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Raccontare Massimo Ranieri, Jacopo Cirillo: “Un punto di riferimento dai molteplici talenti”

Jacopo Cirillo racconta in un libro il suo Massimo Ranieri, un punto di riferimento per lo Spettacolo italiano, che oltre a canzoni come “Perdere l’amore” – che quest’anno festeggia 30 anni- e “Rose rosse” ha scritto tanti altri successi, e soprattutto artista in grado di gestire in maniera sempre perfetta la molteplicità dei suoi talenti.
A cura di Francesco Raiola
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Massimo Ranieri (LaPresse)
Massimo Ranieri (LaPresse)

Jacopo Cirillo è uno scrittore, giornalista, autore di fumetti, fondatore di una rivista letteraria e, tra le altre cose, un grandissimo fan di Massimo Ranieri. Passione che ha trasformato in un incendio, per usare il nome della collana in cui Add Editore racchiude la passione musicale, espressa in forme diverse, verso un artista: "Le rose non si usano più" è, infatti, il libro in cui Cirillo racconta la nascita di una passione che tra alti e bassi lo ha accompagnato negli anni, partendo dai rapporti con la nonna, da bambino, passando per l'adolescenza, in cui dire di essere fan di Ranieri non era alla moda, e arrivando fino ai giorni d'oggi in cui ha capito come il cantante rappresenti "un modello di funzionamento culturale e artistico". Un viaggio in treno da Milano a Roma per raccontare uno degli artisti più amati d'Italia – che quest'anno festeggia 30 anni dal suo capolavoro "Perdere l'amore" – e forse non conosciuto al meglio se è vero che alla fine sono poche le canzoni che si riconducono immediatamente a lui: quello che, però, Cirillo riesce a mettere in luce, oltre alla grandezza musicale, è la sua capacità di gestire – in maniera sempre alta – la varietà dei suoi talenti, sul palco musicale, teatrale, in tv e al Cinema.

La tua passione per Massimo Ranieri nasce quando eri molto piccolo e nel tempo ha affrontato alti e bassi. Ci spieghi cosa rappresenta per te, oggi, Ranieri?

Sì, come racconto nel libro il mio primo incontro con la musica di Ranieri è stato quando avevo cinque anni, poi la passione ha mutato spesso forma e intensità durante i miei anni dell’adolescenza e quelli dell’università. Adesso direi che si è stabilizzata. Per me Ranieri oggi rappresenta intanto un riferimento jazz di grande qualità: i migliori musicisti del nostro paese hanno suonato negli ultimi suoi album di canzoni napoletane, e il risultato è davvero sublime. In generale, Ranieri oggi per me rappresenta più di tutto un modello di funzionamento culturale e artistico; le tante e variegate esperienze che ha fatto nella sua carriera lo hanno reso un meccanismo d’intrattenimento perfetto, così come la sua consapevolezza nell’esserlo. La lezione è sempre la stessa: bisogna diversificare le proprie capacità e convogliarle tutte al servizio della propria arte e, in generale, di quello che si vuole fare nella vita, senza pensare troppo al passato, né al futuro. Vivere il momento, un po’ come Ti con zero di Italo Calvino.

Il gioco di parole, quando si parla di artisti, è quasi spontaneo: come nasce “Le rose non si usano più” e come mai hai scelto questa modalità di racconto (quella del viaggio in treno fino a… non lo diciamo)?

L’idea del libro è nata a partire dalla collana “Incendi” di Add Editore. Appena ho saputo della sua esistenza, ho immediatamente proposto un progetto attorno a Ranieri. Non avevo mai avuto modo, prima, di poter scrivere di lui, e avevo un sacco di cose da dire a riguardo. L’opera di convincimento della casa editrice è stata divertente, perché all’inizio non credevano davvero che volessi scrivere un libro su Ranieri, per dimostrarglielo ho dovuto mandare subito l’indice e la struttura del libro! Per parlare di Ranieri e, allo stesso tempo, intersecare racconti delle mie storie personali su di lui, avevo bisogno di uno stratagemma narrativo che mi permettesse di aprire e chiudere con agilità riferimenti temporali e concettuali molto eterogenei tra loro, e un immaginario viaggio in treno da Milano a Roma per incontrarlo mi è sembrato il modo perfetto per coniugare narrativa, autofiction, saggistica e pensieri sparsi.

A un certo punto parli della moltiplicazione dei talenti: Ranieri riusciva e riesce tuttora bene in tante cose. Mi è piaciuto il modo in cui trasli questo esempio su te stesso e il mestiere di freelance. Lo spiegheresti a chi ancora non ha potuto leggere il libro?

