Oggi, martedì 6 ottobre 2015, Ivan Graziani avrebbe compiuto settant’anni. Nel mondo reale, dove i condizionali lasciano il tempo che trovano e dove i brutti mali non rispettano il talento, la personalità e la simpatia, è arrivato appena a cinquantuno: se n’è andato, non senza lottare, mentre tutti festeggiavano il primo giorno del 1997. Di lui ci rimangono una discografia ricca e piuttosto frastagliata, nella quale figurano alcuni brani scolpiti nella storia della musica di casa nostra e varie altre canzoni meno note ma, come dire?, “diversamente speciali”. Eppure, la sensazione di quanti ne hanno approfondito un minimo le gesta è che il cantautore e rocker (nonché disegnatore/fumettista) di Teramo non goda, in generale, di un apprezzamento adeguato ai suoi meriti; non è stato “dimenticato”, questo per fortuna no, ma non mi pare che nei suoi confronti siano mai state avviate pratiche di beatificazione affini a quelle che hanno avuto per oggetto, per esempio, Rino Gaetano. Sia chiaro, lungi da me voler stilare graduatorie di merito fra i due sfortunati artisti, ma… insomma, di Ivan Graziani si dovrebbe parlare più spesso e in modo meno superficiale, non fosse altro perché per lui mancano i termini di paragone. Io ho provato, con impegno, a far saltar fuori qualcuno che davvero gli assomigliasse, ma non ci sono mica riuscito.
Il “mio” Ivan Graziani preferito è quello della seconda metà dei Settanta, quando raggiunse il grande successo dopo circa quindici anni di esperienze comunque rilevanti all’interno di gruppi e come turnista di lusso, oltre che in proprio. Al tempo, lo straordinario tris comprendente “I lupi” (1977), “Pigro” (1978) e “Agnese dolce Agnese” (1979) girava molto sul mio piatto e questa passione mi portò ad assistere a due concerti romani – Teatro Giulio Cesare 21 aprile 1978 e Teatro Tenda 29 aprile 1979, certifica il mio infallibile archivio – dei quali ho comprensibilmente conservato giusto qualche (vivido) flash. E quando nel 2002 redassi per una rivista un articolo dedicato a “Cento album fondamentali” del rock nazionale, scegliere solo uno di quei tre titoli fu una fatica improba. La spuntò “Agnese dolce Agnese”, quello della consacrazione, che commentai con queste parole. “Chitarrista di notevolissime capacità e cantante dall’inconfondibile voce morbida e sottile, Ivan Graziani realizza il suo capolavoro con un quinto album dove la vena melodica convive brillantemente con l’indole rock. A farsi apprezzare, però, è anche e soprattutto un songwriting originale e imprevedibile che oscilla tra arie malinconiche, toni energici e accenni folk dosando evocatività, romanticismo, leggerezza e ironia; mai più nella sua pur lunga carriera, stroncata da un male incurabile il 1 gennaio 1997, il cantautore rock abruzzese saprà esprimersi con la stessa ispirazione, lo stesso equilibrio e lo stesso gusto mostrati in questi dieci episodi, tra i quali spiccano gli atipici e frizzanti ‘Taglia la testa al gallo’ e ‘Il prete di Anghiari’, l’intenso ‘Fuoco sulla collina’, il dolcissimo ‘Agnese’”.
Ulteriori tredici anni dopo, scriverei esattamente le stesse cose, aggiungendo magari una nota a proposito di testi assai particolari a livello di trame, protagonisti, metriche e linguaggio. Un discorso che vale per ogni altra opera di Graziani, alla pari di quelli sulla sua perizia alla sei corde, sull’atipicità della sua voce, sul non-allineamento della sua scrittura ai classici canoni del rock e del pop. Non potrei mai affermare che i suoi album – quelli normali sono tredici, ma come già accennato esiste una complessa produzione “collaterale” – siano tutti capolavori, ma i tre del 1977-1979 meritano senza dubbio la qualifica e nelle scalette di ognuno degli altri emergono sempre almeno un paio di gemme. Sacrosanto, dunque, cercare di tenerne viva la memoria con iniziative “ad hoc” come antologie, recuperi di materiale edito e non, tributi. Chi oggi sarà a Teramo potrà assistere, in Piazza Martiri della Libertà, a una serata di festa alla quale prenderanno parte cover band, colleghi, amici e ovviamente i figli Tommy e Filippo; per tutti, invece, ci saranno la prima ristampa in CD del live del 1982 “Parla tu”, la diffusione in digitale di “Piknik” del 1986 e, nel prossimo futuro, il recupero di “Arcipelago Chieti”, romanzo uscito nel 1972 che gli fu ispirato dal servizio militare. Alziamo allora il bicchiere in onore del vecchio Ivan. Magari stappando una bottiglia di Pigro, il vino “commemorativo” che ha per etichetta la copertina dello storico 33 giri.