Ricordate la vecchia storia del genuino spirito rock, quello libero e avventuroso, che non fa (né farà mai) parte del DNA dei musicisti italiani e che comunque non può conciliarsi con l'uso di testi nella lingua che fu di Dante? Come ogni luogo comune ha un suo piccolo fondo di verità, ma sentirlo tirare in ballo a proposito dei Verdena susciterebbe solo urla di disapprovazione e risatine di scherno. Non fosse bastato il poker di album pubblicati dal 1999 al 2007, a dimostrarlo ha provveduto esattamente quattro anni fa – era il 18 gennaio 2011 – il monumentale “Wow”, quello che secondo il gergo di noi cronisti di cose di musica è “il disco della definitiva consacrazione”: due CD, ventisette tracce all'insegna di una creatività senza vincoli, un secondo posto nella nostra pur asfittica classifica di vendita, un lungo tour di quelli che, per rimanere al gergo, “non fanno prigionieri”. Punto game set match e tutti a casa, con tanti affettuosi saluti a chi non voleva credere che l'eccellenza del vero rock nazionale risiedesse ad Albino, città di 18.000 abitanti in provincia di Bergamo.
Dare un seguito adeguato a un lavoro di tale spessore non era uno scherzo, ma il chitarrista/tastierista e cantante Alberto Ferrari, la bassista Roberta Sammarelli e il batterista Luca Ferrari – i tre ragazzi più o meno trentacinquenni da sempre titolari del progetto – non se ne sono affatto preoccupati e millequattrocentosettanta giorni dopo – ovvero, oggi – hanno immesso sul mercato “Endkadenz Vol.1”, prima parte di quello che doveva essere un normale doppio CD ma che è diventato un doppio in due tranche; a quanto pare la nuova politica della Universal, etichetta cui il gruppo è legato dall'inizio della sua storia, non contempla più il formato e allora c'era poco da fare. Il secondo blocco di quanto venuto fuori da mesi (e mesi, e mesi…) di prove e registrazioni nel mitico Henhouse, già pollaio di casa Ferrari, vedrà la luce entro l'estate e sarà, a fidarsi di Alberto, “più matto, e forse più leggero; ci saranno anche pezzi più heavy metal, ma non ne mancheranno di tranquilli”. “Il primo capitolo è più cupo, più triste”, mi ha detto ancora il frontman nell'intervista rilasciatami assieme al fratello per la rivista “Classic Rock”, “e a suo modo è vicino soprattutto al nostro quarto album ‘Requiem’. I pezzi hanno strutture piuttosto strane, che nell'approccio al songwriting si riallacciano a quelle dei vecchi tempi, ma con un estro più moderno. Sono tutti derivati da jam in studio; ormai noi tre siamo assieme da talmente tanto che componiamo in maniera estremamente spontanea”.
Raccolta di canzoni che hanno in comune solo l'essere frutto del medesimo, pur dilatat(issim)o sforzo creativo, “Endkadenz Vol.1” accantona stacchetti ed esperimenti per proporsi come “opera pop” nel senso più estroso e non-commerciale – benché le melodie coinvolgenti ci siano, eccome! – del termine. Non un concept-album – “anche se d'istinto si potrebbe pensarlo, come per ‘Sgt.Pepper’ dei Beatles”: Alberto Ferrari dixit – ma cinquantanove minuti di rock altamente suggestivo in cui anni '60, ‘70 e ‘90 sono uniti in un abbraccio psichedelico, nelle musiche ruvidamente evocative così come in versi che sanno essere tanto spiazzanti quanto stimolanti. Nell'attesa che gli altri tredici episodi “complementari” – i due volumi sono uguali per numero di tracce – definiscano “Endkadenz” nella sua globalità, nei byte del CD o del download e nei solchi del doppio 33 giri c'è comunque di che esaltarsi. Alberto e Luca indicano “Puzzle”, “Inno del perdersi” e “Nevischio” come tre dei possibili pezzi-chiave della loro ultima fatica, ma ovunque si peschi lo si fa bene. Come del resto sempre, quando ci sono di mezzo i Verdena, purché con la giusta forma mentis. “La musica difficile da assimilare di primo acchito è spesso più interessante”, hanno asserito i Ferrari Bros, e noi sottoscriviamo. Con piena convinzione.