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Piero Pelù si racconta: “Ero un ribelle, la mia famiglia non mi capiva. La politica? Non ho tessere”

Piero Pelù racconta i suoi anni di rabbia, musica e impegno in questa intervista a Fanpage.it.
A cura di Francesco Raiola
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Una lunga esperienza musicale e di impegno che si è concretizzata, questa volta, nella canzone Musica libera, che già dal titolo fa capire come sia un brano che parla di libertà e commistioni. Lo si capisce ancora di più con la scelta di cantarla assieme ad Alborosie, star italiana della musica reggae del mondo. I due artisti saranno protagonisti anche del Concertone del Primo Maggio, palco che storicamente è legato al lavoro, perfetto quindi per l'ex Litfiba che da sempre ha avuto l'impegno sociale come bussola di vita. Dall'oroscopo alla musica, passando per la famiglia, le passioni e la rabbia, Pelù si è raccontato a Fanpage.it

Ti definisci Acquario ascendente Acquario: cosa significa?

Purtroppo è una specie di condanna a morte perché per quanto ne possa capire io è garanzia di instabilità totale.

Un'instabilità che ti ha donato qualcosa a livello creativo, però, no?

Delle volte si traduce in creatività, altre in inevitabile caos.

E questo caos ti spaventa o hai imparato a gestirlo?

Ho imparato a gestirlo, anche se quando si è troublemaker o calamite di guai come dico in una canzone, la varietà e la trasformazione genetica di questo caos è imprevedibile. Ma fa parte della mia natura a vivere così, non riesco a vivere una vita tranquilla.

Quali sono i guai di cui parli?

Ma no, lascia perdere, per l'amor di dio!

Insisto.

Tu pensa solamente alla storia dei Litfiba, quanto cazzo è stata complessa, contorta, controversa, creativa, emozionante e umiliante per certi aspetti. Tutto questo ventaglio rientra nel mio stile di vita.

Tutto ciò ha creato una band che ha scritto pagine importanti del nostro rock. Oggi farei fatica a trovare i voi del presente, non credo che siano i Maneskin.

I Maneskin sono figli del loro tempo, ma io direi che più vicini ai Litfiba sono i Fask.

Nella tua biografia parlavi di punti di riferimento come Black Sabbath e i Beatles di Revolver…

E Jannacci.

Jannacci, giusto.

Sì, avevo un orecchio attento a tante tendenze, da quelle più cantautorali, stralunate ma geniali come quelle di Jannacci e Jacopo Fo, abbracciando il teatro, che è un amore della mia vita, con la musica, il mimo, le maschere…

Le maschere?

Sì, ho una casa che è tappezzata di maschere, è una cosa che inquieta, Gianna (la direttrice d'orchestra Gianna Fratta, moglie del cantante, ndr) ancora non s'è abituata, mentre io le adoro, pensa che qui intorno non ho neanche un ritratto mio. Sarà anche perché la Commedia dell'arte mi ha sempre affascinato, Arlecchino è una figura fondamentale per la mia formazione. E ci riagganciamo alla molteplicità delle mie influenze, che sono anche quelle che formano questo caos in parte creativo della mia esistenza.

Questa questione delle maschere e del mimo hanno a che fare col tuo periodo a Parigi?

Per Parigi devo ringraziare la mia famiglia, nonostante mi abbia devastato l'esistenza mandandomi a fare una scuola che non volevo, ovvero il Liceo Classico Dante che ha non poco influenzato la mia rabbia successiva che poi si è tradotta in musica.

Cosa volevi fare?

