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Rosa Chemical senza filtri: “Mi consideravano anormale, li ho fatti ricredere”

Rosa Chemical parla a Fanpage del nuovo singolo “non è normale”, del concetto di normalità, di pop, trap, famiglia, Achille Lauro e Sanremo.
A cura di Francesco Raiola
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Rosa Chemical è cresciuto, non è più quello di Polka, anzi non è più solo quello di Polka, la canzone che gli ha dato popolarità e pure qualche problema. Nel suo percorso si vede chiaramente come Rosa stia cercando di trovare una propria strada, non l'ha ancora trovata del tutto ma è in cammino, come racconta a Fanpage. Per adesso, però, racconta al proprio pubblico la sua idea di normalità, ma soprattutto l'impatto che l'idea di normale che ha la società ha impattato sulla sua vita e lo fa con un suono che tralascia alcune derive trap/urban e si poggia su una chitarra e un ritmo molto pop, ben lontano dagli esordi. Sì, è un percorso che ricorda un po' quello di Achille Lauro, non è un mistero per noi, non lo è per lui, ma avere dei modelli, degli stimoli può aiutare a trovare la propria di strada. A Fanpage, Rosa Chemical ha parlato del singolo, di normalità, di Sanremo e dei suoi genitori.

Come nasce "non è normale"?

La canzone nasce dal desiderio di esprimere il mio concetto di normalità. Mi sono reso conto che qualcosa che per me era totalmente normale per la gente non lo era, e così mi sono ritrovato a interfacciarmi spesso con gente col dito puntato contro, commenti negativi per qualcosa che veniva percepito come anormale, come non giusto, come diverso. Chi è che alla fine definisce la normalità? Io penso che il principio della canzone sia fare ciò che ci fa stare bene, questo è il mio concetto di normalità.

Quali sono i momenti in cui ti sei sentito giudicato?

Uno dei momenti clou è stato il mio ban da Instagram, perdendo quattro profili uno inizia a farsi delle domande. A queste domande mi sono dato delle risposte: forse ero io che ero un po' esagerato, anche se alla fine questo che cosa era se non un'estremizzazione di quello che sono? Niente di costruito, nessun personaggio, non ho maschere, al mattino non mi devo svegliare e mettere una maschera addosso, io sono così, punto. Però chiaramente quello è stato un momento in cui mi sono sentito giudicato.

Quindi tra Rosa e Manuel  non c'è grossa differenza?

No, sono la stessa persona, una forse è un po' più estrema e questa estremizzazione all'inizio è stata un po' presa come "Oddio questo che cosa sta facendo?", mentre poi il futuro mi ha dato un po' ragione e quelli che allora dicevano "Che cosa sta facendo?", sono gli stessi che oggi dicono: "Polka 1, manifesto di una generazione!"

Ti consideri ancora il più "Politically scorrect"?

Da un lato sì, dall'altro è un politicamente scorretto diverso, oggi. È un politicamente scorretto un po' più maturo, c'è un po' più di consapevolezza rispetto al me di tre anni fa che parlava senza filtri, senza freni inibitori. Ora c'è la consapevolezza che dicendo una determinata cosa, in certi ambienti non ci puoi stare. Abbiamo trovato un compromesso: dico quello che penso senza essere troppo sfacciato.

In che modo ti limiti mostrandoti al pubblico?

Limito semplicemente quello che posso fare sui social network, perché alla fine io non mi drogo, non bevo, sono vegano, mi limito perché chiaramente non posso mettere quello che faccio a letto con la mia ragazza o il mio ragazzo. Mi limito in quello, perché il linguaggio dei social network non ti consente di mettere oltre la tua vita privata.

La tua generazione ha sicuramente aiutato questa liberazione, no? 

Sicuramente la mia generazione ha contribuito. Mi sono sentito spesso paragonato a Lauro per la questione dello smalto, per quanto riguarda alcuni temi trattati, ma io lo faccio da quando ho 14 anni, quindi prima del mainstream, prima della musica, prima che Fedez facesse lo smalto per uomini.

