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Tommaso Paradiso: “Mi sono seduto all’inferno e ho fatto pace coi miei mostri”

Tommaso Paradiso è tornato con il suo secondo album solista “Sensazione stupenda” in cui continua a mantenere l’impronta che lo ha caratterizzato in questi anni, ma con una maturità maggiore.
A cura di Francesco Raiola
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Tommaso Paradiso (ph Alessandro Treves)
Tommaso Paradiso (ph Alessandro Treves)

Sensazione stupenda è solo il secondo disco solista di Tommaso Paradiso, uno degli artisti che ha cambiato la strada dell'indie italiano. "Solo" perché sembra che il cantautore abbia vissuto già tante vite, tra i Thegiornalisti e la sua carriera solista, e sicuramente il suono costruito da lui e da Matteo Cantaluppi ha influenzato tutto ciò che è seguito a "Fuoricampo". Paradiso torna con un album che lo rappresenta pienamente, che mescola nostalgia e synth, melodie che non escono dalla testa e un amore per la canzone in sé che diventa spesso materia di scrittura. A Fanpage, il cantautore racconta come nasce Sensazione Stupenda, un lavoro che dentro ha il ritorno alla vita dopo i momenti difficili vissuto col Covid, quell'inferno da cui è tornato ripescando sensazioni della musica leggera italiana, dagli Antonello Venditti ai Pino Daniele, ma senza perdere quella che, ormai, è la sua impronta.

Quando nasce Sensazione stupenda?

Il disco l'ho scritto negli ultimi due anni, quando sono tornato a vivere dopo la pandemia e quando hanno riaperto i concerti, ho riabbracciato la gente, dopo questi due, tre anni difficilissimi che abbiamo vissuto. Avevo scritto quel disco molto malinconico e triste che era Space Cowboy, che io amo peraltro, ma che era stato scritto mentre ero chiuso in casa da solo con Carolina (la compagna, ndr): ero al pianoforte, sul terrazzo, non sapevo più dove sbattere la testa. Appena sono uscito di nuovo fuori e ho ricominciato la vita normale mi sono riesplose tutte le cose che avevo dentro, è un disco nato un po' da questa sensazione di voler riabbracciare la vita.

Quindi è da qui che nascono i versi: "È una sensazione stupenda sapersi sedere all’inferno, sapersi godere il momento, spiccare il volo, essere in aria"?

Esatto, mi sono dovuto sedere all'inferno perché a un certo punto, secondo me, dobbiamo farlo tutti, dobbiamo fare pace coi nostri mostri, stringergli la mano, dire che siamo fatti della stessa sostanza e poi da lì, quando tocchi un po' il male, lo vivi e alla fine spicchi il volo. È una fase logica della vita, anzi mi è servita pure, è questa la sensazione stupenda.

Ma quei mostri nascevano dalla dimensione artistica e dall'esplosione di popolarità che avevi vissuto?

Le volte che ho più sofferto nella mia vita sono quelle in cui finivo di lavorare. Ci sono molte persone, miei colleghi anche, che hanno la capacità di stare bene anche senza lavorare oppure di fare altre cose, a me piace molto lavorare, quindi quando finivo questi tour infiniti, immensi, bellissimi, pieni di energia, pieni di persone, pieni di amore, a un certo punto finivo da solo a casa ad affrontare la solitudine. Per dirla come se fossimo in un film degli anni '80 di Vanzina: quando finisce la festa c'è quel senso di malinconia che ti abbatte, quindi adesso, grazie a Dio, ricomincia tutto e siamo felici così.

Quando scrivi: "Non ti voglio vendere niente, scrivo per non morire, per passare un po’ di tempo insieme" mi pare quasi che ci sia il bisogno di mettere le mani avanti, no?

Ma no, guarda, quella frase è nata molto spontaneamente: quando ho iniziato a fare musica l'ho sempre fatto senza pensare a scopi o a fini, ho sempre fatto musica per fare musica, scrivo canzoni perché mi escono canzoni e volevo scrivere canzoni, quindi quella frase voleva proprio dire: "Puoi anche non comprarla, non ti voglio vendere niente, cioè io scrivo solo perché ho esigenza di scrivere, poi quello che succede succede, ma è sempre nata da un'esigenza che ho dentro". Dico "Scrivo per non morire" perché in realtà è quella l'esigenza non è tanto venderti qualcosa, ma è proprio una mia necessità.

Però anche arrivare a migliaia di persone…

Certo, non è che sto schifando il successo, ovviamente, ho avuto anche una buona fortuna.

A proposito dello scrivere canzoni, ne parli spesso all'interno delle tue canzoni…

Vero, io la definisco "vaschite", per esempio nel cinema c'è chi fa cinema nel cinema, Tarantino è uno di questi, ma lo fanno anche Martin Scorsese e Woody Allen. Poi c'è chi è molto fissato con la canzone, io ne sono un patito, quindi è vero, cito molto il mestiere del cantautore nella musica che faccio.

Il sax con cui parte Trieste è un omaggio ai sax della canzone italiana: ai Venditti e ai Pino Daniele?