L'Istituto d'arte, però mia madre si stava per laureare in Lettere francesi quindi era molto legata alla Francia, trasmettendomi l'amore per la loro cultura. Già da bambino andai a Parigi con mio fratello e fu lì che scoprii Paranoid dei Black Sabbath. In quel momento capii l'importanza del viaggiare, del confrontarsi con realtà totalmente diverse dalle nostre. Eppure noi venivamo da una Firenze bellissima, città Rinascimentale, una città molto creativa, aperta: è stata la prima città a ospitare un locale gay, il Tabasco, quella in cui Renato Zero aveva comprato casa, dove Romanina, prima transgender italiana, viveva e si godeva la vita, in cui quando andavi in centro sembrava di essere a Woodstock, perché c'era una tale quantità di ragazzi che suonava per strada, condividevano storie in maniera freakkettona. Poi era la città di Giorgio La Pira, Don Lorenzo Milani ed è quella di Stefano Massini, grandissima persona e autore e scrittore ineguagliabile.

Insomma, era un bel posto dove vivere…

Sì, un bel posto dove vivere, con energie democratiche e progressiste ad altissimo livello.

La rabbia di cui mi parlavi, mescolata a questa Firenze brulicante sono state il motore della tua carriera?

Io ho vissuto una adolescenze molto difficili… Ora, non voglio fare vittimismo, perché la mia famiglia era unita, arrivavamo tranquillamente alla fine del mese, non mi permetterei mai di paragonare la mia adolescenza a quella di tantissimi ragazzi che hanno avuto difficoltà, famiglie distrutte etc, ma ho vissuto questa doppia anima: vivere in una famiglia borghese laddove avevo un'anima ribelle, diversa dal resto della famiglia, che non veniva né accettata, né capita. Ho vissuto questa frustrazione da accettazione.

E il tuo successo come l'hanno vissuto?

Ci sono arrivati molto lentamente, sicuramente dopo decine, centinaia di migliaia di fan e dischi venduti. Però, per dire, stamattina ho sentito mia madre per sapere come sta papà che ha quasi 96 anni ha la demenza senile, per cui ogni giorno che passa è una grande conquista ma soprattutto una grande sofferenza, soprattutto per mamma, e lei in risposta mi ha detto: "Dobbiamo incontrarci per parlare del Primo maggio".

Era una minaccia?

[Ride] Sì, le ho chiesto di cosa volesse parlare, che so bene cosa dirò e lei mi fa: "Stai attento perché ti diseredo". Siamo arrivati a questo, capito?

Non ha ancora fatto pace con questo tuo animo ribelle?

No, col figlio ribelle ancora non ha fatto pace, siamo ai ricatti.

Cosa teme che tu faccia su quel palco?

Ha il terrore che vada lì e m'incazzi, tanto lo sa come sono fatto.

E tu ti incazzerai su quel palco che per anni è stato così politico?

Per come il liberismo ha preso piede in Italia quello del Primo Maggio diventa automaticamente un palco politico. La festa del Primo Maggio è una festa dei diritti e quando vengono calpestati come succede in Italia a tantissimi livelli non si potrà non parlare di tutto questo. Ci sono infinite altre occasioni per andare a suonare pensando al divertimento puro, perché la musica è divertimento, ma ha anche un valore sociale, connettivo, di condivisione e anche di racconto. E il racconto di questo giorno non può prescindere dai diritti calpestati dei lavoratori, come il salario minimo non riconosciuto.

Qualche anno fa avevi posizioni vicine al Movimento…

Mah, io non mi sono mai schierato con nessun partito, anche se le mie idee sono progressiste, credo nel valore di libertà, uguaglianza e fratellanza, sono nato con questa impostazione e non intendo cambiarlo, anche se la moda e la tendenza generale sono per chiusura, suprematismo e liberismo selvaggio. Insomma, mi sentirò sempre più vicino agli operai della GKN che a certi imprenditori.

Oggi ti senti rappresentato?

Mi sento rappresentato dalle parole e dalla figura del Presidente Mattarella, figura istituzionale che mi sento di avvicinare a quella di Pertini, altro Presidente che ho amato moltissimo.

Tutti presidenti con un'idea molto chiara, per esempio, su una festa come quella del 25 aprile…

Sul valore della nostra Costituzione, sulla quale giurano tutte le Istituzioni, dalla prima all'ultima.

