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Paolo Belli: “Mi spaventa il tempo che passa ma sono un privilegiato, ho realizzato i miei sogni”

Paolo Belli è il co-conduttore di Ballando con le stelle, ma è anche un artista che da oltre 30 anni studia e gira l’Italia con la sua Big Band ed è tornato con un nuovo album.
A cura di Francesco Raiola
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Paolo Belli (ph Mirko Neri)
Paolo Belli (ph Mirko Neri)

Con i Ladri di Bicicletta è diventato popolare, con Ballando con le stelle, invece, Paolo Belli è diventato familiare. Un volto entrato ormai a far parte delle case italiane grazie alla musica e al ruolo di co-conduttore e direttore dell'orchestra della trasmissione condotta da Milly Carlucci e che ogni anno porta personaggi del mondo dello spettacolo, sport, Politica a ballare in diretta tv. Animo punk, sensibilità swing, capace di muoversi nei generi a suo piacimento, Belli è uno di quei musicisti che in punta di piedi è riuscito negli anni a diventare un punto di riferimento con la sua Big Band che lo accompagna in tv e lo ha accompagnato anche nel suo ultimo album "La musica che ci gira intorno" in cui rivisita alcuni di quelli che considera maestri come, tra gli altri, Francesco De Gregori, Ivano Fossati, Lucio Dalla e Enzo Jannacci di cui ha riproposto in questi giorni "parlare con i limoni". Fanpage lo ha raggiunto telefonicamente per parlare di questi Maestri, della tv, del suo rapporto con la popolarità, col tempo che passa e con la musica.

Come era la vita di Paolo Belli prima di essere Paolo Belli?

Cerco di fare un riassunto, ma la cosa è molto semplice: ero uno che da bambino sognava di fare quello che sto facendo adesso. Ora, che sia capace o meno non lo so, non sta a me giudicare, quello che so è che ho studiato, ho fatto gavetta, ho fatto di tutto per arrivare qua.

E cosa sognavi di fare?

Da bambino sognavo di fare lo show, sono talmente vecchio che quando ero giovane io non c'erano Rai1, Rai2, Rai3, c'era la Rai, punto, c'era un canale solo e lo show del sabato sera era veramente un sogno. C'erano Totò, Mina, Walter Chiari, c'erano non solo attori o cantanti, c'erano gli entertainer, e io ho sempre desiderato arrivare lì. Sono uno che ci ha creduto, ha studiato, ha fatto gavetta, ma fondamentalmente sono un privilegiato.

Sono anni che sei un volto e una voce riconosciuta, ma continui a definirti artigiano, che valore dare a questa parola?

È il valore più importante, mi piace il fatto che quotidianamente apri la bottega e continui a desiderare di creare qualcosa, ma nello stesso tempo lo devi fare con tutta l'esperienza, il bagaglio, la curiosità e la passione che ci mette l'artigiano. È abbastanza semplice per me creare però poi devi far diventare quello che crei un'opera che abbia un valore oggettivo, che poi ti permette di lavorare, di guadagnare, permette gli altri di lavorare e di soddisfare anche le persone che poi acquistano il tuo prodotto. Una volta Totò disse che a creare sono capaci tutti, è copiare che è difficile, nel senso che devi metterci sempre un po' di tuo però non puoi essere quello che fa le cose uguali, devi sempre progredire, fare l'artigiano, appunto, non facciamo le cose in serie, ogni giorno devi migliorare. Sono uno a cui piace ancora tanto quello che fa, però non si accontenta mai.

Non c'entra molto, ma hai già citato Totò – non un musicista – un paio di volte, come mai?

Io sono scappato di casa da ragazzino per andare a vedere dove viveva Totò. Per me è un punto di riferimento, era uno partito da niente che, senza dubbio, aveva talento, era smisurato, però non l'ho mai trovato sopra le righe, l'ho sempre trovato uno che si preparava, studiava ogni cosa che faceva e poteva essere una poesia, una canzone… È un artista che dopo tantissimi decenni quando lo vedo mi dà quella stessa emozione che mi dava da ragazzo.

Un'altra cosa che mi piace molto è il forte senso di comunità artistica che hai, questo tuo mettere il noi davanti all'io. 

Io sto bene quando sono in mezzo agli altri, ho delle grandissime difficoltà a rimanere da solo. Quando sono solo mi faccio un miliardo di domande e ogni volta vado in crisi. Però ho scoperto che quando sto con gli altri mi sento più rilassato, mi confronto, riesco a trovare molte risposte, riesco anche a dare risposte a chi me le chiede e in più ho la certezza che ogni volta che mi esprimo con un gruppo a fianco, riesco a raddoppiare il valore di quello che faccio e da solo non riuscirei mai ad arrivare a quel risultato, è proprio una roba che mi fa star bene.

Paolo Belli (foto Ila Scattina)
Paolo Belli (foto Ila Scattina)

L'ultimo album è un omaggio ai tuoi maestri, come nasce?

È stato abbastanza naturale,  tutto nasce dal periodo del lockdown, quando cominciai a mettere mano nella mia discoteca. Puoi immaginare alla mia veneranda età quanti dischi ho: sono un amante dei Clash, di James Brown, dei Blues Brothers però c'è stato un periodo in cui ho sentito il bisogno di riascoltarmi un po' tutto ciò che è italiano e durante il lockdown ho scoperto quante cose meravigliose molti dei nostri maestri hanno scritto. Ahimè, ho dovuto anche fare la selezione, anche se ho già pronto il volume due.

Come era scandita la tua giornata, quindi?