Beh, sì, Pino Daniele è uscito fuori tantissimo in questi anni, ho sempre mostrato molto la mia passione per Dalla, Venditti, per lo stesso Vasco, però alla fine è sbocciata anche questa passione: pensa a quando dico "ngoppa a ‘sta terra", in napoletano, io sono di origine campana e alla fine uscita fuori da questa cosa. Il sax, poi, è uno strumento che amo, ho ascoltato tantissimo Springsteen in questi anni, cosa che non avevo mai fatto prima, e mi sono anche innamorato proprio di questa springstitutide del sax. E questo disco, secondo me, raccontava molto bene la mia vita, oltre che nei testi, proprio nella musica, perché sono riuscito a unire queste due facce: non ero mai riuscito prima, neanche coi Thegiornalisti, a unire la mia passione per la musica organica, ovvero quella suonata appunto dal sax, dal pianoforte, dal basso, dal violino, dalla chitarra che è quella musica live, diciamo così, a tutto l'aspetto invece più sintetico, anni '80, che è quel lato che ha caratterizzato tutta la produzione dei Thegiornalisti grazie anche a Matteo Cantaluppi, che è il produttore di questo disco e anche di altri che ho fatto in passato, con cui siamo riusciti a mettere insieme queste due sfere.

Sai che Ngopp a ‘sta terra è anche una bellissima poesia di Eduardo de Filippo?

Guarda, la famiglia De Filippo, Totò, la famiglia De Sica, per me sono padri naturali, cioè sono parte integrante del mio Dna, anche in Malafemmena ci sono quei versi che recitano "Pecché ‘ncopp'a ‘sta terra, femmene comme a te, nun c'hann' stà pe' n'ommo onesto comm'a me", quindi c'è tutto quel quel sentimento lì, quello di un'Italia clamorosa, di un'Italia incredibile che vorrei che esistesse anche adesso.

Eccolo quell'effetto nostalgia che non ti abbandona mai.

Mentre tutti – me compreso -, giustamente, guardiamo al futuro e al presente, perché sennò non scriverei canzoni – io vivo nel presente, scrivo canzoni sul presente -, io ho anche la sfortunata missione di ricordare anche gli altri da dove veniamo (ride, ndr). È una cosa che mi fa molto piacere.

Questa cosa mi fa venire in mente il fatto che ascoltando l'album ho ripensato a Fuoricampo…

Sono molto contento di questa cosa, perché Fuoricampo è un disco unico che, peraltro, secondo me, se vai a chiedere ai veri fan, è quello preferito da coloro che sono cresciuti con me. È un disco nato da urgenze incredibili, da un mondo che mi sorrideva tantissimo, per me è solo un complimento. Io pure penso che "Sensazione stupenda" sia molto più simile a Fuoricampo e a Completamente sold out che ad altro, è un disco che si innesta in quello spazio lì, ma lo fa con una maturità diversa di racconto, di accordi, di armonie.

A proposito di passato e futuro, quanto è importante l’idea di vivere sempre in una canzone, come scrivi in Blu Ghiaccio travolgente? C’è questo bisogno di immortalità da cui, ovviamente, non riusciamo a uscire…

È assolutamente questo il concetto, cioè io mi sono ispirato volutamente al concetto romantico dell'Ottocento per cui l'arte rende immortale il tempo della vita mortale, all'idea che attraverso le opere che lasciamo su questa terra qualcosa rimarrà, anche quando noi non vivremo più e questa stessa terra sparirà. Mi sono immaginato – ovviamente è un racconto poetico – questo frammento di ghiaccio che si salverà da questa esplosione e vagherà nello spazio e nel tempo per sempre. E avrà in qualche modo il DNA della nostra storia, della nostra epoca, dell'Impero romano, dei Bizantini, dell'antico Egitto, dei due che si amano al bar, di due che si baciano in un bar e ho immaginato che questo rimarrà per sempre.

Alla fine l'ho fatto io citando Fuoricampo, però ti sei mai sentito un po' intrappolato in quell'enorme successo di quel periodo?

Grazie a Dio no, e lo sai perché? Perché io ho questa caratteristica che da un lato è positiva, dall'altra è negativa, ovvero che non mi rendo mai conto di ciò che mi succede. Cioè, mi rendo conto di ciò che succede nel mondo, quindi ho un'idea abbastanza precisa di ciò che stiamo vivendo, della società, della civiltà, della storia in generale, le guerre, le pestilenze, le morti, le uccisioni, però non ho idea di quello che succede a me, per questo il successo non l'ho vissuto – neanche adesso che son passati un po' di anni -, non ho mai pensato di essere dentro quel vortice. Pure quando ho fatto il Circo Massimo o abbiamo fatto 35 Palasport in un anno non ho mai detto "Ammazza, che cosa incredibile che mi è successo!", non ci ho mai pensato e quindi non mi sono mai sentito intrappolato e oggi la vivo bene, così come la vivevo bene allora, poi ovviamente un po' mi emoziono, certo…

Però la percezione, ex post, un po' dovrai avercela…

La sto cercando, sai, ogni tanto provo a farmi delle sedute da solo: tipo che sto in bagno, mi fumo una sigaretta, con un bicchiere d'acqua, mi guardo allo specchio, cerco di pensare a tutto quello che è successo, però mi sfugge sempre. Mi sfugge sempre questa cosa di pensare "Guarda che è successo. Guarda cosa abbiamo fatto. Guarda cosa ho fatto".

