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Saviano: “La forza di Jova? Essere simbolo di leggerezza e non inciampare mai nel cinismo”

Abbiamo chiesto a Roberto Saviano di raccontarci il suo Jovanotti, in che modo lo ha influenzato e ha influenzato la sua generazione, come è nato il loro rapporto e cosa gli regalerebbe per i 50 anni del cantante.
A cura di Francesco Raiola
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Cosa significhi trascendere dalle proprie opere ed essere ormai dei simboli lo sanno bene lo scrittore Roberto Saviano e Jovanotti, epoche differenti, col primo che ha compiuto 37 anni pochi giorni fa e il secondo che oggi ne compie 50 anni oggi, e mestieri differenti, ma entrambi a loro modo simbolo di qualcosa di importante. Il primo, è noto, simbolo di un impegno civile che si è reificato tramite la scrittura, mezzo attraverso il quale ha raccontato, con "Gomorra", il meccanismo della Camorra e per cui oggi è costretto a vivere scortato e lontano dal Paese, e il secondo, invece, simbolo di una generazione, specchio di quella parte d'Italia che si sente fortunata e portatrice di valori positivi (che pure non gli evitano pezzi di critiche talvolta anche feroci).

Due personaggi che rispecchiano, rappresentano e rappresenteranno un bel pezzo del Paese. Un giorno si misero davanti alla telecamera del cantante per parlare di tutto e si ripresero facendone una sorta di lunga jam session. In occasione del mezzo secolo del cantante di Cortona abbiamo pensato di chiedere a Saviano, che è parte integrante di quella generazione cresciuta a pane e Jovanotti, cosa ne pensasse del cantante – e ormai amico – e dell'influenza che ha avuto per un paio di generazioni. Quello che ne è uscito fuori è il racconto di un'amicizia vivida e soprattutto un ritratto emozionante di un uomo che "riesce a raccontare le sfumature del ridere, la molteplicità del dolore, sempre dentro l'universo delle responsabilità e del rispetto" e soprattutto di un "artista in grado di crescere senza inciampare mai nel cinismo".

Stavo scrivendo una cosa su Jovanotti e mi sono reso conto che tutta la mia (pre)adolescenza è segnata dalla sua musica. Tu quando ti sei avvicinato a Jovanotti?

In realtà credo di essermi ascoltato il primo pezzo di Jovanotti che ero minuscolo, probabilmente stavo alle scuole medie. Mi ricordo che io e mio fratello avevamo un jeans identico con su scritto ‘Jovanotti', ce l'aveva regalato mia zia. Lorenzo è stato, come per molti italiani, tutta l'evoluzione, la nostra crescita e nell'immaginario della mia generazione ha rappresentato lo scanzonato, il discotecaro, poi l'impegno sociale, le canzoni che somigliano a poesie beat…

Oggi che rapporto hai con lui e con la sua musica?

Il rapporto che ho con lui è quello che si ha con un amico e la sua musica è un messaggio di un amico che ti arriva, che sei impaziente di ricevere, non ponendoti neanche domande su quello che fa Lorenzo, lo ascolti e basta perché è parte di te.

C’è una cosa che vi unisce nella mia testa, ovvero il trascendere le vostre opere. Siete diventati, con le dovute distanze, dei simboli. Non posso chiederlo a lui, ma posso chiederlo a te: quanto questa cosa incide su di te, come uomo e, chiaramente, come scrittore? Che peso ha, soprattutto, sulla vita di un artista/intellettuale?

La sua forza è nell'essere diventato simbolo di leggerezza. È riuscito in un miracolo, la sua leggerezza è invito a una ricerca della felicità responsabile. E non ha niente di bacchettone, non dà lezioni. È come le regole della poesia. La poesia è. Non insegna, non demolisce, eppure può far entrambe le cose. Cioè non è il godimento rock, o l'affascinante perdizione punk.  Ecco, lui riesce a fare il contrario, a parlare di felicità, sentimenti e anche di diritto all'errore, senza sembrare un insopportabile profeta del giusto vivere. È un invito alla felicità che non può disgiungersi alla responsabilità e questo farlo come l'ha fatto lui è la sua vera opera d'arte: riesce a raccontare le sfumature del ridere, la molteplicità del dolore, sempre dentro l'universo delle responsabilità e del rispetto, senza fare la lezione. È questa l'opera vera della letteratura cherubiniana.

Un’altra cosa che vi unisce è che entrambi cercate di raccontare un pezzo di presente. Ne raccontate facce diverse e lo fate, ovviamente, con due modalità diverse. Cos’è che fa sì che un racconto o una modalità di racconto sia giusta? Cosa ti piace della sua modalità di raccontare il mondo che ci circonda?

È giusto quello che racconti semplicemente se ti ossessione, tutto qua. A Lorenzo ossessiona comunicare e condividere.

Entrambi siete moto legati all’America, Jovanotti cita spesso il suo immaginario americano e basta guardarne alcuni video per capirlo: ce l’avete un’America comune? E qual è?

