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Rose Villain su Radio Gotham, terapia e gender gap: “L’Italia è un paese misogino per le cantanti”

Rose Villain, a un mese dalla pubblicazione del suo album d’esordio Radio Gotham, racconta l’evoluzione tra terapia, la perdita della madre e il gender gap.
A cura di Vincenzo Nasto
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Rose Villain, foto di Federico Earth
Rose Villain, foto di Federico Earth

Rose Villain ha pubblicato il suo primo album ufficiale Radio Gotham lo scorso 20 gennaio: un progetto atteso, dopo anni di successi in collaborazione per l'artista sempre in volo tra New York e Milano. Un album che aveva già ricevuto il plauso del pubblico nei primi singoli d'apertura, ma che raccontava già nella tracklist un approccio pop alla musica rap, anche grazie alla presenza di collaborazioni del calibro di: Salmo, Tedua, Guè, Geolier, Carl Brave, Tony Effe, ma soprattutto Elisa in Monet. Ma Radio Gotham ha rappresentato anche il racconto personale di Rose Villain, nome d'arte di Rosa Luini, che ha confessato proprio in questo brano il dolore per la perdita della madre e la natura della rivalsa che si propaga nel progetto: qui l'intervista a Rose Villain.

Il 20 gennaio usciva Radio Gotham, che sensazione hai adesso? C’è qualcosa nella percezione del pubblico che ti ha fatto piacere e qualcos’altro che ti ha infastidito?

L'uscita del disco è stata liberatoria, racconta tante cose della mia vita e mi preoccupava mostrare alcuni miei lati: la mia intimità è una cosa che ho voluto sempre preservare. Ero spaventata dal mostrarmi nuda davanti agli altri. Anche se faccio musica da qualche anno, ho percepito che l'uscita del disco mi ha permesso di entrare in contatto con il pubblico veramente. In molti mi hanno scritto per dirmi che siamo connessi: una cosa magica. Qualcosa che mi ha un po' infastidito è invece il fatto di non sentire i brani più solo miei, sono un po' gelosa ammetto.

Il bianco e il nero, l’oscurità e la luce, questo dualismo come può essere rappresentato in questo momento nella tua musica: cosa c’è di più luminoso e cosa invece nascondi ancora nella tua musica?

Siamo tutti un po' in work in progress, in questo momento essere degli artisti significa anche sapere che nei prossimi mesi non sai cosa scriverai: da una parte affascinante, dall'altra ti spaventa. Penso di aver messo nell'album gli ultimi anni della mia vita, ma le cose del passato, soprattutto l'infanzia e l'adolescenza, è una cosa a cui ancora non ho lavorato. Faccio terapia, quindi ci vado cauta sulle cose che esprimo e potrebbero esserci alcune cose che non finiranno mai nelle canzoni.

Nel racconto del disco, possiamo cominciare da Due facce, anche perché oltre a raccontare un contrasto già nel titolo, ha all’interno anche il chitarrista dei 30 Second to Mars Solon Bixler. Come è stato produrre questo progetto, che lavoro c’è stato dietro e se c’è stato un quadro di reference, anche musicali, a cui ti sei ispirata?

Io sono una cantante, anche una brava cantante. Ammetto che in passato ho lasciato da parte questa cosa per la comunicazione e lo stile. Poi negli ultimi anni, nella scena, le melodie sono entrate prepotentemente e adesso ho l'opportunità di mostrare la mia voce. Sin da piccola, quando cantavo una canzone con chitarra e voce, mi accorgevo di rappare: il rap è sempre stato presente nella mia vita. Sono sempre stata vicina a quell'idea di pop alla Kate Perry o Max Martin. Queste cose si sono unite in Radio Gotham, volevo essere me stessa nel senso di cantante pop, con un'influenza rap molto forte.

Un altro brano che riconduce a una storia personale è Lamette: il racconto della depressione, del silenzio e del disagio, con questi suoni un po’ grunge. Puoi raccontarmi un po' la genesi?

Nella vita, molte persone arrivano a fare pensieri suicidi e con questo brano volevo togliere un po' l'onta su questa cosa. Capita così spesso alle persone che ci circondano di non sentirsi accettati, capita alle persone che vengono giudicate dalla società per le loro preferenze sessuali. Questa sensazione di disagio è fortissima e volevo un po' sdoganarla, togliere questa vergogna. Volevo dire alle persone che siamo uniti in questa cosa, in una chiave pop.

Ricollegandomi a questo, a ottobre 2020, durante la tua ultima intervista, avevi parlato di un album già molto strutturato, scritto in lockdown: avevi già questa idea precisa allora e se è cambiato qualcosa, cosa è cambiato?

Sicuramente negli ultimi tre anni ho scritto tantissime canzoni che hanno preso forma: mi è piaciuto tanto sperimentare con i generi, dal grunge, al pop, fino alla dance. Ci sono brani che ho lasciato fuori, ma non li ho buttati. Credo possano avere una valenza futura, anche per mostrare vari aspetti della mia musica e soprattutto della mia vocalità.