Questa cosa ti ha messo al riparo anche dalle critiche che porta con sé il successo?

Ci sono critiche e critiche, all'inizio impazzivo per alcune, poi molto di meno e ora succede che me ne danno fastidio solo alcune.

Quali?

Mah, quando si dicono cose completamente lontane dal vero. Se, invece, una persona mi scrive sotto a un post che secondo il suo gusto personale ho perso tutta la mia vena artistica e mi preferiva 15 dieci anni fa, io l'accetto, sono gusti, è successo anche a me coi miei artisti preferiti. Ma quando uno dice, come se conoscesse la tua vita, "è successo questo, hai fatto quest'altro", ovvero le notizie completamente lontane dal vero, ecco, quelle mi danno fastidio, anche se, alla fine, comunque le lascio andare.

Il riavvicinamento con Cantaluppi e Rissa ha scatenato un po' di voci sul ritorno dei Thegiornalisti…

Beh, con Marco ci siamo sempre frequentati, anche dopo la band, ci siamo sempre tenuti in contatto, frequentati, visti, parlati, non è cambiato nulla. Mi fa piacere che venga a suonare in questo tour, me l'aveva promesso, io gliel'avevo promesso, prima dello scioglimento mi disse: "Qualsiasi cosa accada nella tua vita, io vorrei sempre suonare con te", così gli ho detto che era il momento di farlo perché finalmente posso rifare i palazzetti. Con noi c'è anche un altro chitarrista che per me è uno dei miei compagni di vita, ovvero Nicola Pomponi, quindi finalmente abbiamo due chitarre elettriche. Con Cantaluppi, poi, ho fatto tutto il disco, gli mandavo tutte le canzoni e lui cominciava già a preparare le basi, poi siamo andati in studio, è stato un momento bellissimo.

Esiste un'impronta Paradiso-Cantaluppi nella musica italiana?

Sì, credo che si possa affermare assolutamente. Poi siamo completamente sintonizzati su tutto, ci piacciono le stesse cose, io neanche parlo che lui ha già capito. Guarda che Matteo, alla fine, è stato i Thegiornalisti, lui ha creato quel suono, e in questo tour c'è anche una grande novità: ci suonerà anche Matteo e sarà alle tastiere, si occuperà di tutta la parte sintetica del live, è una cosa meravigliosa, praticamente stiamo tornando a casa.

L'album cantato si chiude con Figlio del mare, canzone a cui tieni particolarmente, un pezzo manifesto, no?

Figlio del mare è proprio un testamento, un momento in cui mi sono ritrovato a camminare sulle mie gambe senza avere bisogno di niente: ho passato momenti difficili in cui non riuscivo a uscire di casa. Mi sono trovato a scrivere questa canzone quando stavo in Corsica, da solo, su una spiaggia deserta, ero solo col mare, ho fatto questa passeggiata lunga e ho pensato che ce l'avevo fatta, nonostante tutto.

E quell'outro strumentale finale?

Quella è perché mi sono proprio rotto il cazzo del fatto che in Italia vengano solo apprezzati i testi, io sono un amante della musica, sono malato della musica, la musica è la prima cosa che mi arriva in una canzone, anche prima del testo, e siccome sono un patito di colonne sonore e dei grandi maestri come Ennio Morricone, Nino Rota, Armando Trovajoli, Piero Piccioni, volevo proprio fare una cosa per dire alle persone che comprano il disco che sono anche questo, andate ad ascoltare questa roba.

Come ti trovi in questo mondo in cui non esistono più mezze misure per quanto riguarda i live e se non fai stadi o palazzetti quasi non sei nessuno?

Secondo me non è che non sei nessuno, anzi, sei tante cose, per questo quando ho fatto il post su Sensazione stupenda ho scritto "proteggete questo disco il più possibile", proprio per il concetto che hai appena espresso: oggi viviamo in un algoritmo e anche noi cominciamo a pensare come un algoritmo e l'algoritmo ti dice che c'è solo una notizia al giorno che deve essere trattata e stressata, tutti devono parlare di quella cosa, invece ci sono tante pluralità nel mondo e dobbiamo ritrovarle. Quando ho detto "prendetevi cura di questo album, proteggetelo" era per dire "faccio questo post, domani mattina a questo post non penserà più nessuno" però se questo disco arriverà anche solo a dieci persone sarò contento, quindi non lo fate svanire dopo un post. Quando facevamo i palazzetti, all'inizio, per noi sembrava chissà che cosa, adesso forse si corre un po' troppo, bisogna stare attenti, conservarsi, la carriera è lunga. È vero il boost di Sanremo, è vera la hit dell'estate, è vero l'hype, però, come dice Calcutta, nell'ultimo del disco: "Relax".

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