Lauro è stato un riferimento?

Lauro è stato sicuramente un grande personaggio che ha aperto la porta un po' a tutti quelli come me, è stato il primo ad averlo fatto nel mainstream. Diciamo che ha portato un po' più di consapevolezza nelle persone che ci guardano.

Senti la responsabilità di essere visto come modello da un certo tipo di pubblico?

Sì, mi sento un modello, all'inizio lo portavo un po' come come un peso, perché non volevo che i ragazzi facessero quello che faccio io. Con il tempo sono maturato, mi sento cresciuto e sento che quello che faccio è molto più giusto. Mi sento di voler essere un modello per le persone e alla fine quello che cerchiamo di fare è portare sempre un messaggio di positività, di libertà, di amore. Io vorrei vedere la mia generazione un po' più simile, un po' più vicina a quello che è il mio messaggio, il mio linguaggio.

Come consideri Polka, oggi, col senno di poi?

Vedo una mela acerba, la guardo come una cosa totalmente inconsapevole, nessuno si sarebbe immaginato il successo che ha avuto. Nessuno si immaginava 25 milioni di stream per un pezzo nato in una cantina di una casa di Lugano, però non lo guardo con rammarico, non penso di aver sbagliato. Alla fine tutte quelle parole erano un messaggio di libertà, c'era un'espressione artistica: la guardo come una tela, forse solo un po' più incasinata di una tela che potrei fare adesso.

Com'è cambiata la tua musica?

La mia è partita come musica sperimentale, una musica fatta da una persona che non aveva consapevolezza di quello che era la Trap. Anche perché io arrivo da tutt'altro: dal metal all'hip hop, dal reggaeton o dal cantautorato italiano un po' più moderno. Semplicemente ho ricominciato a fare un po' più la musica in base a quello che ascolto, io ho fatto trap, la facevo ascoltavo x e facendo y, adesso sto tirando fuori un po' di x. Insomma ho ascoltato molto reggaeton, ho un sacco di bagaglio culturale su quello e oggi lo uso per cercare di fare il mio pop. Tanti poi lo fanno per marketing, alla fine fanno una roba, poi vanno nel pop per vendere, io invece già vendevo prima, non avevo bisogno di fare questo passaggio per vendere. Anzi, ti dirò, è quasi un'arma a doppio taglio, perché comunque mi andava di più se facevo una Polka 4.

Non ci sarà Polka 4, quindi?

Non credo.

I tuoi come hanno preso la tua voglia di fare musica?

Mia madre mi ha sempre supportato, è la mia prima fan, mentre mio padre all'inizio ero un po' scettico, anche perché chiaramente non mi ha vissuto appieno, sai, per colpa della distanza, i miei sono separati… Mi diceva che forse era meglio che mi trovassi un lavoro, ma io ho abbandonato la scuola per l'arte, ho lasciato tutto: i miei amici, la mia famiglia, non stavo più a casa, scappavo, andavo a fare tele, a dipingere, ai rave che adesso stanno vietando. Facevo un sacco di cose inerenti all'arte, non avevo tempo per la scuola, non mi interessava. Alla fine ho fatto di testa mia, come un po' in tutto nella vita. Mia madre mi ha supportato in tutto, mio padre era più titubante poi ha visto il primo disco d'oro, Sanremo, i primi feat con quelli un po' più grossi, ha visto che ci campavo, che aiutavo anche in famiglia e mi ha detto: "Sono fiero di te", che per uno che non vede suo padre da otto anni, è una gran cosa.

Sanremo ha cambiato qualcosa nella tua vita?

Sanremo cambia chiunque partecipi, anche come ospite. Io alla fine ho fatto un'ospitata veloce con Alberto (Tananai): un'ospitata che però mi ha cambiato la vita. Dal momento in cui sali su quel palco, veramente hai una percezione del mondo diversa, sei lì e hai 8 milioni di persone che ti stanno guardando, poi avevo avuto il Covid fino al giorno prima, quindi è stato quasi un parto Sanremo per me, però sì, diciamo che un'esperienza che ti resta dentro.

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