prossimo tormentone sul "Non ce n'è Coviddì" di Angela da Mondello, il passo è breve. So di dire una cosa forte, ma era veramente l'estate giusta per andare tutti in spiaggia ad accalcarsi dicendo che c'era bisogno di farlo? Certo che avevamo bisogno di farlo, io non lavoro da febbraio, i miei collaboratori non sanno se faranno questo lavoro ancora per molto tempo, perché se questa cosa si protrae bisognerà trovare un altro lavoro, ovvio che abbiamo tutti bisogno di svago, ma ogni tanto si può provare a ragionare sul fatto che ce lo teniamo questo bisogno e non dobbiamo per forza sfogarci ogni due secondi?

E invece il prossimo futuro come lo vedi, proprio a proposito di lavoro, collaboratori e anche iniziative.

Guarda, mi sono informato su tutto, ho partecipato alle riunioni di diverse organizzazioni, compresa La musica che gira, sto seguendo Scena unita, io sono sempre d'accordo sulle campagne di questo genere, per quanto siano mediatiche, e nel mio piccolo cerco di fare quello che posso per chi mi è più vicino, senza doverlo sbandierare. Mi sono occupato e continuerò a farlo di supportare chi mi sta vicino, le persone che fanno parte del progetto, ma molto più in generale, anche perché si tratta di una quarantina di famiglia. Ma non perché non mi importa degli altri, solo perché secondo me si parte da chi ti sta più vicino, io non posso mettere mezzo milione di euro in una raccolta fondi, posso mettere qualcosa nel mio piccolo per chi è più vicino.

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