Lo accennavo già nella prima risposta. Ranieri è un moltiplicatore di talenti che raggiunge il suo apice durante gli spettacoli live, dove convoglia canto, ballo, recitazione teatrale e cinematografica e spiccate doti da conduttore e showman. Ha passato una carriera intera a imparare tutte queste cose per poi renderle parte costitutiva di sé, di modo che quasi non possa più essere definito univocamente. La stessa cosa funziona nel lavoro da freelance. Se l’unità di tempo e spazio rappresenta la struttura profonda del lavoro dipendente, il frammento definisce la quotidianità del freelance culturale come me. Per mettere insieme i soldi dell’affitto, infatti, devo scrivere di libri, di film, di serie tv, di videogiochi, di cantanti melodici napoletani e di pallacanestro, poi scrivere romanzi, fumetti, recensioni, saggi, gestire account social di aziende, redigere comunicati stampa e mille altre cose. Ma più di tutto, ed è questo il grande esempio di Ranieri, devo riuscire a combinare tutti questi frammenti in un percorso lavorativo (o artistico, se vogliamo) coerente, sensato e autosufficiente. E divertirmi a farlo.

La copertina di "Le rose non si usano più" (particolare)
La copertina di "Le rose non si usano più" (particolare)

Qual è, secondo te, il suo talento maggiore? Cos’è che dovremmo imparare da un artista come lui?

A costo di risultare retorico, penso che il talento maggiore di Ranieri sia appunto la sua capacità di non soffermarsi su un talento solo, e la sua fame atavica (letterale e metaforica) di imparare qualcosa di nuovo solamente per poi ricominciare ancora da capo. Il segreto custodito in bella vista da Ranieri è allora la moltiplicazione, l’orizzontalità, la voglia e la disposizione di accogliere capacità, riuscendo allo stesso tempo a esserne soddisfatto e a non soddisfarsi mai. La cosa che tutti dovremmo imparare da lui è la gioia dello sfidarsi continuamente, e non per vincere ma solo per il gusto della sfida stessa. Il suo arco narrativo non può avere fine, non ha mai impostato la sua carriera come un viaggio verso una destinazione. Intanto viaggiamo, poi si vedrà.

Qual è la prima cosa che gli diresti se dovessi incontrarlo?

La primissima cosa che gli chiederei è se gli è piaciuto il libro, ovviamente! Poi, più che fargli una domanda singola, mi piacerebbe prendermi un’oretta per chiacchierare, provare a capire lo scarto che c’è tra la mia percezione di lui, formatasi a partire dalla mia visione della sua carriera, e il tipo di persona che effettivamente è. Sono molto affascinato dal suo funzionamento, e vorrei capirci un po’ di più.

“L’ammirazione è una cosa seria: ammirare un altro essere umano con sincerità e naiveté, senza doppi fini, ma solo per il piacere di rimanere a bocca aperta, è il modo migliore per tornare bambini, rimanendo adulti”. Mi affascina da sempre questa questione e mi ha colpito questo passaggio: probabilmente ti capiterà di confrontarti con personaggi che stimi e ammiri e ti sarà capitato di incontrare Ranieri. Come l’affronti/hai affrontata?

Intanto Ranieri non l’ho mai (ancora) incontrato, almeno personalmente. Tuttavia, e per fortuna, grazie al mio lavoro ho avuto a che fare con personaggi che ammiro – penso a Flavio Tranquillo e Federico Buffa, a Elio e le storie tese, a tantissimi scrittori tipo Andrea G. Pinketts, a tantissimi fumettisti come Giorgio Cavazzano, eccetera. Secondo me la cosa più importante, che all’apparenza può sembrare pure presuntuosa, è mettersi immediatamente al loro livello. Non fare i fan, insomma. Questo perché, almeno per me, ciò che interessa non è un autografo o una stretta di mano, piuttosto riuscire a capire come funzionano, dove si annida la loro grandezza, o almeno la grandezza che ammiro. E lo posso fare solo confrontandomi con loro in quanto pari, anche se con una massiccia dose di talento in meno.

Se chiedi a qualcuno quali sono le canzoni di Ranieri che conosce, pare non se ne esca: “Perdere l’amore” e “Rose rosse”. Qual è, invece, la tua top 5?

La cosa particolare di questa coppia di brani che tutti sanno e tutti ricordano è che, effettivamente, “Perdere l’amore” è una canzone meravigliosa. Quindi nella mia top 5 ci entra di diritto. Mettendole tutte in fila direi:

1. La vestaglia
2. L’amore è un attimo (per ragioni sentimentali)
3. Perdere l’amore
4. Nuttata ‘e sentimento (riarrangiata jazz)
5. Guaglione (riarrangiata jazz)

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