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Tornano gli Zero Assoluto: “Mai lasciato la musica, ma ci siamo conquistati la libertà di sparire”

Gli Zero Assoluto tornano live con un concerto a Roma e a Fanpage.it raccontano il successo, lo stop, i pregiudizi e le loro nuove carriere.
A cura di Francesco Raiola
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C'è stato un momento nella discografia italiana in cui gli Zero Assoluto erano bestseller assoluti, creatori di tormentoni, e come spesso capita leggermente invisi alla critica, vittime del successo che pare non possa portare con sé anche la qualità. Ma Matteo Maffucci e Thomas De Gasperi – autori di canzoni come Svegliarsi la mattina, Sei parte di me, Per dimenticare – hanno aspettato, si sono presi il tempo necessario per lanciarsi anche in altre carriera da imprenditori (il primo con l'agenzia One Shot Agency e il secondo con Mkers) e pian piano hanno raccolto quello che hanno seminato. Se discograficamente non si erano mai fermati troppo (con brani come "Cialde", "Psicologia sociale", "Sardegna" e feat di Gazzelle e Colapesce), avevano interrotto completamente la dimensione live, finché hanno pensato che fosse il momento di tornare e dopo un antipasto al Fabrique di Milano, prima dell'estate, si stanno preparando al ritorno vero e proprio con una data, il 12 dicembre, al Palasport di Roma con ospiti come Alfa, Gazzelle, Fulminacci e Noemi. A Fanpage.it hanno raccontato il successo, lo stop, i progetti laterali, la scelta di ripartire live.

Vi direi bentornati, ma in realtà non è che ve ne siate mai andati, no?

Thomas: Mi piace che tu dica che ci siamo sempre stati, la verità è che siamo stati assenti soprattutto dal mondo dei concerti. Ci siamo presi una pausa perché nonostante la musica sia un super privilegio devi sempre stare attento che non diventi una routine e ogni tanto devi fare un po' di pulizia. Doveva essere una sola estate, poi si è prolungata, anche a causa del percorso che ognuno di noi ha cominciato per mettersi alla prova su altre cose, quando la musica era data per scontata. A un certo punto Matteo mi disse che voleva aprire un'agenzia di comunicazione a Milano e io gli dissi "Vai". Io, al contempo, ho voluto provare un'avventura sempre imprenditoriale a Roma, nel mondo dei videogiochi: questa cosa da una parte ci ha rapiti ma allo stesso tempo ci ha fatto costruire un occhio più critico su un cambiamento digitale che c'era stato, e così attraverso le nostre aziende abbiamo scoperto l'attualità.

Uno stop dovuto anche al fatto che quei progetti, nati laterali, stanno andando bene, no?

M: Certo, infatti la scommessa è stata quella di metterci alla prova e provare a realizzare anche gli altri sogni che avevamo. La parte imprenditoriale legata alla comunicazione è qualcosa che è sempre esistita, parallela al percorso musicale, che così abbiamo fermato un attimo, anche perché c'è il rischio di cominciare a parlarti addosso, che la musica possa diventare un obbligo, sia da un punto di vista professionale che artistico. Siccome la musica l'abbiamo sempre vissuta come un grande privilegio, una grande passione, qualcosa da coccolare e plasmare a nostra immagine e somiglianza, abbiamo pensato che stare zitti sarebbe stata la mossa strategica più intelligente della nostra vita e cosa che è stato: il tempo regala la possibilità anche agli altri di fare riflessioni sul nostro percorso e questo ci ha portato dei riconoscimenti emotivi da parte della gente e degli addetti ai lavori. Più eravamo in silenzio, più aumentava quella voglia, quella nostalgia di un nostro ritorno. certo, non suonare live per sei, sette anni è un tempo da Interstellar per il mercato musicale.

Discograficamente, però, non vi siete fermati…

M: No, abbiamo continuato a scrivere, abbiamo sempre usato un meccanismo di sobrietà, nel senso di uscire e mettere musica fuori perché l'idea, pian piano, era di tornare. Ci dicevamo: torneranno quel guizzo e quel coraggio, perché quando ti allontani alle scene subentra pure quel meccanismo un po' di paura.

T: Sai, non volevi sbagliare, la musica e la sua fruizione sono cambiate nel giro di pochi anni, da che la nostra generazione era legata ai dischi e ai cd, pian piano è diventata completamente digitale e noi ci sentivamo di non aver capito in che posto eravamo posizionati, quindi abbiamo cominciato a fare degli esperimenti di pubblicazione, usando anche l'aiuto di artisti che nel frattempo avevamo conosciuto, come Gazzelle, Colapesce, per scrivere e inserirci in un contesto come quello. Discograficamente abbiamo sempre fatto qualcosa, per i concerti non avevamo quel coraggio, però quest'anno abbiamo abbattuto questo timore.

