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Per i Therivati “Non c’è un cazzo da ridere”: “Godiamo della libertà di poter essere provocatori”

“Non c’è un cazzo da ridere” dicono i Therivati, band napoletana che da anni porta avanti la tradizione del Neapolitan Power, ovvero quella scuola che unisce il groove della musica black con la tradizione partenopea e che ha ha pubblicato una sorta di concept album sull’attualità di questi anni.
A cura di Francesco Raiola
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"Non c'è un cazzo da ridere" dicono i Therivati, band napoletana che da anni porta avanti la tradizione del Neapolitan Power, ovvero quella scuola che unisce il groove della musica black con la tradizione partenopea e che ha visto tra i maggiori esponenti i Napoli Centrale di quel James Senese che loro stessi citano. Paolo Maccaro (voce), Marco Cassese (chitarre), Antonio Di Costanzo (basso), Saverio Giugliano (sax tenore e dub master) e Salvatore Zannella (batteria) hanno pubblicato un album che è un concept che gira attorno all'attualità e a quel titolo provocatorio che ben descrive un mondo che, tra le altre cose, unisce Bataclan, Cocaina e industria musicale legandoli con interludi e spunti cinematografici (da "No grazie il caffè mi rende nervoso" a "Così parlò Bellavista"). E proprio l'unione della musica con Cinema e Serie tv è stato lo spunto per i Therivati di creare un racconto unico che li ha portati a girare una serie di video che raccontano proprio l'idea dell'album.

Come nasce l'idea di questi video che raccontano quest'album a mo' di serie tv?

L'idea era legata al concetto del disco, visto che nel disco tocchiamo diversi argomenti che non siamo soliti toccare abbiamo pensato che i video potessero aiutare a rendere meglio questi concetti. La nostra idea era quella di fare un concept album, un unico discorso, nel momento in cui abbiamo pensato all'eventuale singolo e conseguente video, ci siamo detti: ‘Facciamoli tutti', poi abbiamo scelto di collegarli e visto che è l'era delle serie tv abbiamo pensato di fare una cosa del genere, vallo a pensare che mesi dopo lo avrebbe fatto anche LIBERATO.

Tra l'altro è sempre più complesso fare il musicista e tener conto di tutta una serie di cose, soprattutto per una band realmente indipendente…

Guarda, è un problema soprattutto se, appunto, sei indipendente e autoprodotto, perché non pensi più solo alla musica, ovviamente questa cosa è assurda se sei un musicista perché un musicista fa musica e invece oggi pare che la musica non sia la cosa principale ma devi pensare prima a come vendere il prodotto prima ancora del prodotto stesso ed è folle perché tu vendi la musica ma questa passa in secondo piano. L'esempio è LIBERATO, che è più una questione di contenuto che di musica.

Tra l'altro anche lui (loro) assieme a vari artisti napoletani riprende un certo tipo di black music che da sempre è motore del Neapolitan Power…

È un altro tipo di black, il nostro è più radicato perché è già stato fatto anni fa, è diventato un po' la nostra storia, la tradizione della musica napoletana, però alla fine se ci pensi tra 20 anni, quando ascolteranno la musica, di questo periodo storico vedranno LIBERATO, i rapper…

Voi mantenete questa tradizione ma se prendiamo i Nu Guinea, diversi tra voi, ma che mettono le mani in quella radice, c'è la base, forse resteranno entrambe le cose, no? Voi citate comunque quella sonorità, i fiati dell'album, ad esempio, rimandano proprio a quella tradizione.

Certo, noi siamo diversi dai Nu Guinea, ma abbiamo le stesse radici, forse loro lo fanno in modo più classico e forse lo fanno così anche perché sono al primo disco mentre noi lo sperimentiamo da dieci anni, anni in cui cerchiamo di creare qualcosa e magari adesso siamo un po' più unici (con tutti i suoi lati positivi e negativi): quando cerchi di fare qualcosa di unico ed essere il primo rischi sempre di non essere capito, mentre loro hanno battuto un ferro caldo e hanno avuto ragione, il disco è molto bello. Però sì, la matrice è la stessa, veniamo dalla stessa cultura.

Prima parlavi di concept album e in effetti affonda molto le mani nell'attualità, da Aslan al Bataclan. Mettete la realtà all'interno di una musica che nasce da questo ventre…

Sì, dall'esigenza di raccontare un disagio. Non è proprio voluta, nel senso che questo genere qua lo facciamo anche quando parliamo di sciocchezze però in effetti.

Però come nasce l'idea di trovare una linea, avevate già delle canzoni, sono nate successivamente?

Quando abbiamo cominciato a scrivere quest'album la cosa è stata automatica, abbiamo cominciato a scrivere dell'attualità, di quello che ci stava succedendo ed era successo negli ultimi anni, quando avevamo finito l'altro capitolo con il disco precedente, quindi sono usciti tutti i testi di forte attualità e alcune canzoni le abbiamo scartate perché si rideva e poi li abbiamo fusi insieme con degli interludi per legarli. Non è stata una scelta voluta, comunque, non siamo partiti dicendo di fare quella cosa là, semplicemente abbiamo cominciato a scrivere…

A proposito, ma questa cosa degli interludi?

È una cosa un po' controtendenza, molto anni '70, ma pure '90, adesso non si fa più perché i pezzi durano due minuti e mezzo, ora comanda Spotify. Pensa se in una riproduzione casuale ti arriva ‘Così parlò Bellavista' e poi si interrompe, è un po' lesionista, ma noi volevamo essere un po' provocatori, e non avendo molto ci leghiamo alla provocazione, ce lo possiamo permettere perché, tanto, chi ci dice niente! Allo stesso modo possiamo permetterci di mettere la parola ‘cazzo' nel titolo, fare pezzi di quattro o cinque minuti, parlare di cocaina…

Senti, Music Business mi sembra una sorta di Milano e Vincenzo in salsa napoletana, come nasce?

È uno sfogo di questo periodo, io lavoro nel music business al di là del progetto dei Therivati e vedo cose non belle, una di queste è il fatto che molti degli addetti ai lavori non hanno mai messo una nota o non sono mai saliti sul palco, però ti giudicano e questa cosa ci riporta al discorso di prima. Poi sono loro che regolano il mercato, decidono loro – tipo i promoter – se tu suoni o non suoni, se vali o non vali, ma vale anche per le case discografiche.

È il motivo per cui uscite in maniera indipendente?

Beh, è complesso entrare in quel mondo lì e anche un po' una scelta nostra, anche perché un po' ce ne sbattiamo. Ti dico la verità, quando cominciamo qualche progetto cerchiamo sempre qualcuno che possa metterci dei soldi, altrimenti saremmo stupidi, qualche volta l'abbiamo trovato altre volte no, abbiamo anche bussato a major, ma facciamo un genere che non è molto in linea con la roba che va adesso…

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