La coraggiosa storia di Paolo Palumbo: “Meglio ospite, a Sanremo avrei distolto l’attenzione dalle canzoni”
La storia di Paolo Palumbo, il più giovane ragazzo in Europa a essere affetto dalla Sla, è la protagonista di uno dei momenti della seconda serata di Sanremo 2020. La vicenda di Paolo Palumbo, originario di Oristano, è stata raccontata in una lettera di denuncia quando gli fu negato di partecipare a una cura sperimentale.
Il 21enne non si è mai fatto abbattere dalla malattia e ha combattuto insieme alla sua famiglia per realizzare i suoi sogni, come quello di diventare chef. Un altro sogno diventerà realtà questa sera, in occasione della seconda serata di Sanremo 2020, quando Paolo Palumbo si esibirà sul palco di Sanremo cantando la canzone "Io sto con Paolo". Gli abbiamo fatto qualche domanda su come è nata la sua passione per la musica e cosa dovrà aspettarsi il pubblico da questa esibizione.
Quando è nata la tua passione per la musica e il tuo desiderio di partecipare a Sanremo?
È molto strano parlare della mia passione per la musica, dato che sono sempre stato un normale ascoltatore che non ha mai desiderato di cantare o suonare. L'idea di partecipare a Sanremo è venuta per caso, quasi per gioco, quando Cristian Pintus ed io abbiamo pensato alla canzone, e ci siamo detti "perché non tentiamo la fortuna?".
Come hai vissuto il fatto di essere arrivato a pochi passi dalla finale? Ti aspettavi l'invito di Amadeus una volta escluso da Sanremo Giovani?
Non mi aspettavo né di arrivare tra i prefinalisti, né di essere calcolato da Amadeus. È stato una sorpresa, e un regalo. Un'esperienza che mi ha fatto uscire di casa dopo tanto tempo, cosa che non è molto comune per chi è nella mia condizione.
Come si svolgerà la tua esibizione?
Il 5 febbraio Cristian ed io ci esibiremo con il brano "Io sto con Paolo", dopodiché mi prenderò un breve lasso di tempo per mandare un importante messaggio a chi sarà all'ascolto, e poi probabilmente la mia famiglia salirà sul palco. Ma l'ordine delle cose può cambiare, lo sapremo all'ultimo.
Hai dichiarato che grazie a Kumalibre (Cristian Pintus) hai trovato il coraggio di provare a cantare. Raccontaci come è nata la vostra collaborazione, che vedremo anche sul palco dell'Ariston.
Quando abbiamo pensato a questa collaborazione, l'idea di trasmettere appieno ciò che implica la sla era la prima cosa a cui volevamo dare corpo. Usare il comunicatore che adopero quotidianamente per parlare era sia l'unico modo per farmi partecipare attivamente, ed è anche un'intuizione innovativa dal punto di vista musicale, diciamo una specie di sperimentazione. Il coraggio, da parte mia, non è quello di esibirmi (non posso stonare!) ma quello di veicolare il mio messaggio nel modo più chiaro possibile.
Come mai hai scelto proprio il rap per esprimerti? Insomma, il rap non è il genere violento che qualcuno vuol far credere?
Non trovo che il rap sia violento, ma penso che fosse l'unico modo funzionale per integrare la voce robotica. Il rap è ritmato, cadenzato, spesso monocorde, è un genere perfetto con cui la mia voce va a braccetto senza dare l'idea di essere fuori luogo. E per finire, questa forza di espressione che conta soprattutto sul contenuto dei testi e del ritmo, è perfetta per esprimere la mia forza di volontà.
Non ti sei mai fermato davanti a nulla, da chef a cantante. Con quali tecnologie riuscirai a cantare?
Come ho già detto, userò il mio comunicatore. Si tratta di un computer che posso controllare grazie ad una calibrazione fatta con i miei occhi. È un salvavita per tutti coloro che non possono più parlare.
Come ti sei preparato/ ti stai preparando per affrontare questa esperienza?
La preparazione è faticosa, ma non mi fermo davanti a nulla. Abbiamo fatto delle prove per la canzone, prove per il discorso, abbiamo organizzato il viaggio per arrivare a Sanremo… Da fuori sembra tutto facile, ma la realtà è che la sola preparazione al momento dell'esibizione è forse quella più stancante.
"Io sto con Paolo" è un testo autobiografico, qual è il messaggio che attraverso la tua storia senti di voler dare a chi ti ascolterà?
Il mio messaggio è diviso in due: per prima cosa voglio che le persone capiscano che le disabilità non guardano in faccia nessuno, e per questo ognuno di noi dovrebbe essere più altruista nei confronti del prossimo, perché gli imprevisti sono dietro l'angolo ed è importante avere qualcuno al nostro fianco o essere al fianco di qualcuno. Appurato questo, voglio ribadire l'importanza dell'usare bene il proprio tempo. È poco, e per questo dovremmo fare del nostro meglio affinché sia un tempo indimenticabile.
Pensi che la tua canzone se la sarebbe potuta giocare con quelle che, poi, sono arrivate in finale?
Credo di sì, ma penso che da un lato la mia partecipazione avrebbe distolto l'attenzione dalla qualità delle canzoni in gara. La polemica è dietro l'angolo in queste situazioni: se fossi arrivato in finale per merito, ci sarebbe stato chi diceva che ero lì solo per la mia condizione, viceversa se non fossi stato calcolato avrebbero potuto dire che c'era della discriminazione. Penso che essere ospite e non in gara mi permetta di veicolare al meglio il mio messaggio, senza il rischio di oscurare altri artisti.