Non ho mai avuto la speranza né tantomeno la pretesa che in Italia le classifiche di vendita, le playlist radiofoniche e i palinsesti televisivi fossero di norma dominati da musiche cosiddette alternative. Lo so fin troppo bene che, a livello di grande pubblico, a funzionare è soprattutto il pop, e non c'è nulla di male. Però, diamine, c'è pop e pop, e quello che proprio mi irrita è che a riscuotere i favori della platea di massa siano (quasi) sempre pagliacci privi di vero talento, mezze calzette con sponsor influenti, burattini in mano ai soliti papponi per i quali la musica è un business come un altro. Non parliamo poi di quanto mi fa incazzare (sì, è il termine giusto) quando riscontro tristemente come artisti autentici che si dedicano al Pop (quello con la P maiuscola, però) rimangano nelle retrovie o siano addirittura ignorati in quanto fuori dal “giro giusto” perché privi del physique du rôle, perché poco manovrabili, perché il loro produttore o editore o discografico non è abbastanza potente. Di tanto in tanto, però, capita che qualche scheggia impazzita riesca a sovvertire le regole, superare le barriere, saltare il fosso.
Sia chiaro, eh: qui non sta parlando di un emarginato che si porta dietro la sfiga come il Pig Pen dei Peanuts fa con la polvere: alle spalle, il ventottenne romano ha la Leave Music (struttura responsabile, tra l'altro, del notevole successo di Mannarino, del quale ha pubblicato tutti i dischi), ha già raccolto consensi piuttosto lusinghieri e il suo nuovo album, uscito oggi, vede schierati ospiti illustri come Francesco Forni (che ha anche diretto le session di studio), Enrico Gabrielli, Roberto Angelini e svariati altri. Al di là del prezioso contorno, però, Tommaso Di Giulio ha dalla sua una serie non da poco di qualità: artistiche, è ovvio, ma anche personali, come l'impegno e la passione che profonde nella sua attività e la perseveranza con la quale la sostiene, la curiosità che lo spinge ad assistere a infiniti concerti e, cosa che non guasta, un'incontenibile simpatia. Vedendolo su un palco mentre libera la sua naturale verve di musicista-entertainer, e magari scambiandoci quattro chiacchiere, non si possono nutrire dubbi: Tommaso è un personaggio, di quelli che non hanno alcun bisogno di coltivare il proprio carisma. Lui brilla in modo naturale ed è molto difficile non subire il fascino delicato ma intenso della sua luce.
E di luce ce n'è tanta in “L'ora solare”, che segue di due anni l'esordio “Per fortuna dormo poco” e di quattro il più che promettente “Tutto il male vien per nuocere” alla guida dei Bal Musette Motel. Una sequenza di ben quattordici brani caratterizzati da un songwriting eclettico e fluidissimo a dispetto delle eventuali bizzarrie, da arrangiamenti eleganti che peraltro evitano sfarzi stucchevoli e talvolta deviano verso il ruvido, da un sorprendente equilibrio fra leggerezza e profondità, da una voce duttile e accattivante, da testi dove giochi di parole, termini ricercati e gustose citazioni più o meno esplicite – dai Black Sabbath al Chinotto Neri, da Mario Monicelli a Puzzle Bubble fino ai “gruppi tributo ai Genesis con stipendi da primari”: ma ce ne sono a decine, e scoprendole ci si trova a sorridere – sono al servizio di piccole storie di vita quotidiana che tutte assieme vanno a comporre una sorta di concept “sul tempo e sulle sue contraddizioni”. Non c’è il minimo rischio di annoiarsi, nei tre quarti d’ora di un CD di cui ci piacerebbe vedere prima o poi una stampa in vinile, e non c’è possibilità che qualsiasi cultore del miglior Pop – sempre la maiuscola, mi raccomando – non riconosca la classe superiore di Tommaso Di Giulio. Che da Sanremo è già stato tenuto fuori già in due occasioni, e questa è quasi una garanzia di valore. Tipo marchio DOC.