Torniamo alla musica: al Concertone arrivi con Musica libera, a proposito di commistioni…

Musica libera è una canzone di aperta contaminazione, parola che incredibilmente sta assumendo un valore politico impressionante. Noi della musica viviamo di contaminazione, come l'arte tutta e tutto il nostro vivere quotidiano anche se qualcuno insiste dicendo che questa contaminazione sia il diavolo.

La canzone l'hai scritta con Alborosie, italiano e pilastro del reggae mondiale.

Ho scritto questa canzone con Alborosie, sì, che considero l'ennesimo cervello in fuga dal paese, costretto ad andare via per colpa di un pezzo del mondo discografico, lo stesso che si approfittava dei giovani talenti a cui non riconoscevano le royalties dei dischi veduti, come successe anche ai Litfiba ai primi tempi, presi in giro dalle prime etichette prima di andare indipendenti nell'85. Quando gli emergenti mi chiedono un consiglio gli dico che prima di tutto devono trovarsi un avvocato, poi studiare e suonare dove nessuno li conosce. Prima di tutto, però, devono trovare un buon avvocato.

Successe anche ad Alborosie, quindi?

Sì, per quello che m'ha raccontato: andò via, in Giamaica, portava il tè negli studi ai grandi produttore, ha fatto capire il suo grande valore artistico e oggi è una star internazionale del reggae.

Piero Pelù e Alborosie (ph Maurizio Pavone)
Piero Pelù e Alborosie (ph Maurizio Pavone)

E il tuo amore per il reggae come nasce?

Ha radici profonde, da ragazzo ascoltavamo Bob Marley mentre ci fumavamo le prime canne. Lo stesso Marley registrò una canzone come "Punky Reggae Party", i Rolling Stones registrarono in Giamaica un album bellissimo come Black & Blue, per non parlare dei Clash, i Police, insomma è pieno di collegamenti tra rock, punk e reggae. La versione del Primo Maggio sarà un po' più rock rispetto a quella registrata, mi prendo una rivincita.

Hai rivincite da prenderti?

No, è per dire, non c'è alcuna rivincita da prendermi. Poi non sono uno competitivo, mentre tantissime persone che mi circondano lo sono e lo sono in maniera spietata. Io suono per divertirmi e affronto qualsiasi gioco così, mentre altre persone vivono solo per vincere ed essere primi, un'ossessione esasperata dalla nostra epoca, si esaltano i primi posti, l'oro, anche se sei arrivato a un centesimo dal terzo sei sfigato, e tutto l'impegno e i sacrifici fatti perdono senso rispetto allo stigma di sfigato. E questa è una cosa terribile.

E a Sanremo come facesti?

Non me ne poteva fregare di meno del posizionamento, ma mi sono reso conto che alcuni colleghi erano infoiati per la posizione in classifica, come fare per scalarla, come apparire. Ma l'arte non è questo!

Può essere che questa cosa non la senti perché tu il successo l'hai ottenuto e il tuo nome è parte della Storia della nostra musica liberandoti dal fardello di cercarlo a tutti i costi?

All'interno dei Litfiba qualcuno ce l'aveva questa tensione e ce l'ha tuttora, ma a me questa cosa non mi è mai interessata, forse anche perché non ho mai avuto problemi economici, sai, quando conosci la fame capita di tentare una via al successo per svoltare la propria vita e per quello ho il massimo rispetto. Io, però, ho sempre scritto per necessità, quando mi è successo di subire pressioni da parte di manager o case discografiche per mantenere un certo livello di vendite etc ho passato i momenti peggiori della mia vita.

E come ne sei venuto a capo?

Ho fatto molta fatica perché mi ritrovavo a scrivere in funzione di qualcosa: radiofonicità, classifica, vendite ma queste sono tutte cose che se vengono bene, altrimenti non ne facciamo una tragedia. Mi sono sempre sentito molto in bilico per queste esigenze, perché quella principale è scavare sempre di più dentro di me, per conoscermi e tirare fuori quelle parte di me che non sono riuscito a raccontare e ad ammettere a me stesso, quindi è un bel duello con se stessi.

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