L'America è un posto in cui ci lasciamo molta rabbia. L'America che abbiamo conosciuto, New York in particolare, è un posto chiuso, ottuso, l'Italia provinciale e lontana lo vede come un luogo aperto ma non è così, New York si occupa solo di New York. L'America ha confini enormi, non conosce passaporto, piccolissime élite guardano fuori, l'arroganza di NY è ‘Non ci importa del mondo, tanto l'eccellenza, se esiste, ci raggiunge'. Questa cosa ci ha sempre molto stupito. La New York di Lorenzo, certo, è anche la ricerca, la conoscenza di una città che ti dà soprattutto libertà, in cui puoi essere ciò che vuoi. Però è anche un'America molto critica che non ci piace; ogni volta che ci incontriamo parliamo di cosa potrebbe essere l'Europa, di quanto siamo proni a qualsiasi prodotto provenga da qui anche quando non lo merita. Ci sono prodotti americani che meritano tantissimo, ma ce ne sono anche molti che in realtà non abbiamo la forza di valutare per quello che sono… molto fragili.

Ecco, e di cosa altro parlano Jovanotti e Saviano quando si incontrano? 

Quando ci incontriamo sembriamo due vecchi epicurei che passeggiano. Quando possiamo e non sono superscortato ci facciamo chilometri a piedi, si va in vecchie librerie e si discute di social network, generazioni e di condivisione che è la nostra malattia, la nostra ossessione: arrivare alle persone, provare a trasformarle per trasformarci.

Cos’è che oggi vi unisce maggiormente?

Ci unisce soprattutto il racconto del mondo, ma anche l'hater, e ci unisce la cazzata dell'accusa di essere buonisti. In realtà la bontà è una cosa preziosa, è la cosa a cui più ambisco in assoluto ed è difficile raggiungerla. Ne ambisco cristianamente, nel senso che sono un lettore dei Vangeli, apocrifi e ufficiali, anche se non mi ritengo cattolico. La bontà è rara, difficile, il bene è superiore alla giustizia e tutto ciò che riceve come accusa, Lorenzo, è questa stupidaggine di far passare la riflessione sul bene come buonismo e quella sui valori come banalità. L'ostinazione, la costruzione che lui ha anche tra l'altro con un metodo di lavoro impressionante – fa album ogni anno, una quantità di concerti disumana, il suo fisico è una struttura inattaccabile – e tutto questo lo rende un riferimento.

Ci unisce anche un'amicizia che nasce anche – e di questo gliene sono grato – dalla sua volontà di tirarmi su dal buio. Io guardo l'ombra, sono spesso immerso nella malinconia, ma so anche ridere, non vedo l'ora, e lui è lì, a mettere mani e rovistare e dar fiducia. I nostri incontri iniziano sempre con un mio "Credo sia tutto finito" (ride, ndr) e lui si fa una risata, come a dire, "Ok, adesso che hai annunciato l'Apocalisse, torniamo a fare'. E noi ce lo siamo sempre detto che la chiave è il tempo. E il suo compleanno è questo, la dimostrazione che è importante stare lì sul tempo, resistere, essere costanti, cadere e rialzarsi; la forza del pugile – lui sa che sono un lettore di tutto ciò che riguarda la boxe –  è incassare, dare il cazzotto, la vittoria sono momenti che hanno tutti, la resistenza no.

Se dovessi regalargli un libro per i 50 anni che libro gli regaleresti e perché?

Gli regalerei Barrie, la storia di Peter Pan e Wendy, la storia di lui e Francesca, che mi ha insegnato che danno sarebbe invecchiare diventando maturi. Dannazione, viva l'immaturità, te lo dice chi a quattordici anni veniva bollato d'esser maturo, ma soprattutto gli darei quel libro perché lui è quell'immaginario e lo purificherebbe anche dalle stupidaggine di giudicare l'uomo irresponsabile come Peter Pan. Peter Pan è pieno di responsabilità, la responsabilità di starsene lontano dai guai del mondo civile – o forse del mondo reale – e lui è riuscito a creare questo mondo di colori. È incredibile, ogni volta che ho a che fare con lui, mi chiedo come diavolo ha fatto. Ha tutte le dinamiche della vita borghese, ma neanche per un minuto lo è. Si scontra, come tutti, con la negoziazione, ma non c'è mai compromissione con lui e questo è il talento di Peter Pan. Ho proprio voglia di dire ‘Auguri Lorè, nessuno più di te è la prova vivente che l'età non coincide con nessun archetipo; 50 anni, e chi lo avrebbe mai detto! Ma non li ha, non è vero. Dichiaro ufficialmente al mondo che è una balla, Lorenzo non può avere 50 anni'. È un funambolo responsabile, cammina sul filo teso ma non ha alcuna voglia di morire per un'idiozia. Insomma, è bello che esista un uomo che a 50 anni è un artista in grado di crescere senza inciampare mai nel cinismo. Tutti abbiamo mazzate, io forse non sono riuscito a incassarle bene, quindi mi chiedo se arriverò mai alla sua eleganza zen.

Qual è la tua canzone preferita di Jova?

Ne ho due: una è "L'ombelico del mondo", l'altra è "L'immortale" (canzone che Jovanotti, tra l'altro, gli dedicò durante il concerto dell'Olimpico nel 2015, ndr)

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