Da svariati anni, quello di Mauro “Teho” Teardo è un nome piuttosto noto nel nostro circuito cinematografico. Le colonne sonore da lui realizzate per Paolo Sorrentino (“L’amico di famiglia” e “Il divo”, con cui nel 2009 ha vinto il David di Donatello), Guido Chiesa (“Lavorare con lentezza” e la serie TV “Quo vadis, baby?”), Andrea Molaioli (“La ragazza del lago” e “Il gioiellino”), Daniele Vicari (“Il passato è una terra straniera” e “Diaz”) e altri l’hanno imposto come il più interessante fra i “nuovi” specialisti del genere operanti nella Penisola, così come le belle parole spese nei suoi confronti dal Maestro Ennio Morricone – non proprio uno dal complimento facile – sono state la ciliegina sulla torta. Non tutti sanno, però, che l’oggi quarantasettenne musicista friulano non è un compositore di formazione accademica: da giovanissimo ha studiato teoria, questo sì, ma già da ragazzo si è fatto gioiosamente contaminare dall’avanguardia e dal rock, dapprima muovendosi nel circuito underground della sua Pordenone (con parecchie produzioni su cassetta firmate M.T.T.) e poi, dalla fine degli anni ‘80, iniziando a firmare vinili e CD. Fondamentale la lunga esperienza alla guida dei Meathead, dediti a una sorta di punk industriale e conosciuti più all’estero che in patria, ed eloquenti i sodalizi con l’inglese Mick Harris e gli americani Jim Coleman e Scott McCloud, dietro le sigle Matera, Here e Operator. E queste, comunque, sono solo le tappe più importanti di una carriera bel poco usuale per qualità ed eclettismo, pressoché priva di termini di paragone per il panorama nazionale.
L’ultimo capitolo di quella che ormai può quasi essere definita una saga è “Still Smiling”, disco firmato in coppia con Blixa Bargeld, leader degli Einstürzende Neubauten nonché ex componente dei Bad Seeds di Nick Cave. È stato pubblicato nell’aprile scorso in CD e doppio vinile (con due tracce in più) dalla Specula, l’etichetta privata di Teardo, e se si è deciso di (ri)occuparsene circa sette mesi dopo è perché ha conquistato il PIMI – gli “Oscar” della musica indipendente italiana – nella categoria “miglior album”. Nessuno stupore, poiché si tratta di un’atipica, preziosa gemma all’insegna di un pop da camera dove chitarre e tastiere incontrano trame elettroniche e archi in brani pacati, sobri e seducenti, caratterizzati dalla voce confidenziale di un Blixa che risulta credibile – benché un po’ spiazzante – anche quando si cimenta con l’italiano (come accade in “Mi scusi”, singolo apripista nel cui testo domina l’autoironia). Nulla, del resto, è stato lasciato al caso: la strana coppia si è incontrata nel 2009 per lo spettacolo “Ingiuria” della Societas Raffaello Sanzio, ha saggiato l’intesa concependo “A Quiet Life” per lo score di “Una vita tranquilla” di Claudio Cupellini e si è infine dedicata con cura certosina a “Still Smiling”, strappando quanto più tempo possibile agli impegni individuali e allestendo un complesso ma gratificante lavoro di scrittura, arrangiamento e registrazione sull’asse Roma-Berlino.
Tutto, nell’album, parla la lingua dell’eleganza che si fa mai snobismo, dell’intensità che coinvolge ma non innalza barriere, di un’ispirazione prima lasciata libera di assecondare gli istinti e poi incanalata nella creazione di architetture ardite ma non astruse: una sequenza di brani avvolgenti e appena velati di inquietudine, non esenti da influenze del mondo classico, basati su ritmiche discrete, soluzioni che gettano ponti fra canzone “alta”, avant-rock ed espressività teatraleggiante, versi in tre idiomi (italiano, tedesco e inglese). Quasi un “Songs For ‘Drella'” – chi ricorda l’omaggio al comune mentore Andy Warhol organizzato ventitré anni fa da Lou Reed e John Cale? – di gusto mitteleuropeo, che fluttua in una dimensione onirica nella quale è facile essere risucchiati. Rigore ed estro, insomma, proprio come nella copertina filo-dadaista che di “Still Smiling” è, pur disorientando un po’, il perfetto biglietto da visita.