M: Ed è stato sorprendente.

Qualche mese fa il Fabrique, infatti, vi ha dato il gusto di ritentare.

M: Certo, da un punto di vista emotivo, quando siamo tornati sul palco, ci è arrivato addosso uno tsunami d'affetto, da generazioni diverse, anche giovanissimi, e qui capisci sia il valore dei social ma anche quello dei brani, perché quando quelle canzoni restano in circolo, poi possono essere riscoperte continuamente e a loro volta diventano trend su TikTok, colonne sonore di esperienze di ragazzi, quindi abbiamo trovato un bel po' di pubblico molto più giovane di noi.

Avere un'agenzia importante e piena di talent come One Shot ha aiutato in qualche modo?

M: L'aiuto più importante è soprattutto strutturale, di gestione: io riesco a essere un ottimo manager all'interno dell'agenzia, ma fare il manager di me stesso è più complesso, perché non ho quel livello di lucidità. Avere Thomas, che non lavora con me quotidianamente, lo rende libero nel giudizio sul progetto. Gli infuencer, poi, sono teste pensanti, quindi è ovvio che costruisci rapporti personali, però, per esempio, "Per dimenticare" è diventata virale su TikTok perché è stata presa e spacchettata dalla viralità pura del social, non è stata una campagna costruita da un'agenzia, la viralità deve essere profonda, vera, se no non funziona. Da un punto di vista di metodologia, di racconto e uscita dei nostri brani abbiamo una preparazione professionale.

T: Sul discorso degli influencer non è che sono al tuo servizio, però ti racconto una cosa: abbiamo fatto uscire una canzone che si chiama Cialde e a un certo punto abbiamo trovato che due dei talent dell'agenzia di Matteo se ne erano innamorati, l'avevano fatta sentire in ufficio, e ci hanno chiesto se potessero farne il video e l'hanno fatto. Quella cosa lì sicuramente su Youtube ha dato una spinta, ma non era quello l'obiettivo.

E proprio su Youtube ha ha fatto numeri incredibili…

T: Sì, ma la storia è più lunga: questi due talent si riuniscono, anche come coppia, quindi fanno questo video, c'è stato un momento di hype durato qualche giorno, questa cosa sicuramente ci ha aiutato e la canzone ha cominciato ad andare su Youtube, a performare un po'. Passano i mesi e casualmente Matteo si accorge che il video aveva raggiunto circa 15 milioni di views, ottimo risultato anche se strano, perché alcuni nostri video fanno qualche milione ma quel numero era troppo grande, ci pare strano. Sai, avevamo cambiato distribuzione e così abbiamo chiesto cosa stesse succedendo, avevamo paura che stessero pompando in qualche modo, volevamo che fosse tutto corretto. A quel punto cominciamo ad assistere a una situazione in cui comincia a crescere vertiginosamente: 35 milioni, 80 milioni, continuiamo a chiedere il motivo di questa crescita vertiginosa…

Preoccupati, quindi, non contenti…

M: Preoccupati, perché questa crescita non era proporzionata. Poi ci hanno spiegato che per una serie di motivi legati al fatto che la protagonista e il mondo scenografico del video, che era un posto bellissimo, aveva un immaginario bollywoodiano e tutta la zona indiana lo stava guardando…

Come vivete l'effetto nostalgia che volente e nolente vi coglie?

M: Ci siamo resi conto, in età adulta, che il nostro repertorio è molto ricco di brani che sono rimasti, quindi la canzone innesca proprio un effetto nostalgia: è come quando riascolti la canzone con cui hai vissuto un'esperienza particolare, puoi anche non essere mai stato il più grande fan di un artista, ma quella canzone fa parte di te a prescindere. C'è un effetto nostalgia da un punto di visto di coscienza, però, non di posizionamento, il mercato della musica è cresciuto con la caratteristica di essere super onnivoro, bisogna uscire continuamente, fagocitare tante canzoni, farne uscire tre, quattro, cinque in un mese, ma in realtà questo momento la musica ha bisogno di respiro, tra un disco e l'altro bisogna avere l'intelligenza anche di stare in silenzio, capisco che non è facile.

Avere strade alternative alla musica consolidate immagino vi dia anche quel po' di libertà in più di potervi prendere tempo, no?

