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“Sbagliato liquidare la musica come canzonette e cantanti ricchi” dice Razzini, AD Warner Chappell

Roberto Razzini è l’Amministratore Delegato di Warner Chappel, che si occupa di edizioni musicali e conosce da vicino tutta la filiera dell’industria musicale. Un’industria particolarmente colpita dalla pandemia di Covid-19, tra le prime attività a fermare le proprie attività live e, stando a molti esperti, tra le ultime che potrà tornare a riaprire.
A cura di Francesco Raiola
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Pubblico al Coachella (Christopher Polk/Getty Images for Coachella)
Pubblico al Coachella (Christopher Polk/Getty Images for Coachella)

Roberto Razzini è l'Amministratore Delegato di Warner Chappell – il settore che si occupa di edizioni musicali – e conosce da vicino tutta la filiera dell'industria musicale. Un'industria particolarmente colpita dalla pandemia di Covid-19, tra le prime attività a fermare le proprie attività live e, stando a molti esperti, tra le ultime che potrà riaprire. Un settore che a causa del divieto di assembramento ha subito enormi perdite economiche che non coinvolgono solo i cantanti, punta dell'iceberg della filiera, ma le migliaia di persone che lavorano nel settore e che spesso vengono date per scontate. Roberto Razzini cerca di delineare un quadro di quello che sarà la situazione nei prossimi mesi, sottolineando il bisogno di unione del settore, spiegando quali sono i passi da fare immediatamente, a partire dal cercare di mantenere viva la creatività degli artisti e preservare il mercato. Infine l'AD Warner precisa che, non volendo scavalcare altri settori in crisi, l'errore da non commettere è pensare che quello musicale sia un settore fatto "solo di canzonette" e parlarne facendo riferimento al fatto che "i cantanti hanno un sacco di soldi".

Roberto Razzini, possiamo parlare di una nuova normalità da riscoprire?

Guardi, onestamente l'industria musicale non può riscontrare nessuna normalità, in una situazione che non consente il primo aspetto fondamentale dell'attività musicale che è quella della musica dal vivo. La musica, per definizione, è aggregazione, è una co-partecipazione: dalle feste in casa che si fanno da ragazzini, alla musica che si ascolta sulle spiagge e i falò sino ai concerti negli stadi. Non poter condividerla è una limitazione fondamentale al business della musica e credo che sia una cosa sulla quale bisogna ragionare per poter ripartire. Attorno al comparto musica non ci sono solo i grandi artisti e le grandi società discografiche ed editoriali, ma abbiamo un comparto di circa 170 mila persone che si occupano direttamente di musica e circa 350 mila e più persone che operano nell'indotto. Bisogna includere l'artista, lo staff, certo, ma anche chi scrive le canzoni, chi gestisce i diritti fonografici ed editoriali, chi organizza i tour, gli uffici stampa, i fonici etc, c'è un insieme di professionalità molto precise e specifiche, che ruotano attorno al singolo progetto e al singolo artista. L'artista, alla fine non è che la punta di un iceberg.

Un po' il discorso che Tiziano Ferro ha portato al grande pubblico l'altro giorno…

Va anche sottolineato, parlando di inoccupati e della fragilità del business della musica, che il 35% di persone che vi operano sono stimate essere lavoratori autonomi o precari, nel senso che sono stagionali, legati ai concerti, professionalità chiamate se c'è un evento da promuovere o organizzare e non sono per forza dipendenti delle aziende che gestiscono il business.

Eppure l'idea spesso è che è un settore ricco e non indispensabile…

Al contrario, è un settore molo fragile, un ecosistema delicato, che proprio perché non riesce a fornire la percezione della sua dimensione, talvolta viene sottostimato e sottovalutato, pensando che gli artisti siano tutti ricchi, e banalità simili. Abbiamo un impatto negativo importantissimo nel comparto musica, in questo periodo, e non voglio allargarmi a quelle che sono le situazioni di Cinema, Teatro etc, ma nel nostro settore abbiamo cali spaventosi, specie nel comparto live: dall’inizio del lockdown a fine maggio saranno quasi 4500 gli eventi annullati, con una perdita di almeno 65 milioni di euro. Non dimentichiamoci, poi, che da giugno sarebbe partito tutto il meccanismo legato agli eventi live nei grandi spazi e solitamente ci sono la grande maggioranza degli eventi e del fatturato della musica live.

Nessuno conosce le tempistiche, ovviamente, ma vi siete dati una stima temporale di massima per pensare a una sorta di ripartenza?

Io sono caratterialmente una persona che cerca di trovare un'opportunità in qualunque problema, ma in questa circostanza faccio un po' fatica. Occupandomi di edizioni musicali, diciamo che nel nostro lavoro, che è a stretto contatto con gli autori e all'inizio di tutta la filiera creativa, cerchiamo di avere nuovi brani, nuovo repertorio da proporre agli artisti, mantenendo il flusso operativo attivo, pur non avendo uno sbocco immediato sul mercato, benché abbiamo la possibilità di continuare a lavorare. Certo che se non esiste una prospettiva reale e concreta, come purtroppo oggi non esiste, in termine di tempi, diventa tutto complicato nel medio termine.

Insomma, senza certezze è difficile ragionare, ma come si fa non essendocene?

