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Ralph P: “Che fine hanno fatto i bambini di ‘Io speriamo che me la cavo’? L’ho raccontato col rap”

Il rapper napoletano Ralph P ha raccontato a Fanpage.it il tema principale del documentario “Noi ce la siamo cavata” sui bambini protagonisti di “Io speriamo che me la cavo”.
A cura di Francesco Raiola
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Che fine hanno fatto i bambini di "Io speriamo che me la cavo", il film diretto da Lina Wertmuller con Paolo Villaggio? Ce lo racconta il documentario "Noi ce la siamo cavata", diretto da Giuseppe Marco Albano con uno di quei bambini, Adriano Pantaleo, a fare da Cicerone, mettendosi sulle loro tracce e scoprire cosa è successo. A fare da tema principale di questo documentario è la canzone omonima, scritta dal rapper napoletano Ralph P, che aveva già curato le musiche per l’adattamento cinematografico de “Il Sindaco del Rione Sanità”, finendo tra i candidati ai David di Donatello ed ai Nastri d’Argento 2020. Abbiamo chiesto al rapper napoletano, come nasce questa collaborazione e l'amicizia con Pantaleo, che firma anche la regia del videoclip.

Ci racconti come nasce il tuo amore per la musica e quando hai deciso di virare sul rap?

Sin da piccolissimo sono sempre stato appassionato di musica. Mia mamma spesso mi ricorda che a 4-5 anni ricevetti in regalo il mio primo tamburo e non me ne separavo mai, mi piaceva tantissimo suonare. A 12 anni iniziai a studiare percussioni, dopo aver ricevuto in dono un set di congas che conservo ancora gelosamente. Il mio percorso nel rap è cominciato più tardi: dalla frequentazione con un gruppo di ragazzi che mi hanno iniziato alla cultura hip hop, in tutte le sue discipline (c’era chi faceva writing, chi ballava e chi scriveva testi). Da lì ho capito che il rap era un mezzo di comunicazione che faceva per me; avevo qualcosa da dire, e all'età di 17 anni ho cominciato a scrivere i primi testi.

Sei di Miano, quell’area Nord da cui arriva il meglio del rap napoletano. Cosa ha in più (o in meno) da essere riuscito a entrare nella geografia rap del paese?

Il rap, da sempre, è un genere musicale che nasce nei sobborghi e prolifera nel disagio che accomuna tutte le periferie del mondo. Se si guarda alla densità abitativa del mio quartiere, è altissima, addirittura più alta di quella del Bronx, e i servizi decisamente inferiori a quelli che sarebbero necessari all’intera popolazione: mi pare che i presupposti per il rap ci siano tutti.

Noi ce la siamo cavata è un brano che ripercorre quello che è il tema dell'omonimo documentario e, quindi, anche del film di Lina Wertmuller: il rischio esclusione sociale, il riscatto. Racconti i personaggi, quelli che ce l’hanno fatta e quelli che hanno avuto più difficoltà, ma il messaggio è sempre che “‘a int’’a shit se pò ascì”, giusto?

Assolutamente! Tutte le mie canzoni cercano di portare un messaggio positivo: infatti, decisi di chiamare il mio disco “Se po’ avverà” perché credo fermamente che inseguire i propri sogni e lavorare affinché si avverino non sia mai vano, anche se richiede tempo e sacrifici.

Come arriva l’esperienza di “Noi ce la siamo cavata”?

Adriano Pantaleo mi chiamò in piena pandemia, dicendo che aveva avuto un’idea: voleva produrre un documentario sui ragazzi di “Io speriamo che me la cavo” e mi propose di scrivere una canzone che potesse accompagnare il film, come avevo già fatto per “Il Sindaco del Rione Sanita”. Gli diedi da subito pieno supporto, non vedevo l’ora di conoscere anche gli altri attori e, soprattutto, le loro storie… è stata una grandissima emozione per me poterli incontrare e girare il videoclip con loro. Ad oggi mi rendo conto che si è trattato di un lavoro lungo, ma alla fine il docu-film e la canzone hanno visto la luce e per me ne è valsa assolutamente la pena.

La tua amicizia con Pantaleo come nasce?

Io e Adriano ci siamo conosciuti nel 2016, quando entrambi facevamo parte dello spettacolo teatrale “Il Sindaco del Rione Sanita” per la regia di Mario Martone. Quando avevamo le prove al Teatro NEST andavo sempre in auto con lui e per le prime due settimane non ho fatto altro che ripetergli quanto fosse incredibile per me conoscerlo, che non potessi credere di frequentare uno dei miei miti… ad un certo punto ammise che era onorato ma che ormai eravamo diventati amici e quindi la cosa lo facevo sentire in imbarazzo. Da allora abbiamo condiviso non solo l’esperienza del Sindaco a teatro e al cinema, ma anche molti altri spettacoli prodotti dal NEST, una realtà che sono felice di aver conosciuto e che sostengo con orgoglio.

Il rapper Ralph P
Il rapper Ralph P

Ti senti vicino alle storie che racconti e che possiamo vedere nel docu-film?

Sì e no. Sì, perché sono dinamiche che conosco molto bene, alle quali sono stato quasi abituato. Le storie che racconto sono spesso quelle che ho visto accadere attorno a me, a persone che purtroppo non hanno avuto le mie stesse opportunità o la mia stessa fortuna. Ho conosciuto la musica molto presto ed è stata un'occasione per fare tante nuove conoscenze e capire che c’erano delle alternative reali a quelle offerte quotidianamente dal quartiere.

Dove sono le tue origini artistiche? Quali sono stati i tuoi modelli?

Partiamo dal presupposto che io nasco come percussionista, ho studiato congas ma da autodidatta ho allargato la mia conoscenza a molti strumenti a percussione e non. Nel corso della mia vita ho fatto parte di diversi gruppi musicali, di generi differenti: ho suonato dalla musica popolare alla musica house, passando per il jazz e la musica latina. Diciamo che ho avuto influenze diverse e non riesco ancora a categorizzare con precisione la mia musica, cerco di essere originale e seguire il mio istinto, sia quando scrivo che quando produco.

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