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Pino Daniele, volto della migliore delle Napoli possibili

Ognuno è il luogo in cui nasce. Di certo vale anche per Pino Daniele, che si caricò sulle spalle la responsabilità di traghettare Napoli in una nuova dimensione musicale, senza mai dimenticare da dove venisse.
A cura di Andrea Parrella
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Se si tentasse di disegnare l'affresco di quella che la cultura contemporanea ci ha insegnato a ritenere la migliore delle Napoli possibili, il quadro risulterebbe subito chiaro. Sarebbe irrinunciabile non fare riferimento a quella città che a cavallo tra gli anni '70 e '80 viveva delle pulsioni di un progresso possibile, e tutto in divenire. Una città gravida di problemi, eppure contrassegnata da quanto le generazioni attuali fanno fatica a vedere, quel sentimento racchiuso nella parola speranza. "Cambiare le cose" era una costruzione abusata legittimamente, da utilizzare senza troppa parsimonia. Ed era una delle premesse della missione musicale e creativa di Pino Daniele, quella di cambiare le cose. Trasformarle, però, dal suo punto di osservazione, da Napoli. Del suo terzo album, forse tra i più sciovinisti, ovvero Nero a metà, diceva:

C’era tanta voglia di cambiare le cose e la musica ci aiutava molto

Pino Daniele e la sua città sono stati intrecciati, avvinghiati per elezione, senza la necessità di doversi scegliere. Lui ha osservato Napoli e si è incaricato della responsabilità di traghettarla musicalmente in una dimensione temporale successiva, nella quale ci è arrivata imponendo il proprio marchio al mercato, senza snaturarsi. Ha creato commistioni, combinazioni che hanno spaziato nei campi melodici più svariati, non abbandonando il minimo comune denominatore partenopeo. Dalle sue canzoni esce fuori l'oleografia di una città splendida, animata da un impeto rivoluzionario, dalla rabbia propositiva, l'incazzatura sana che stava nella voce graffiata del Pino più giovane. Tutta la sua produzione è stata nel segno del rispetto per le origini. Il respiro di Pino Daniele è decisamente internazionale, ma la chiave di lettura musicale non può prescindere dalla napoletanità: è una nozione che conoscono tutti, più o meno eruditi, Pino trasudava la città che lo aveva visto crescere.

Esiste dunque una ragione per cui a Pino Daniele i napoletani non possano non voler bene: sono in pochi quelli che, tramandato dai propri genitori, vissuto personalmente o sentito sotto forma di racconto altrui, non abbiano un ricordo legato alle sue canzoni. Il rapporto controverso con la città, i dissapori e tutto quanto attiene alle polemiche sull'abbandono di Napoli del cantante, che viveva tra Roma e la Toscana, hanno senso solo se ci si immagina che l'amore possa esistere nell'unica e svilente forma della devozione sconfinata, a prescindere da tutto. Chi ha capito davvero il senso di ‘Na Tazzulella é cafè, Terra mia e, immancabilmente, Napul'è, sa che l'artista e uomo Daniele si è sempre rifiutato per costituzione di mentire al popolo cui apparteneva, di negare le evidenze e coccolarlo gratuitamente.

Non è mai tardi quando qualcuno muore, lui lo ha fatto davvero troppo presto e lasciando un vuoto affettivo paragonabile solo a quello generato dal suo amico Massimo Troisi. In questo video li si vede insieme, rifinire in una stanza d'albergo un capolavoro. "Quando" suona già ma è ancora imperfetta, prende vita a braccio, dimostrazione che Pino Daniele fosse di quegli artisti che le parole le trovano meglio nella musica, piuttosto che nella vita.

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