Partendo dal concetto di prima, che la musica è aggregazione, finché non ci sarà un vaccino a questo Covid-19 difficilmente potremmo immaginare di tornare in ambienti con assembramenti di persone per beneficiare di concerti o musica live. E da anni sappiamo quanto questo sia un fulcro importante di tutto il meccanismo: la musica live, i concerti e gli eventi dal vivo hanno acquisito in questi ultimi anni un'importanza fondamentale per tutta la filiera, sia per i diritti che generano sia per la visibilità che danno agli artisti sia perché c'è un'offerta musicale di qualità che non è fruibile diversamente se non partecipando all'evento stesso di persona. A differenza del mercato cinematografico, che si è potuto riconvertire a partire da quello digitale, per quanto riguarda la musica live o vai al concerto o è difficile pensare di guardare il concerto in dvd e beneficiare della stessa emozione.

Insomma, possiamo dire che così è impossibile pensare a cosa succederà nei prossimi mesi?

Mancando quello che è diventato un tassello fondamentale del business, quindi, diventa difficile pensare alla cosiddetta fase due per quanto riguarda questo comparto: purtroppo la musica è stato il primo ad essere negativamente coinvolto dal coronavirus – i primi lockdown hanno riguardato palestre, ristoranti, centri estetici, centri commerciali, tutti i luoghi in cui la musica è utilizzata come colonna sonora del nostro tempo – in aggiunta a quanto disposto per bar, discoteche, palazzetti, club, quindi tutto il comparto è stato il primo a essere toccato e sarà l'ultimo a uscirne.

Quali sono gli accorgimenti, i palliativi per cercare di resistere, allora?

Noi abbiamo due fronti sui quali tenerci vivi in questo periodo di lockdown: il primo è cercare di mantenere attiva la parte creativa e produttiva, quindi continuando a sollecitare autori e artisti nel continuare nel loro lavoro. La creatività non può fermarsi e in più può attingere a questi momenti di difficoltà cercando di trovare delle linee di espressione che possano diventare i successi di domani o dopodomani. Il secondo fronte è la capacità di preservare le nostre strutture e il mercato, per quello che è possibile fare: gli artisti lo stanno facendo anche con delle pubblicazioni in periodi in cui si fa fatica a poter immaginare delle attività di promozione, realizzano dei videoclip con gli strumenti che le limitazioni e le restrizioni mettono a disposizione. Ciascuno cerca di proseguire nella propria attività per tenere alta l’attenzione sul proprio lavoro e sull’intero sistema produttivo e da una parte dobbiamo preservare il meccanismo che deve dare linfa vitale e forza agli artisti e autori, perché le aziende hanno e avranno grossi problemi di liquidità: noi dobbiamo continuare a pagare gli stipendi ai nostri collaboratori, a pagare gli autori, gli artisti per il lavoro creativo e questo vuol dire, non avendo entrate, andare ad attingere alle liquidità delle aziende. Per questo dobbiamo proteggere le aziende, perché proteggendo le aziende proteggiamo il sistema. Questo perché l'autore e l'artista comunque per quanto siano insostituibili hanno bisogno di strutture che operino per sostenerli nella loro attività creative e di diffusione.

Ma state facendo fronte comune per cercare soluzioni?

Sì è un gioco di squadra il nostro, in un settore che negli anni precedenti a questo ultimo periodo non ha mai brillato per grande coesione. Ci sono sempre state contrapposizioni e difficilmente abbiamo fatto sistema per difenderci e difendere gli interessi comuni. Cosa invece che la Moda ad esempio ha saputo fare molto bene: in questo momento però sto vedendo come le associazioni di categorie, anche in maniera trasversale, stiano collaborando per far emergere tutti gli elementi di cui stiamo parlando, portandoli all'attenzione del mercato e rivolgendosi alle Istituzioni affinché pongano la corretta e giusta attenzione sul comparto, senza voler, ovviamente, scavalcare altri settori, che soffrono al nostro pari. Però non possiamo liquidare il nostro problema dicendo che sono solo canzonette e col discorso che i cantanti hanno un sacco di soldi.

Avere qualche data aiuterebbe a organizzarvi meglio?

Su questo non credo che si debba aspettare il Governo, basta essere osservatori della nostra quotidianità per comprendere con una certa facilità che prima del 2021 non potremo tornare a pieno regime. Molto verosimilmente nel corso del 2020 non avremo possibilità di portare il nostro lavoro sul mercato e marginalizzare. Fino a che non ci sarà una soluzione che permetterà di essere in sicurezza, che sia il vaccino o qualsiasi altra soluzione, mettendo le persone nelle condizioni di vedere un concerto, senza correre il rischio di ammalarsi, noi non potremo operare. Con una certa dose di ottimismo, durante il primo lockdown sono stati ricalendarizzati concerti in autunno, ma nelle prossime settimane verosimilmente si dovrà ripartire per spostarle di nuovo per l'anno prossimo.

L'idea di un live in tv o streaming come avvenuto con Bocelli è un'idea da poter sviluppare?

Abbiamo visto un'esperienza positiva come “Musica che Unisce”, con 30 artisti in prima serata che è stata molto bella ma non può diventare una routine perché perderebbe quell'accezione di straordinarietà dell'evento stesso. Dalla mia esperienza nel settore, ricordo che quando sono arrivate sul mercato le videocassette e poi i dvd, la speranza era quella di far migrare una parte di tutti gli archivi audiovisivi delle case discografiche e degli artisti, producendo e distribuendo concerti attraverso quei supporti, ma l’aspettativa è naufragata abbastanza platealmente. Questo perché l'interesse del pubblico nel fruire di un concerto live attraverso un sistema che non è quello dell'ambiente nel quale il live si verifica, perde di potenza. Anche l'evento in streaming pone delle grandissime limitazioni sia emozionali che tecniche, perché il rischio che ci siano zone non servite da una tecnologia adeguata o tutta una serie di situazioni che limitino la fruibilità di quell'evento rendono l'evento stesso di scarso interesse.

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