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Rock Lit, in viaggio tra musica e letteratura si incontrano anche O’Connor, Cohen, Burroughs e McCarthy

Rock Lit è il primo libro di Liborio Conca che per questo esordio ha preso le sue più grandi passioni, musica e letteratura raccontandone gli intrecci, scegliendo alcuni “padri” da cui far partire questo viaggio che si dipana tra Usa e Inghilterra soprattutto, raccontando Flannery O’Connor, Cormac McCarthy ma anche Michael Stipe e Kurt Cobain, David Bowie, Mark “Sparklehorse” Linkous.
A cura di Francesco Raiola
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Quali sono gli intrecci tra musica e letteratura nella Storia? Una domanda retorica, perché è impossibile riuscire a tracciare una linea unica che possa raccoglierli, ma senza dubbio si possono isolare dei luoghi, delle canzoni, dei cantanti e degli scrittori per raccontare un pezzetto di questa mappa immensa. Lo fa, ad esempio, Liborio Conca, giornalista, scrittore, appassionato di musica che ha pubblicato con Jimenez Rock Lit, un percorso, appunto, in cui si racconta come la musica ha influenzato la letteratura e viceversa. Un percorso tra Southern Gothic e beat generation, tra post punk e new wave, in cui si incontrano personaggi come William S. Burroughs, Michael Stipe, Mark Linkous, Flannery O'Connor, Leonard Cohen.

Rock Lit è un’esperienza potenzialmente non dico senza fine ma dalle molteplici possibilità. Innanzitutto hai escluso l’Italia, ma comunque resta un territorio enorme. Come ti ci sei mosso?

Esatto, è un territorio vastissimo: il paesaggio che coinvolge letteratura e musica rock è incredibilmente aperto. Un po’ lo sapevo già, un po’ l’ho scoperto lavorando al libro e ricercando e scoprendo cose nuove. Restando alla metafora del territorio, ho deciso di orientarmi in modo decisamente soggettivo: ho messo in tasca una bussola e mi sono inoltrato, cercando di seguire un percorso immaginario – da New York fino al sud degli Stati Uniti fino al Regno Unito – e soffermandomi sulle mie passioni, letterarie e musicali. Il paesaggio italiano è rimasto fuori perché per come ho deciso di strutturare il libro, ovvero per “tappe”, chiamiamole così, ho pensato che il nostro paese meritasse un discorso più esteso – ragion per cui stiamo pensando a un volume due, che si muova lungo le città e la musica e la letteratura italiana.

Musica e letteratura, letteratura e musica, nel libro ripercorri alcuni incroci, qual è quello che ti ha colpito di più, qual è l’autore, il musicista, la storia che ha dato il la all’idea di andare in profondità e raccogliere materiale?

In Rock Lit compaiono diversi personaggi (sai che non li ho mai contati!); alcuni ricorrono più volte, altri si affacciano per comparsate più brevi, da toccata e fuga. Direi che il protagonista del libro potrebbe essere William S. Burroughs, il padrino della letteratura beat, lo scrittore che compare praticamente in tutte le tappe di Rock Lit, a volte direttamente e a volte come fosse una sorta di fantasma. È lo scrittore a cui si sono ispirati Michael Stipe e Kurt Cobain, ma anche David Bowie e Patti Smith: vuoi per il suo modo di scrivere, con la famigerata tecnica del cut-up, vuoi per quell’attitudine alla vita parecchio spericolata, anzi, fuori di testa – chi conosce la biografia di Burroughs saprà di cosa stiamo parlando. Per questo il libro inizia con la festa per i suoi settant’anni, nel cuore degli anni Ottanta, in un locale newyorchese, una ex chiesa sconsacrata, dove se ci fossimo imbucati avremmo potuto incrociare – oltre al festeggiato – Frank Zappa, Lou Reed, Madonna, Jim Carroll, i Police, David Cronenberg, all’epoca un regista alle prime armi che proprio in quell’occasione “agganciò” Burroughs per proporgli una versione cinematografica del Pasto nudo.

Qual è l’artista più letterario che hai incontrato?