Arriviamo a Monet, uno dei pezzi più introspettivi del progetto. Si sente il legame familiare con il testo e la sofferenza che eccede, come non mai nell'album. Quanto è stato importante questo tipo di consapevolezza musicale in un brano e quanto la rivalsa, un'energia che si trascina in molte tracce, rappresenta anche una risposta a quella sensazione di dolore?

Essere investiti da qualcosa di brutto e trasformarlo in qualcosa di bello: per me è questo il messaggio del disco. Monet è nata in un periodo molto brutto, dopo la mia prima sessione di terapia in cui ho parlato di mia madre. Tendenzialmente sono una persona molto timida e introversa: però in quel momento non mi sono sentita in colpa per il dolore che stavo affrontando. Prima di allora, avevo la sensazione che il dolore della perdita di mia madre dovessi per forza minimizzarlo davanti ai dolori altrui. Ho scritto in quel momento Monet, che mi ha fatto riflettere anche con il concetto della morte, un compagno di viaggio nella mia vita sin da piccola. Una delle cose che ricordo nitidamente era dipingere dei fiori su repliche di teschi: la mia stanza era piena di questi disegni. La rinascita dalla sofferenza ha significato per me un meccanismo di autodifesa, ma anche di rivalsa.

Un manga, un film e un libro che potrebbero rappresentare te e Radio Gotham.

Come manga, sicuramente qualche opera di Junji Ito che è il padre dell'horror giapponese. Mentre come libro, sicuramente mi potrebbe rappresentare "Il profumo" di Suskind, per la sua ipersensibilità, molto affine alla mia. Invece come film scelgo "Chiamami col tuo nome" di Luca Guadagnino: l'amore e la purezza sono molte presenti nella mia musica.

Mi allontano un attimo dal progetto: proprio nell’ultima intervista si discuteva di come negli Stati Uniti, il ruolo dell’interprete femminile nel rap game fosse totale: Cardi B o Ariana Grande in top alle classifiche d'ascolti. Senti che questo spazio sta crescendo anche in Italia e che percezione hai, adesso, dell'ascolto del pubblico?

Mi sono accorta che più sono dentro a questa realtà musicale, più sento il gap. Prima lo avvertivo ma era una considerazione esterna, influenzata anche da ciò che accadeva negli Stati Uniti. Sicuramente qualcosa è successo, c'è un interesse maggiore rispetto al passato nel parlare di questa situazione: c'è una presa di coscienza, almeno iniziale. Da qui a predire un cambiamento, credo siamo ancora molto lontani. Credo anche per una questione di abitudine all'ascolto del pubblico italiano, non riusciamo a ribaltare la situazione: e in questi anni ci sono state artiste come Mara Sattei, ma anche Madame, che hanno cercato di creare una spaccatura.

Che però nell'ultimo Festival non sembrano aver convinto il pubblico a giocarsi almeno le prime cinque posizioni.

L'Italia è un paese molto misogino, legato al passato, e bisogna entrare con il piede di porco. Un atteggiamento di cui le cantanti italiane non sono neanche tanto felici, anche perché vorremmo tutte fare musica ed essere felici.

Sei stata tra le protagoniste della serata cover del Festival: prima di tutto che esperienza è stata, come ti sei vissuta quel palco e se ci ritorneresti da protagonista? 

Sono sempre stata scettica con il Festival di Sanremo, principalmente per la questione competizione e televoto. La musica non dovrebbe essere "televotata". Però negli ultimi anni è diventata una super vetrina e mi ha permesso di conoscere giovani artisti. Quindi, perché no?

Rose Villain, 64Bars
Rose Villain, 64Bars

Che esperienza è stata invece il Red Bull 64 Bars?

Mi sono divertita da morire: è qualcosa che si allontana dalle melodie pop su cui mi esercito in maniera più frequente. Nel 64Bars invece non devi essere pop, ma goliardico sulla traccia.

E invece perché ce l’hai tanto con la generazione Lean?

In realtà non c'è l'ho con la generazione lean, anche perché parlo di Xanax nella mia musica. Il Red Bull 64 Bars era una presa in giro, una cosa goliardica al rapper medio italiano, al racconto fake. Dall'altra parte, gli artisti americani che ascolto più spesso sono Lil Peep e XXXTentacion.

Il mondo cinematografico che racconti, potrebbe portarti un giorno anche nelle vesti di attrice o sceneggiatrice?

Io ho studiato recitazione e cinema, mi piace scrivere: ho dato alla luce dei racconti e anche nel disco ho voluto aggiungere un opuscolo con alcune mie poesie. Ho una mente imprenditoriale, quindi mi lancerò in tutte le direzioni che mi ispirano.

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