T: Quella è la conquista. Abbiamo conquistato sul campo la possibilità di non essere obbligati a mangiare con la musica, possiamo trattarla per quello che per noi è sempre stata da quando avevamo 15-16 anni, divertimento, che non significa superficialità, anche perché siamo ambiziosi, desiderosi di essere protagonisti, la parte competitiva non si è assopita, la viviamo con una leggerezza che forse tanti altri artisti non vivono, ma sono stagioni.

M: Forse più che leggerezza è assenza di una certa pressione. Quando hai un progetto musicale, non ci vivi solo tu, ma uno staff intero e comincia a esserci una certa pressione su di te: ci sono famiglie che vivono di questo, la musica non può non andare bene e questa pressione, per uno che deve mettersi a scrivere delle canzoni è il contrario di quello che dovrebbe essere, non l'obbligo che qualcosa debba funzionare, quella cosa ti ammazza.

Voi avete vissuto il cliché del successo e del naso storto da parte della critica…

M: Il tempo ti concede la possibilità di essere riletto, rivisto, reinterpretato, quindi è l'unica cosa che porta in sé la crescita: questa cosa avviene quando cominci a superare quella soglia d'età e riesci a rimanere nel mercato, nell'aria. E molti artisti di nuova generazione, che amiamo e a cui siamo vicini da un punto di vista sonoro, ce l'hanno riconosciuto nel tempo, quindi anche quella cosa lì ci ha dato molto più coraggio, forza e entusiasmo.

Ne soffrivate?

M: No, perché poi quando sali sul palco e hai una moltitudine di gente che ti canta in faccia le canzoni non ci pensi: mentre surfavamo l'onda era più divertente surfarla che pensare al critico che diceva: "La canzone è debole", sì, però è prima in classifica. Ciao.

C'era un po' di egotrip…

M: Certo, ma sarebbe venuto a chiunque quell'egotrip, poi bisogna anche capire di chi era realmente l'egotrip. Adesso, invece, la percezione è diversa anche nella stampa, i giornalisti dicono che siamo i fratelli maggiori di tutto un certo filone indie e noi ce lo portiamo a casa, ma non perché penso che sia davvero così, sicuramente alcuni di questi artisti hanno delle somiglianze, altri non c'entrano nulla, però mi fa piacere che da un punto di vista sonoro e di metodologia di scrittura, molto per immagini e cinematografica, sia una di quelle cose che è esplosa sotto altre forme nel corso del tempo.

T: Forse questo strano percorso dal rap al cantautorato, che prima era una follia, col rap che non poteva essere contaminato, lo abbiamo un po' sdoganato. Questa trasformazione, che oggi è normale, ai nostri tempi non era un percorso sperimentale e folle per cercare di cambiare tutto, ma un percorso in cerca di una nostra identità, perché non eravamo così hardcore da essere hip hop, ma non eravamo neanche il pop cantato alla Laura Pausini.

M: Se senti i dischi, non solo i singoli – che quando diventano hit entrano in un'altra categoria – sono terribilmente punk, come approccio, intendo, non suono, senti una certa sperimentazione. Poi ti confronti con la tua generazione e quando avevamo 20 anni era inevitabile che i nostri pezzi funzionavano con chi aveva 14 anni, non 70, quindi anche quel meccanismo innesca un pregiudizio, quando hai i ragazzini che ti ascoltano. Oggi, invece, questa cosa è cambiata tantissimo, la musica è molto più trasversale nel suo racconto, anche perché si è abbassata tantissimo l'età degli artisti che diventano star, un tempo se facevi successo attorno ai 25 anni eri giovanissimo, mentre oggi ci sono realtà famose che hanno anche 20 anni, che non significa che hanno solo fan 12enni.

Vi faccio anche la domanda del periodo: avete sentito Amadeus?

M: Gli manderemo sicuramente qualche canzone, e qualunque sua risposta per noi andrà benissimo. Mettiamola così, non ci ha chiamato, però le canzoni gliele faremo sentire, siamo molto felici delle canzoni che abbiamo, di alcune abbiamo fatto bellissime session anche con artisti che amiamo e se non andranno a Sanremo usciranno comunque. Sanremo è stressante ma super divertente, però il senso della libertà che ci siamo conquistati ci permette di provarci e se non andrà quest'anno ci proveremo il prossimo.

Ne farete un album?

M: Ce lo chiediamo ogni giorno, da un punto di vista concettuale trovo l'idea disco, a meno che non sia un concept, senza troppo senso adesso. Proprio per la velocità di fruizione musica rischi che con un disco alcuni pezzi si perdano e siccome il nostro approccio alle canzoni è che le viviamo sul serio, viverle di volta in volta ti regala la possibilità di poterle raccontarle un po' di più. Le canzoni hanno bisogno di tempo.

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