La mattina ascoltavo i brani e il pomeriggio li mandavo ai musicisti, facevo una sorta di DAD musicale, mandavo un pezzo ai ragazzi e poi ognuno di loro me li rimandavano alla propria maniera e io chiaramente da capobanda cercavo di raccogliere tutto ciò che a mio avviso era buono e di togliere ciò che non era in sintonia e mi sono ritrovato con una trentina di brani. Poi, nel momento in cui finito il lockdown, siamo andati in studio, mi era piaciuto molto questo modo di interfacciarsi tra di noi poi è diventato quello, diciamo così, il primo album. Nonostante tanti artisti siano rimasti nel cassetto, il fattore più importante era dire grazie a tutti questi maestri che in qualche modo hanno condizionato il nostro modo di suonare, di vedere la musica, di viverla.

L'ultimo singolo che hai che è fuori è un pezzo di Jannacci, tra l'altro, in cui c'è la frase "Quanta fatica per farsi accettare con le canzoni"…

Io ho avuto la fortuna di cantare con lui anche varie volte ed è un po' come quando ti parlavo di Totò, ogni volta toccavo il cielo con un dito, perché lui era un altro di quelli che mi hanno cambiato la vita. Potevamo suonare, cantare mille sue canzoni perché ce n'è una più bella dell'altra, quella è stata proprio scelta perché rappresenta proprio il nostro mondo, ma c'è anche un altro fattore…

Quando dice "il giorno in cui spareranno i rumori"?

Esatto. Quando arrivi alla mia età succede come nel film di Nanni Moretti, Caro Diario, sai, la scena del metro, quando il coprotagonista prende in mano il metro e comincia ad accorciarlo togliendo gli anni, accorcia, accorcia e alla fine dà il metro in mano a Moretti e gli dice: "Ecco, questo è quello che ti rimane da vivere". Quella scena è scioccante e quando ho compiuto 60 anni ho capito che il metro è diventato molto, ma molto, ma molto più corto, con tutta la buona speranza e la buona fiducia che uno possa avere comunque il metro si è accorciato.

E che rapporto hai con questo metro che si accorcia?

Bruttissimo, anche se la vita, nonostante mi abbia regalato tanto, dandomi anche dei dispiaceri, vale la pena di essere vissuta. È così bella viverla, sia nel bene che nel male, tutto mi sta insegnando che vorrei che durasse di più, però siamo ancora lontani nel morire tardi. Eppure non posso non vederla anche dal punto di vista positivo, perché torniamo al primo discorso che abbiamo fatto, ovvero che da bambino sognavo di fare quello che sto facendo da anni.

Che sensazione ti dà essere ormai un volto familiare per tantissime persone?

Di privilegio, innanzitutto. Come ti ho detto, era il sogno che avevo da bambino che mi ha permesso di essere responsabile e grato nell'avere sempre tanta gente attorno a me. È indubbio che poi la televisione ti fa diventare familiare, poi è chiaro che dipende dalla qualità di come fai le cose, dell'impegno che ci metti nel farlo, però ti permette di lavorare e sapere che faccio sopravvivere, grazie alla televisione, anche tante famiglie mi lusinga, mi fa sentire un privilegiato. Detto ciò, qua non ci regala niente nessuno, Milly mi ha insegnato che devi essere il primo a entrare e l'ultimo a uscire e quando sei dentro devi gettarci dentro anima e corpo perché è un lavoro, fare quello che facciamo noi è un lavoro, a differenza di ciò che pensa qualcuno, per questo ogni volta che sono lì penso di dover essere all'altezza, studiare, prepararmi, essere puntuale, attento, appassionato. È un mestiere come un altro mestiere, è una bottega, ma che vedono in tanti.

C'è stata qualche amicizia importante uscita dalla trasmissione?

Con Panariello, per esempio, ma grazie alla tv ho conosciuto una persona, tuo conterraneo, che è diventato un mio amico carissimo: Peppe Iodice. La tv ti fa scoprire una persona, la stimi artisticamente, poi, finita la trasmissione, quando si spegne la luce, ognuno va a casa sua, e invece no, ho scoperto tante belle persone. Penso a Fabrizio Frizzi, che era mio fratello. Insomma, ho avuto, ho e spero di avere ancora l'opportunità di conoscere tante belle persone.

E Milly?

Milly è la sorella che tutti dovremmo avere, io ero molto saltimbanco mentre lei mi ha insegnato, sia professionalmente che umanamente che quando sei sul banco devi studiare, avere educazione, preparazione. Per dirti, adesso sto andando a scuola di inglese perché… lei non ti dice niente ma certe cose te le fa capire! Meno male che l'ho trovata sulla mia strada, è la mia grande sorella.

State preparando alla nuova edizione, che cosa mi puoi dire?

Beh, che ogni anno c'è da alzare l'asticella, e questo è il periodo in cui io e i miei ragazzi ci stiamo confrontando su come muoverci, rimanendo coscienti del fatto che siamo su Rai1, quindi devi essere pop, non puoi portare Jello Biafra e i Dead Kennedys.

Eppure non sarebbe male sentire Holiday in Cambodia in prima serata.

Magari lo si può fare, ma devi studiare come portarlo, perché sei su Raiuno, oppure devi fare il discorso contrario: sai che è più facile portare Sotto questo sole di Paolo Belli, però non la puoi portare in versione troppo riconosciuta, troppo sfruttata, devi ricordati che a Ballando ogni anno devi alzare l'asticella.

È un po' quello che ho fatto con Morgan l'anno scorso…

Sì, è stato ma molto divertente, sai che anche in quel frangente devi capire quando puoi schiacciare l'acceleratore e quando no, ma con uno come lui puoi stare veramente sereno perché è un altro di quelli a cui piace schiacciare l'acceleratore. Ci sono altri artisti che invece devi accompagnare, anche perché poi alla fine fanno tutti una cosa che non gli appartiene, ballano, e il tuo compito è quello di metterli a proprio agio.

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