Non è una novità che nel nostro Paese, in campo musicale (e non solo, purtroppo), la qualità incontra di rado il favore delle masse. Lo fa se è di gusto “nazionalpopolare”, come nel caso dei freschissimi vincitori dell'ultimo Sanremo: ragazzi a posto e vocalmente dotati, certo, ma “carne da mercato” in mano ai soliti burattinai. Invece, gli artisti che scrivono ciò che interpretano, non si genuflettono alle tendenze più in voga presso il grande pubblico ed estraggono crocifissi e aglio se sentono la parola “talent” hanno quasi sempre vita dura, e certe luccicanti vetrine le guardano al massimo dal divano di casa. Frustrante? Forse sì, specie essendo convinti di meritare spazi e consensi maggiori, ma volete mettere la soddisfazione di poter assecondare la propria indole creativa e non trovarsi mai intrappolati in meccanismi umilianti? C‘è chi china il capo e chi lo alza con orgoglio, e Umberto Maria Giardini appartiene alla seconda categoria. Alle volte lo fa in modo un po' spigoloso e questo non lo aiuta a raccogliere simpatie, ma ognuno è fatto alla sua maniera. E, poi, quello che conta è la musica, no?
Giardini, in verità, sul palco dell'Ariston c'è pure salito, quando adottava – l'ha fatto dal 1999 al 2010 – lo pseudonimo Moltheni: alla kermesse del 2000 aveva presentato il brano “Nutriente”. Non si trattava, ovviamente, del solito pezzo da Sanremo, così come lui non era davvero il tipico personaggio da Festival; il successo fu relativo, ma l'esperienza servì a maturare ulteriori consapevolezze. Idem per quanto riguarda lo sconcerto della sua casa discografica di allora, la BMG, di fronte al suo secondo, bellissimo album “Fiducia nel nulla migliore”. Nel 2001 fu l'ultimo lavoro del Nostro a uscire per una major e non c'è da stupirsene: quando non si vuol saperne di adeguarsi alle regole e di mostrare il volto che “conviene”, in certi ambienti è difficile muoversi. Così, senza curarsi del ridimensionamento, Umberto è andato avanti senza problemi, realizzando opere mai meno che belle e in alcuni casi – una su tutte, “Splendore terrore” del 2005 – magnifiche. Questo fino al 2010, quando l‘allora quarantaduenne cantautore – marchigiano di nascita ma a lungo girovago anche fuori dai confini italiani, prima di appendere il cappello a Bologna – ha annunciato un ritiro dalle scene che si sarebbe rivelato solo un addio a Moltheni. Il ritorno, contraddistinto dall'adozione delle generalità anagrafiche, è avvenuto nell‘autunno 2012 con “La dieta dell'imperatrice”, seguito l'anno dopo dall'EP di inediti “Ognuno di noi è un po' anticristo”. Da due settimane esatte è invece in vendita il secondo capitolo della “nuova” avventura, che si intitola “Protestantesima”. E che è, com'era legittimo ipotizzare, riuscitissimo sotto ogni profilo.
Dieci pezzi (compresa una ghost track) ancora organizzati con il produttore Antonio Cooper Cupertino, “Protestantesima” non segna nette deviazioni da un percorso ormai definito. Possono cambiare alcune sfumature, come ad esempio il ricorso a trame meno fragili e globalmente più coese e incisive, ma il mondo di Giardini rimane quello di un rock d'autore di immediata riconoscibilità e rilevante spessore, fondato su equilibri strumentali elaborati con la massima cura ma non per questo artificiosi, melodie non scontate e sempre accattivanti, avvolgenti atmosfere filo-psichedeliche che sottolineano l'evocatività e l‘intensità di testi vissuti emotivamente e non solo interpretati, oltretutto pregevoli sul piano della forma poetica e dei concetti espressi. Canzoni per le quali il termine “intrattenimento” ha un significato più profondo della norma, italiane nella lingua dei versi e poco altro, che sanno scavare e ipnotizzare. E illuminare, a dispetto dell‘aura di malinconia che le sovrasta senza soffocarle.