Ho un debole per Mark Linkous, cantante e leader degli Sparklehorse (di fatto Linkous era gli Sparklehorse). Originario della Virginia, la sua musica era intrisa della grande narrativa del Sud americano, un genere peculiare chiamato Southern Gothic che vanta tra i suoi scrittori di spicco autori straordinari – e l’aggettivo straordinario ci sta tutto, direi – come Flannery O’Connor, William Faulkner, Cormac McCarthy. Quando uscì il primo album degli Sparklehorse un recensore del Telegraph scrisse che Linkous era un «Faulkner con la Rickenbaker». La parte dedicata a Linkous in Rock Lit è quella a cui sono più legato.

È vero, ti soffermi molto sull’immaginario del Sud, è in quelle terre sconfinate, in quei panorami che maggiormente colpiscono forse l’immaginario estero, che ti muovi in alcune delle pagine più belle. Cosa hai scoperto scrivendo questo libro? C’è qualcosa in cui ti sei imbattuto mentre lo scrivevi?

Quello del Sud americano è uno scenario estremamente affascinante. Ritrovi la natura selvaggia, modalità estreme di fanatismo religioso, e la provincia, e la voglia di fuga ma anche una calamita che rinsalda un legame da portare appresso a vita. Nel libro azzardo una battutina, è solo una riga: forse questa cosa qui vale per tutti i Sud del mondo? Chissà. Per restare all’ambito musicale, dicevo di Mark Linkous, ma racconto anche del batterista dei R.E.M., Bill Berry, che a un certo punto della sua vita – anche a causa di un problema di salute, certamente – decise di salutare i compagni di viaggio e dedicarsi alla cura della sua campagna in Georgia.

Si parla molto dell’epoca beat e, comunque, del passato. È stata una scelta dettata dal bisogno di trovare confini oppure oggi è tutto meno intrecciato?

Da un lato torniamo alla necessità di cui parlavamo prima – tracciare dei confini in un mondo parecchio esteso. Temevo il rischio di fare un “mischione”, e a costo di sacrificare la completezza mi sono concentrato su alcuni frangenti particolari. Dall’altro è vero che gli ultimi dieci-quindici anni non sono stati esattamente una golden age per la musica rock, e su questo punto credo sia difficile essere in disaccordo; quindi ho privilegiato il momento – i momenti – in cui rock e letteratura imponevano il loro linguaggio con un impatto fortissimo. Il che non si esaurisce alla narrativa beat; nel libro compaiono i grandi gruppi post punk inglesi degli anni Ottanta e il rock alternativo dei Novanta, dai citati Sparklehorse a Radiohead, Nirvana, Pj Harvey, Belle and Sebastian. E poi – seppur brevemente – Sufjan Stevens e Paul Banks degli Interpol.

Immagino che avrai letto tanto e ascoltato tanto per buttare giù questo libro, quindi ti chiedo in che modo “la letteratura può influire nel processo creativo” per usare una tua frase?

È il primo libro che ho scritto, ma vale anche per gli articoli che ho firmato: scrivo come leggo, come ho letto, come sto leggendo (e non vale solo per le letture narrative: vale per la poesia, la saggistica, il giornalismo più fico). È chiaro poi che le letture che fai si incontrano con la tua sensibilità individuale. Penso valga piuttosto in generale, come regola.

A chi devi il tuo incontro con la musica e a chi quello con la letteratura?

Ho iniziato ad ascoltare veramente la musica con un gruppo che in Rock Lit non compare mai, ma a cui sono tutt’ora legato, i Queen. Lo scrittore che ho iniziato a frequentare con più intensità da adolescente è Dostoevskij, lui sì un osso duro.

Quali sono tre album che consiglieresti per leggere questo libro, tra i tanti che citi? Se dovessi partire da un incrocio letteratura/musica da dove partiresti? E se dovessi farlo trattando l’Italia?

Un album qualsiasi di Leonard Cohen. "Blood on the Tracks" di Bob Dylan. "Turn on the Bright Lights" degli Interpol. Se dovessi partire da un incrocio “italiano” partirei da Pier Vittorio Tondelli.

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