Non che questo sia da considerare un merito, ma conosco i Baustelle da quando hanno timidamente iniziato ad affacciarsi alla ribalta nazionale. Nella seconda metà dei '90 ho persino recensito un loro demo e nel 2000 gli ho consegnato il PIMI – che al tempo aveva un altro nome, ma non sottilizziamo – per il brillantissimo “Sussidiario illustrato della giovinezza”, eletto miglior album d'esordio indipendente della precedente stagione discografica. Da allora li apprezzo pressoché senza riserve, a parte una piccola ombra della quale mi sono spesso lamentato, in pubblico e con i diretti interessati: lo spazio non abbastanza rilevante concesso alla voce di Rachele Bastreghi. Nessuna critica, sia chiaro, a Francesco Bianconi, il cui singolarissimo carisma marchia in modo inconfondibile lo stile della band toscana, ma riservare a Rachele il ruolo di “spruzzata di tartufo” mi è sempre parso uno spreco. Ovvio che l'eventuale eccesso di brani in duetto avrebbe magari reso la formula limitata e un po' ripetitiva, ma sarebbe stata una buona idea fidarsi del detto in medio stat virtus e provare a sfruttare meglio le preziose risorse disponibili.
Ci sono voluti quindici anni, ma approfittando di un periodo di pausa nell'attività del gruppo di cui continua a essere un elemento-cardine, alla fine Rachele ha capito che era giunta l'ora di camminare da sola e conquistare qualche riflettore tutto per sé. A spingerla a compiere il passo non è stato un desiderio di protagonismo che sarebbe comunque legittimo, ma un'urgenza artistica e personale che la cantante, tastierista e autrice ha espresso in piena sintonia con il suo carattere pacato e poco propenso ai fuochi d'artificio. Non un intero album, che taluni avrebbero potuto trovare esagerato, ma un "mini” con sei tracce (e una versione strumentale) pubblicato in CD e in vinile con lo stesso, prestigioso marchio Atlantic che da quasi un decennio è apposto sui lavori dei Baustelle. Un ottimo modo per dire “ci sono!” con discrezione e classe; senza gridarlo, perché di urla scomposte se ne odono già a sufficienza.
La medesima filosofia pervade i solchi di “Marie”, che prende il titolo dal nome del personaggio interpretato da Rachele in un episodio della fiction della RAI “Questo nostro amore”. Il pezzo da lei proposto in quella insolita occasione e diffuso come singolo nel dicembre scorso, “Mon petit ami du passé”, è logicamente in scaletta, assieme ad altri cinque brani che ai testi in francese preferiscono quelli in italiano, comprese le riletture di “All'inferno insieme a te” di Patty Pravo (a sua volta adattamento di una canzone d'Oltralpe, “Detachez-moi les bras” di Claude Puterflam) e “Cominciava così” dell'Equipe 84. Per tutti i suoi ventisette minuti, il disco diffonde attorno a sé suggestive fragranze rétro di scuola Seventies, proiettando in una dimensione onirica – ma calda e intensa – all'insegna di sonorità avvolgenti e morbidezze mai stucchevoli. Prodotto da Giovanni Ferrario e realizzato con il contributo di musicisti di grande talento, “Marie” ha come ulteriori gemme “Senza essere” (composta a quattro mani con Claudio Brasini, il terzo Baustelle), “Folle tempesta” e il nuovo singolo “Il ritorno”. Eleganza, melodie ricercate ma persuasive, atmosfere dove il glamour sposa l'inquietudine, una voce profonda ed espressiva, una poetica riconoscibile: insomma, quanto basta e avanza per dare il via a una vera e propria carriera solistica “in parallelo”. Che sia Rachele, verificata la forza delle sue ali, a decidere se proseguire il volo o lasciare che “Marie” rimanga una bella parentesi.